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Credito d’imposta anche per i redditi assoggettati a imposta sostitutiva

La suprema Corte di cassazione, Sez. V Civile, con la sentenza n. 25698/2022 pubblicata il 1° settembre 2022, si è espressa in materia di “foreign tax credit” per evitare la doppia imposizione per i redditi prodotti all’estero ammettendo la possibilità di utilizzare il credito d’imposta estero, anche per i redditi assoggettati a imposta sostitutiva.

La suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 25698/2022 pubblicata il 1° settembre 2022 nell’esaminare la Convenzione Italia – Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito così si esprime

“L’art. 23, comma 3, della stessa Convenzione, dopo avere
previsto che l’Italia deve dedurre dalle imposte sul reddito, di cui all’art. 2, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti (secondo periodo), al terzo periodo stabilisce che, «tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento dì reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana» (enfasi aggiunta).
1.4. Da tale disposizione pattizia si ricava a contrario che, qualora
l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta, come nell’ipotesi di cui all’art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, o mediante imposta sostitutiva, come nella fattispecie, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’identità di funzione, di cui all’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, quando il contribuente sia una persona fisica, avvenga non «su richiesta del beneficiario deI reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti d’America si deve considerare detraibile.
1.5. Tale interpretazione trova conferma nella diversità del testo
vigente degli accordi bilaterali contro le doppie imposizioni conclusi con altri Paesi, secondo cui «nessuna detrazione sarà accordata ove
l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione
mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, ovvero ad imposizione sostitutiva con la stessa aliquota della ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente,ai sensi della legislazione italiana» (enfasi aggiunta; art. 23, comma 2, quarto capoverso, della Convenzione tra Italia e Cipro, ratificata e resa esecutiva dalla legge 10 luglio 1982, n. 564; art. 22, comma 2, terzo capoverso, dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Malta, ratificato e reso esecutivo dalla legge 2 maggio 1983, n. 304; punto 11 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno dell’Arabia Saudita, ratificato e reso esecutivo dalla legge 23 ottobre 2009, n. 159; art. 22, comma 2, quarto capoverso, della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Singapore, ratificata e resa esecutiva dalla legge 26 luglio 1978, n. 575; art. 12, comma 1, lett. a), secondo capoverso, dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Principato di Monaco, ratificato e reso esecutivo dalla legge 1° dicembre 2016, n. 231);
1.6. Ed invero, in base ad una interpretazione conforme della
norma pattizia (prevalente) la locuzione «anche sui richiesta del
contribuente», che figura nel testo di tali accordi, conferma che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta non solo nei casi in cui l’assoggettamento dell’elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta avvenga su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana, lo ha previsto espressamente.”

La  sentenza n. 25698/2022 della Suprema Corte prevede, nel caso di dividendi esteri e più in generale di proventi finanziari, la possibilità di ottenere il credito d’imposta per l’imposta pagata all’estero, sia su proventi assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta che ad imposta sostitutiva, qualora con lo Stato estero sia in vigore una convenzione sulle doppie imposizioni che non escluda il diritto al credito d’imposta stesso.

Quindi in base alla sentenza n. 25698/2022 della Suprema Corte qualora l’assoggettamento a imposizione mediante  imposta sostitutiva di cui all’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, quando il contribuente sia una persona fisica, avvenga non «su richiesta del beneficiario deI reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata nello Stato Estero si deve considerare detraibile.

Quindi, al fine di verificare la sussistenza al diritto al credito d’imposta si deve verificare con attenzione la relativa convenzione,  anche se nella maggior parte delle Convenzioni stipulate con l’Italia l’esclusione è collegata alla possibilità del contribuente di poter optare per regimi di tassazione diversi.

A seguito della sentenza n. 25698/2022 della Corte di Cassazione , in assenza di uno specifico quadro della dichiarazione dei redditi per l’indicazione del credito d’imposta e per l’impossibilità degli intermediari residenti di attribuire direttamente il credito d’imposta, l’unica strada per il riconoscimento del suo è quella di richiedere all’Agenzia delle Entrate il rimborso dell’imposta pagata all’estero.

