Esterovestizione – Onere della prova – Comma 5 bis, art.7, Decreto legislativo del 31/12/1992 n. 546

 

L’art. 6 della Legge del 31/08/2022 n. 130 Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario ha modificato  l’art. 7 (Poteri delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado) del Decreto legislativo del 31/12/1992 n. 546  – Disposizioni sul processo tributario, aggiungendo il comma 5 bis:

“5-bis. L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o e’ contraddittoria o se e’ comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.”

Quindi l’ente impositore deve motivare le sue pretese dando prova in giudizio delle violazioni contestate con l’atto impugnato.

A proposito delle presunzioni che possono essere  indicate nell’atto impositivo per legittimare la pretesa, se non stabilite dalla legge, queste,  come affermato dall’art. 2729 del codice civile, devono essere gravi, precise e concordanti.

Sullo stesso tenore l’art. 39, comma 1, lett. d), dPRn 600/1973, in base al quale l’ufficio finanziario, ai fini accertativi, procede a rettificare i redditi valutando presunzioni semplici che siano gravi, precise e concordanti,

Il funzionario dell’amministrazione deve soppesare attentamente le prove che intende utilizzare che devono essere fondate e oggettive.

Con Sentenza n. 562023, depositata il 25/01/2023, la Corte di Giustizia Tributaria di II grado della LIGURIA Sezione 1, in un processo in merito sull’esterovestizione di una società, si è espressa sul tema dell’onere della prova richiamando la novella introdotta dall’art. 6 L. 130/22 con la quale è stato aggiunto all’art. 7 DLGS 546/92 il comma 5bis: “Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, la esterovestizione postula una prova rigorosa, risultante da un insieme di elementi oggettivi, sia di una costruzione societaria di puro artificio all’estero, sia dell’esistenza in Italia della sed eeffettiva 
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Quanto poi alle affermazioni da parte del collegio che non fa altro che prendere atto delle conclusioni dell’Ufficio, in punto di corretta applicazione dell’onere della prova, questa Corte non può non considerare la novella introdotta dall’art. 6 L. 130/22 con la quale è stato aggiunto all’art. 7 DLGS 546/92 il comma 5bis secondo cui “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il Giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
In via preliminare va detto che la novella ha natura processuale, e, dunque, è applicabile a tutti i processi  pendenti alla data del 16 settembre 2022, data di entrata in vigore della legge; tale natura discende, in  primo luogo, dalla stessa lettera della norma, la quale fa espresso riferimento alla prova in giudizio  ”  l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”, poi alla sua collocazione  sistematica nell’ambito della normativa sul rito tributario ed, infine, dal fatto che il legislatore, quando ha  voluto decorrenze diverse rispetto alla data di entrata in vigore della Legge 130/22, lo ha esplicitamente  detto, come ad esempio nell’art. 4 bis (competenza giudice monocratico che si applicherà ai ricorsi  notificati dal 01.01.2023.
Alla luce di questa novella va detto che l’Agenzia non ha adempiuto all’onere della prova che Le incombeva limitandosi a semplici affermazioni di accoglimento senza spiegarne le motivazioni.”

Sempre con Sentenza n. 562023, depositata il 25/01/2023, la Corte di Giustizia Tributaria di II grado della LIGURIA Sezione 1, si è espressa sul tema dell‘esterovestizione:……………..A tale riguardo è d’uopo  richiamare il concetto di estero-vestizione che la giurisprudenza di legittimità domestica ed unionale, ha  elaborato. Con la decisione Cass. n. 2869 del 2013 si è detto che: “Per esterovestizione, com’è noto, si  intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese  con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più  gravoso regime nazionale. Si tratta di un tipico fenomeno di abuso del diritto, il cui divieto può dirsi ormai  pacificamente riconosciuto come principio generale nel diritto tributario Europeo (che oltrepassa i confini  delle imposte armonizzate e va, di conseguenza, riconosciuto, almeno in via tendenziale, come principio  generale anche nel diritto dei singoli Stati membri (cfr., per tutte, Cass., Sez. un., n. 30055 del 2008,  secondo la quale il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che trova  fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di  progressività dell’imposizione. Con particolare riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero  della residenza fiscale di una società, la sentenza della Corte di giustizia del 12 settembre 2006,  C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, ha affermato, in tema di libertà di  stabilimento, che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una  legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura  nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di  puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.
L’obiettivo della libertà di stabilimento è quello di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare  uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e di partecipare così,  in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di  origine e di trarne vantaggio. La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento  in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società  interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale. Ne consegue che,  perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti  consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad  eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale. In definitiva, deve  ritenersi che quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è  accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente  artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non  riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.”
I concetti su richiamati sono stati ribaditi ed ampliati nella decisione n.33234/ 18 che ha affermato: “…  occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui  concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, dall’altro, che da un insieme di  elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C- 419/ 14, WebMind licenses Kft,  punto 36). Non è infatti sufficiente applicare criteri generali predeterminati, ma occorre passare in  rassegna la singola operazione. Ciò perché una presunzione generale di frode e di abuso non può  giustificare né un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né uno che  pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (in particolare, Corte giust. 7  settembre 201 7, causa C-6/ 16, Equiom e Enka, punti 3032). È necessario quindi accertare che lo scopo  essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perché quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il  pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli  affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C- 419/ 14, cit., punto  42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland  Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/ 16 e 399/ 16, punto 49).-  Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una  società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C- 196/ 04, Cadbury  Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che  una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non  costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di  stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad  eludere la normativa dello Stato membro interessato. L’obiettivo della libertà di stabilimento è di  permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato  membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita  economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trame vantaggio. La nozione di  stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un  altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato  membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale. Ne consegue che, perché sia giustificata  da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni  puramente artificiose, prive di effettività …. ”
Non vi è dubbio che, alla luce delle considerazioni e dei principi su richiamati, la tesi dell’Ufficio pecca di  genericità e non trova adeguato supporto nella documentazione prodotta da entrambe le parti in causa.”

 

Assistenza alla pianificazione fiscale internazionale, Assistenza alla costituzione Società, Consulenze integrate per l'internazionalizzazione