Attualmente il rimborso del credito d’imposta può essere richiesto dal contribuente solo attraverso una istanza ex primo comma dell’art. 38 del dpr 602/1973, entro 48 mesi dall’assoggettamento alla ritenuta a titolo d’imposta o dal pagamento dell’imposta sostitutiva, salvo successivamente adire la Corte di Giustizia Tributaria in caso di diniego.

Compilazione del quadro RW Modello Redditi PF – Partecipazione in società non residente

Larticolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).

In caso di partecipazione in società di capitali che detengono partecipazioni in società residenti in un Paese collaborativo (Vedi: White list di cui al D.M. 04.09.1996 – Elenco degli Stati con i quali e’ attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la Repubblica italiana), il contribuente che riveste lo status di “titolare effettivo”  (1) come definito dalla normativa antiriciclaggio deve indicare nel  quadro RW il valore della partecipazione nella società estera e, in aggiunta, la percentuale di partecipazione, nonché il codice fiscale o identificativo della società estera.

In caso di partecipazioni in società residenti in Paesi non collaborativi (Non ricompresi nell‘elenco di cui al D.M. 04.09.1996), occorre indicare, in luogo del valore della partecipazione diretta, il valore degli investimenti detenuti all’estero dalla società e delle attività estere di natura finanziaria intestati alla società, nonché la percentuale di partecipazione posseduta nella società stessa. In tal modo, seguendo un approccio look through e superando la mera titolarità dello strumento finanziario partecipativo, si deve dare rilevanza, ai fini del monitoraggio fiscale, al valore dei beni di tutti i soggetti “controllati” situati in Paesi non collaborativi e di cui il contribuente risulti nella sostanza “titolare effettivo”. Tale criterio deve essere adottato fino a quando nella catena partecipativa sia presente una società localizzata nei suddetti Paesi e sempreché risulti integrato il controllo secondo la normativa antiriciclaggio.

L’obbligo dichiarativo in capo al “titolare effettivo” sussiste esclusivamente in caso di partecipazioni in società di diritto estero e non riguarda, invece, anche l’ipotesi di partecipazioni dirette in una o più società residenti che effettuano investimenti all’estero.

Rilevano, invece, le partecipazioni in società residenti qualora, unitamente alla partecipazione diretta o indiretta del contribuente in società estere, concorrano ad integrare, in capo al contribuente, il requisito di “titolare effettivo” di investimenti esteri o di attività estere di natura finanziaria. In quest’ultimo caso, occorre indicare il valore complessivo della partecipazione nella società estera detenuta (direttamente e indirettamente) e la percentuale di partecipazione determinata tenendo conto dell’effetto demoltiplicativo relativo alla partecipazione indiretta. Le partecipazioni in società estere quotate in mercati regolamentati e sottoposte a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti, vanno valorizzate direttamente nel presente quadro indipendentemente dalla partecipazione al capitale sociale che le stesse rappresentano in quanto è escluso in tal caso il verificarsi dello status di “titolare effettivo”.

Il titolare effettivo  coincide con la persona fisica o le persone fisiche a cui, in ultima istanza, è attribuibile la proprietà diretta o indiretta dell’ente ovvero il relativo controllo.

Secondo quanto disposto dalla Circolare n. 38/E/2013:
“1.1.1 La figura del titolare effettivo
In coerenza con i citati orientamenti giurisprudenziali, il legislatore ha riformulato il testo dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990 rafforzando la tesi in base alla quale sono tenuti alla dichiarazione delle attività estere non soltanto i possessori “formali” delle stesse e i soggetti che ne hanno la disponibilità, ma anche coloro che possono esserne considerati i “titolari effettivi”. Mutuando la definizione contenuta nella normativa antiriciclaggio di cui all’articolo 1, comma 2, lettera u), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 e all’articolo 2 dell’allegato tecnico al medesimo decreto, per “titolare effettivo” si intende:

  • in caso di società:
  1. la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano un’entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti; tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale;
  2. la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un’entità giuridica;

Rigo RW1 del quadro RW Modello Redditi P.F.: Indicazione del possesso della partecipazione nella società non residente in un Paese collaborativo (ad es. possesso in Bulgaria di unaSocietà unipersonale a responsabilità limitata (Еднолично ограничена отговорност дружество (EOOD – ЕООД)) )

COLONNA RIGO RW ISTRUZIONI VALORE DA INDICARE
1 Codice titolo di possesso “1” proprietà
2 La colonna 2 deve essere compilata indicando il codice 1 se il contribuente è un soggetto delegato al prelievo o alla movimentazione
del conto corrente oppure il codice 2 se il contribuente risulta il titolare effettivo (1;
“2”
3 Il codice di individuazione del bene, rilevato dalla “Tabella codici investimenti all’estero e attività estera di natura
finanziaria” posta in APPENDICE.
“2” partecipazioni al capitale
4 Il codice dello Stato estero, rilevato dalla tabella “Elenco Paesi e Territori esteri” posta in APPENDICE al FASCICOLO 1; Per es. “012” Bulgaria
5 Quota di possesso “100%”
6 Criterio determin. valore 2 valore nominale;
7 Valore iniziale Valore del C.S. alla data del conferimento
8 Valore finale Valore del C.S. al 31/12
19 Quota partecipazione 100
20 Solo monitoraggio “x”
21 Nella colonna 21 inserire il codice fiscale o il codice identificativo della società o altra entità giuridica nel caso in cui il contribuente
risulti titolare effettivo (1)   (in questo caso la colonna 2 va compilata con il codice 2 e la colonna 19 va compilata con la percentuale relativa
alla partecipazione);
Codice fiscale della società estera

(1) “titolari effettivi” secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettera pp), e dall’art. 20 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni.

Il il titolare effettivo di una società è definito dalla vigente normativa in materia di antiriciclaggio come la “persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o controllino un’entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica,  tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale; oppure “la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un’entità giuridica” (cfr.  Allegato tecnico al D.Lgs. 231 del 21 novembre 2007, art. 2).

In sostanza sono tre i criteri per individuare il Titolare effettivo, uno conseguente all’altro.

Il primo criterio, dell’assetto proprietario, individua i titolari effettivi in coloro che possiedono direttamente o indirettamente la titolarità di una partecipazione superiore al 25% del capitale sociale.

Il secondo criterio è quello del controllo, in quanto qualora l’esame dell’assetto proprietario non consenta l’individuazione della persona fisica o delle persone fisiche a cui è attribuibile la proprietà, il titolare effettivo è la persona fisica o le persone fisiche a cui è attribuibile il controllo della società tramite: a) controllo della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria; b) controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria; c) l’esistenza di particolari vincoli contrattuali che consentano di esercitare un’influenza dominante.

Il terzo criterio è residuale ed individua il titolare effettivo in colui che esercita il potere di rappresentanza legale, di amministrazione o direzione della società.

Decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231

art. 1, comma 2, lettera pp): titolare effettivo: la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo e’ istaurato, la prestazione professionale e’ resa o l’operazione e’ eseguita;

Art. 20.

(Criteri per la determinazione della titolarita’ effettiva di clienti
diversi dalle persone fisiche).

1. Il titolare effettivo di clienti diversi dalle persone fisiche
coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima
istanza, e’ attribuibile la proprieta’ diretta o indiretta dell’ente
ovvero il relativo controllo.
2. Nel caso in cui il cliente sia una societa’ di capitali:
a) costituisce indicazione di proprieta’ diretta la titolarita’
di una partecipazione superiore al 25 per cento del capitale del
cliente, detenuta da una persona fisica;
b) costituisce indicazione di proprieta’ indiretta la titolarita’
di una percentuale di partecipazioni superiore al 25 per cento del
capitale del cliente, posseduto per il tramite di societa’
controllate, societa’ fiduciarie o per interposta persona.
3. Nelle ipotesi in cui l’esame dell’assetto proprietario non
consenta di individuare in maniera univoca la persona fisica o le
persone fisiche cui e’ attribuibile la proprieta’ diretta o indiretta
dell’ente, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le
persone fisiche cui, in ultima istanza, e’ attribuibile il controllo
del medesimo in forza:
a) del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in
assemblea ordinaria;
b) del controllo di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante in assemblea ordinaria;
c) dell’esistenza di particolari vincoli contrattuali che
consentano di esercitare un’influenza dominante.
((4. Nel caso in cui il cliente sia una persona giuridica privata,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000,
n. 361
, sono cumulativamente individuati, come titolari effettivi:
a) i fondatori, ove in vita;
b) i beneficiari, quando individuati o facilmente individuabili;
c) i titolari di poteri di rappresentanza legale, direzione e
amministrazione.))

((5. Qualora l’applicazione dei criteri di cui ai precedenti commi
non consenta di individuare univocamente uno o piu’ titolari
effettivi, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le
persone fisiche titolari, conformemente ai rispettivi assetti
organizzativi o statutari, di poteri di rappresentanza legale,
amministrazione o direzione della societa’ o del cliente comunque
diverso dalla persona fisica.))

6. I soggetti obbligati conservano traccia delle verifiche
effettuate ai fini dell’individuazione del titolare effettivo
((nonche’, con specifico riferimento al titolare effettivo
individuato ai sensi del comma 5, delle ragioni che non hanno
consentito di individuare il titolare effettivo ai sensi dei commi 1,
2, 3 e 4 del presente articolo))
.

 

Art. 168 ter TUIR – Branch exemption – Normativa – Prassi – Modalità dichiarative impresa in ordinaria

Il concetto di stabile organizzazione viene individuato, nel nostro ordinamento, dall’art. 162 del TUIR (1) e dall’art5 del Modello di Convenzione dell’OCSE (2).

Entrambe le norme definiscono la stabile organizzazione come una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.

La definizione di stabile organizzazione fu introdotta, per la prima volta nel nostro diritto interno il 1° gennaio del 2004 dall’articolo 1 del Decreto legislativo del 12/12/2003 n. 344 che introdusse nel TUIR l’art.162 (1), in seguito novellato dall’articolo 1, comma 1010, della Legge del 27/12/2017 n. 205.

In base all’art 162 del TUIR l‘espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.

All’interno dell’articolo si possono individuare due tipologie di stabile organizzazione:

  • “stabile organizzazione materiale” (S.O.M.), in virtù della presenza fisica di una sede fissa di affari dell’impresa;
  • “stabile organizzazione personale” (S.O.P.), in presenza di agenti non indipendenti che hanno il potere di concludere contratti in nome e per conto della società (vedi comma 6 art. 162 del TUIR)

Il comma 1 dell’art. 162 del TUIR prevede una definizione generale per individuare la “stabile organizzazione materiale” .
La presenza di una stabile organizzazione in un determinato territorio deve essere valutata sulla base di una serie di requisiti che la dottrina definisce come “elementi costitutivi della fattispecie”:

  • oggettivi – un luogo fisico ove individuarla (place of business test) e la sua fissità (fixed place) in quel luogo;
  • soggettivi – la disponibilità della S.O.M. da parte dell’impresa estera (right of use) e la permanenza della “stabile organizzazione materiale (permanence test);
  • funzionali – la connessione dell’istallazione all’esercizio dell’impresa estera (business connection test) e l’idoneità produttiva dell’istallazione stessa (carrying on of the business enterprise).

Il comma 2 dell’art.162 del TUIR elenca una « Positive list » per la stabile organizzazione materiale:

L’espressione “stabile organizzazione” comprende in particolare:

a) una sede di direzione;

b) una succursale;

c) un ufficio;

d) un’officina;

e) un laboratorio;

f) una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali, anche in zone situate al di fuori delle acque territoriali in cui, in conformita’ al diritto internazionale consuetudinario ed alla legislazione nazionale relativa all’esplorazione ed allo sfruttamento di risorse naturali, lo Stato puo’ esercitare diritti relativi al fondo del mare, al suo sottosuolo ed alle risorse naturali.

f-bis) una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.

Il comma 4 dell’art.162 del TUIR elenca una «Negative list» per la stabile organizzazione materiale:

la dizione “stabile organizzazione” non comprende:

a) l’uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa;

b) la disponibilita’ di beni o merci appartenenti all’impresa immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;

c) la disponibilita’ di beni o merci appartenenti all’impresa immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;

d) la disponibilita’ di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini di acquistare beni o merci o di raccogliere informazioni per l’impresa;

e) la disponibilita’ di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini dello svolgimento, per l’impresa, di ogni altra attivita’;

f) la disponibilita’ di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini dell’esercizio combinato delle attivita’ menzionate nelle lettere da a) ad e).

Lo schema dell’art. 5 del Modello di Convenzione dell’OCSE, paragrafo (o comma) 1 stabilisce che ai fini della convenzione, l’espressione stabile organizzazione designa una sede di affari (ogni locale, macchinario o installazione,  come ad esempio il server per l’e-commerce) fissa (l’impresa deve avere a disposizione un determinato spazio che sia utilizzato per la propria attività) in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività (l’attività necessita di essere permanente nel senso che non ci sia interruzione della sua operatività, ma le operazioni vengano svolte con regolarità).

L’art5 del Modello di Convenzione dell’OCSE, analogamente da quanto disposto dall’art.162 del TUIR, al paragrafo 2 elenca una «Positive list» per la stabile organizzazione materiale ed al paragrafo 4 una«Negative list».

Il Commentario al Modello di Convenzioni OCSE fornisce una serie di indicazioni per meglio individuare la presenza di una “stabile organizzazione materiale.

La Stabile Organizzazione non è un soggetto titolare di autonoma soggettività giuridica distinto dalla casa madre : è la medesima società non residente che opera in uno Stato Estero per il tramite della Stabile Organizzazione.

Da un punto di vista civilistico, con il termine stabile organizzazione si intende, quindi,  un soggetto che non ha autonomia giuridica rispetto alla casa madre italiana, essendo più che altro la longa manu attraverso cui questa esercita la sua attività all’estero. Non avrà dunque necessità di un capitale sociale (anche se tipicamente la stabile organizzazione viene fornita di un fondo di dotazione adeguato allo scopo, soprattutto per problematiche fiscali), di organi gestori propri o di obblighi di redazione di bilancio. Per le passività della stabile organizzazione dunque risponde la casa madre italiana con il proprio patrimonio.

La nozione di Stabile Organizzazione ha una valenza esclusivamente fiscale e assume rilevanza con riferimento alla tassazione dei redditi prodotti nel territorio dello Stato Estero da un soggetto non ivi residente per il tramite della sua Stabile Organizzazione.

Dal punto di vista fiscale, quindi, la stabile organizzazione è un soggetto rilevante, tanto da avere un proprio numero identificativo estero (come la partita IVA o il codice fiscale).

La stabile organizzazione è un autonomo centro di imputazione di ricavi e costi, e viene tassata nello Stato estero per i redditi ivi prodotti.

La stabile organizzazione è considerata come un soggetto fiscalmente residente nello Stato estero ai fini fiscali, e come tale è soggetto alle ordinarie regole sulle imposte sul reddito previste per i soggetti esercenti attività di impresa (ad esempio in Italia, le stabili organizzazioni di soggetti non residenti sono soggetti IRES tassate come le società di capitali italiane).

Dal punto di vista tributario, quindi, la Stabile Organizzazione dovrà scontare la tassazione nello Stato Estero dove opera, in quanto considerata autonomo soggetto d’imposta, ma anche nel Paese di residenza della Società Madre, andando a generare un fenomeno di doppia imposizione attenuato o eliminato tramite l’applicazione delle Convenzioni contro le Doppie Imposizioni.

Laddove sia identificabile una Stabile Organizzazione, l’ordinamento le attribuisce un certo grado di autonomia, assoggettandola a particolari obblighi ed adempimenti come: la tenuta delle scritture contabili o la possibilità di essere sostituto d’imposta.
E’ da notare come, anche se posti in essere dalla Stabile Organizzazione obblighi e adempimenti, il soggetto giuridicamente obbligato a tali adempimenti è la Società Madre non residente in quanto, come si è detto, la Stabile Organizzazione non è un soggetto titolare di autonoma soggettività giuridica distinto dalla casa madre.

Va posto in evidenza come l’erronea convinzione, da parte della Società Madre non residente, di non concretizzare nel territorio dello Stato italiano una ipotesi di Stabile Organizzazione, possa comportare gravi conseguenze, non solo ai fini tributari (in termine di imposte non corrisposte e di adempimenti omessi), ma anche ai fini penali (qualora il reddito attribuibile alla stessa stabile organizzazione superi determinate soglie).
Simmetricamente anche la società italiana che incorra nello stesso errore, con riferimento ad una attività svolta in uno Stato Estero, incorrerà in pesanti conseguenze anche in questo Stato, quindi, una attenta disamina è fondamentale per evitare di incorrere in sanzioni, anche pesanti per omessa tassazione dei redditi prodotti all’estero.

Dal punto di vista contabile i risultati della Stabile Organizzazione saranno compresi nel bilancio ordinario della Casa Madre ed i redditi della Stabile Organizzazione concorreranno a formare il risultato d’esercizio della Casa Madre assoggettandolo a tassazione in Italia, salvo il riconoscimento del credito di imposta per i carichi tributari scontati all’estero.
La mancanza di soggettività giuridica autonoma determina l’immediata attribuzione dei redditi (o delle perdite) della Stabile Organizzazione in capo alla Casa Madre e quindi l’evidente assenza di dividendi nei rapporti reciproci.

In sintesi:
  • La stabile organizzazione (o branch) è una nozione prettamente fiscale che consente allo Stato, ove l’impresa viene svolta, di assoggettare a tassazione i redditi prodotti da un soggetto non residente;
  • L’entità legale è sempre la società di diritto italiano, unico soggetto di diritto: la stabile organizzazione (branch) è il suo braccio operativo nel territorio estero;
  • Lo Stato estero assoggetta ad imposte il reddito prodotto dalla branch. Tale reddito è tassato anche in Italia ove è riconosciuto un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (con certe limitazioni).

Il comma 5 dell’art. 14 del D.P.R. n. 600/1973 stabilisce che:
Le societa’, gli enti e gli impreditori di cui al primo comma che
esercitano attivita’ commerciali all’estero mediante stabili organizzazioni e quelli non residenti che esercitano attivita’ commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni, devono rilevare nella contabilita’ distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse.

La normativa fiscale, quindi,  impone la rilevazione distinta dei fatti gestionali che interessano la casa madre da quelli relativi alla stabile organizzazione.

Per quanto concerne le stabili organizzazioni di imprese italiane all’estero, la norma nazionale potrebbe considerarsi rispettata anche se la contabilità di queste è tenuta esclusivamente in Italia presso la casa madre, ma, ovviamente, anche lo Stato estero, analogamente a quanto voluto dall’Italia, richiederà la tenuta in loco della contabilità della stabile organizzazione, essendo questa assoggettata fiscalmente alla normativa estera.

La contabilità della stabile organizzazione estera, tenuta secondo la lingua, la forma, le norme contabili e la moneta locali, ha una valenza prettamente fiscale, in quanto finalizzata alla determinazione del reddito imponibile nello Stato estero.

Dato che la contabilità della stabile organizzazione deve essere tenuta sia nel Paese in cui la stessa è ubicata, sia in Italia, si pone la questione di esaminare le modalità di recepimento presso la casa madre della contabilità della filiale estera.

L’art. 22 del D.P.R. n. 600/1973 (3) stabilisce, le modalità ed i termini (Le registrazioni nelle scritture cronologiche e nelle scritture ausiliarie di magazzino devono essere eseguite non oltre sessanta giorni) sulla tenuta e sulla conservazione delle scritture contabili.

La contabilità della stabile può essere tenuta mediante l’utilizzo di scritture sezionali. La R.M. del 01.02.1983 – prot. n. 9/2398 ha precisato che: Relativamente agli obblighi contabili, questa Direzione generale si è già pronunciata con la citata circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977, con la quale é stata dichiarata la piena idoneità di una procedura contabile basata sul sistema delle scritture sezionali, nonché con la risoluzione del 15 luglio 1980, n. 9/428 dove si afferma che l’istituzione di “giornali sezionali” presso le unità operative di cui si vuole la separata gestione, permette una distinta imputazione di tutti quegli elementi di ricavo e di costo direttamente riferibili alla stessa unità.

La soluzione più semplice è che la stabile organizzazione:

  • rediga le scritture contabili obbligatorie nello Stato estero;
  • tenga una prima nota per la sede centrale, che rilevi in ordine cronologico i «fatti di gestione» (patrimoniali, finanziari ed economici) da inviare alla sede centrale per le annotazioni in contabilità che verrà redatta a sezioni divise al fine di poter redigere in forma separata i relativi rendiconti di gestione.

L’impresa italiana può adottare uno dei seguenti metodi contabili:

  • riportare in forma analitica i singoli fatti di gestione nella propria contabilità ordinaria, mediante appositi conti distinti (casa madre e stabile organizzazione) e senza dover adottare un sistema contabile composto da libri giornali sezionali (RM 15 luglio 1980, n. 9/428, Corte di Cassazione, sentenza 23 maggio 2002, n. 7554);
  • redigere in conformità della normativa italiana un libro giornale sezionale dedicato alla SO, al fine di riportare in forma analitica «i fatti di gestione» realizzati dalla SO e rilevati dalla prima nota, con il riporto dei relativi saldi, a cadenza mensile o bimestrale, nel libro giornale dell’impresa italiana.

Come abbiamo detto per evitare o ridurre la doppia imposizione, esiste l’istituto, previsto dall’art.165 del TUIR, del credito d’imposta per le imposte estere pagate in via definitiva (a questo proposito si veda la  Circolare 5 marzo 2015, n.9/E).

La società madre, se società di capitali,  dovrà compilare il Quadro CE del Modello SC riservato ai soggetti che hanno prodotto all’estero redditi per i quali si è resa definitiva l’imposta ivi pagata al fine di determinare il credito spettante ai sensi dell’art.165 del TUIR. Le imposte da indicare sono quelle divenute definitive entro il termine di presentazione della dichiarazione, oppure, nel caso di opzione di cui al comma 5 dell’art. 165 del TUIR, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo. Si considerano pagate a titolo definitivo le imposte divenute irripetibili, pertanto, non vanno indicate, ad esempio, le imposte pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso totale o parziale.

Ricapitolando:
  • le operazioni svolte dalla stabile organizzazione, pur essendo registrate in una contabilità separata rispetto a quella della casa madre, confluiscono nelle registrazioni contabili dell’impresa italiana;
  • la contabilità della stabile organizzazione è tenuta ai soli fini fiscali, al fine di calcolare il reddito ad essa afferente. Tale reddito viene tassato nello Stato estero e viene anche incluso nel reddito complessivo della casa madre;
  • le imposte pagate all’estero vengono scomputate dal reddito della casa madre mediante il meccanismo del credito di imposta;
  • conseguentemente, le perdite realizzate dalla stabile organizzazione nello Stato estero sono portate in diretta deduzione del reddito imponibile italiano, e pertanto immediatamente recuperate.

I principali aspetti civilistici e contabili della branch estera sono:

  • Sede secondaria con rappresentanza stabile della società: adempimenti al Registro imprese (art. 2197, c.c.) ed indicazione nella Relazione sulla gestione (art. 2428, c.c.);
  • Unicità del bilancio rilevante verso i terzi: consolidamento diretto sulla società dei dati dell’impresa estera;
  • Presso la società italiana: necessità di contabilità separata (o sezionale) della branch per la determinazione dell’imponibile estero (art. 14, co. 5, DPR 600/1973);
  • Presso la branch estera: adeguamento alle disposizioni locali (registri contabili, valuta, lingua, ecc.).

Avuto riguardo all’IRES

  • Non assoggettamento a ritenuta fiscale dei pagamenti per cd. “passive incomes” (royalty, interessi) fra branch e società madre;
  • Si applicano nei rapporti società madre – branch estera i principi del Transfer price (principio di libera concorrenza e valore normale delle transazioni);
  • Il risultato della branch estera concorre alla formazione del reddito imponibile Ires della società italiana;
  • Ri-espressione del risultato della branch estera secondo le disposizioni del TUIR;
  • Eliminazione della doppia tassazione secondo sistema del “credito per imposte estere” ex art. 165, Tuir.

Abbiamo visto come dal punto di vista tributario la Stabile Organizzazione sconti la tassazione sia nello Stato Estero dove opera, in quanto considerata autonomo soggetto d’impostasia nel Paese di residenza della Società Madre, andando a generare un fenomeno di doppia imposizione attenuato o eliminato tramite l’applicazione delle Convenzioni contro le Doppie Imposizioni.

A titolo esemplificativo riportiamo l’art.4 della  Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare di Bulgaria intesa ad evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio ed a prevenire le evasioni fiscali in cui viene definita la “stabile organizzazione”:

art. 4
Stabile organizzazione.
Testo: in vigore dal 10/06/1991 con effetto dal 01/01/1992

1. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attivita’.
2. L’espressione “stabile organizzazione” comprende in particolare: a) una sede di direzione;
b) una succursale;
c) un ufficio;
d) una officina;
e) un laboratorio;
f) una miniera, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali;
g) un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi.
3. Non si considera che vi sia “stabile organizzazione” se:
a) si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti all’impresa;
b) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;
c) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;
d) una sede fissa di affari e’ utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per l’impresa;
e) una sede fissa di affari e’ utilizzata, per l’impresa, ai soli fini di pubblicita’, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attivita’ analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario.
4. La partecipazione di un residente dell’Italia in una societa’ mista costituita in Bulgaria conformemente al Decreto n. 535 del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare di Bulgaria del 25 marzo 1980 e’ considerata “stabile organizzazione” ai fini della presente Convenzione.
5. Una persona che agisce in uno Stato contraente per conto di una impresa dell’altro Stato contraente – diversa da un agente che goda di uno status indipendente, di cui al paragrafo 6 – e’ considerata “stabile organizzazione” nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettano di concludere contratti a nome dell’impresa, salvo il caso in cui l’attivita’ di detta persona sia limitata all’acquisto di merci per l’impresa.
6. Non si considera che un’impresa di uno Stato contraente ha una stabile organizzazione nell’altro Stato contraente per il solo fatto che essa vi esercita la propria attivita’ per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attivita’.
7. Il fatto che una societa’ residente di uno Stato contraente:
a) possiede una partecipazione in una societa’ che e’ residente dell’altro Stato contraente (ovvero questa ultima societa’ possiede una partecipazione nella prima),
b) o svolge la sua attivita’ nell’altro Stato contraente (sia per mezzo di una stabile organizzazione oppure no),
non costituisce di per se’ motivo sufficiente per far considerare una qualsiasi delle dette societa’ una stabile organizzazione dell’altra.

Nell’art. 6 della Convenzione vengono stabilite le modalità per l’imponibilità degli utili di una “stabile organizzazione”:

art. 6
Utili delle imprese.
Testo: in vigore dal 10/06/1991 con effetto dal 01/01/1992

1. Gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attivita’ nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l’impresa svolge in tal modo la sua attivita’, gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione.
2. Fatte salve le disposizioni del paragrafo 3, quando un’impresa di uno Stato contraente svolge la sua attivita’ nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di una impresa distinta e separata svolgente attivita’ identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe e in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile organizzazione.
3. Nella determinazione degli utili di una stabile organizzazione sono ammesse in deduzione le spese sostenute per gli scopi perseguiti dalla stessa stabile organizzazione, comprese le spese di direzione e le spese generali di amministrazione sostenute sia nello Stato in cui e’ situata la stabile organizzazione, sia altrove.
4. Nessun utile puo’ essere attribuito ad una stabile organizzazione per il solo fatto che essa ha acquistato merci per l’impresa.
5. Quando gli utili comprendono elementi di reddito considerati separatamente in altri articoli della presente Convenzione, le disposizioni di tali articoli non vengono modificate da quelle del presente articolo.

Il legislatore italiano, in un’ottica di favorire la competitività
delle imprese residenti che operano all’estero per il tramite di stabili organizzazioni, in applicazione delle raccomandazioni degli organismi internazionali e dell’Unione europea (Vedi OCDE – Model Convention), con  il DECRETO LEGISLATIVO 14 settembre 2015, n. 147 “Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese” (15G00163) (GU Serie Generale n.220 del 22-9-2015), mediante l’inserimento del nuovo articolo 168-ter nel DPR n. 917/1986 (4), ha introdotto nell’ordinamento nazionale, la c.d. “branch exemption” (Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti).

Con la “branch exemption” viene introdotta la possibilità, in capo ad un’impresa residente nel territorio dello Stato, mediante l’esercizio di un’opzione irrevocabile, delle non rilevanza fiscale di utili e e perdite realizzati dalla sue stabili organizzazioni all’estero, da
determinarsi in ogni caso secondo i criteri dettati dall’articolo 152 del DPR n. 917/1986.

Con l’introduzione di tale opzione, l’Italia consente così alle sue società con stabili organizzazioni all’estero di poter beneficiare delle agevolazioni previste dalle legislazioni degli altri Paesi, così come di un tax rate ( pressione fiscale totale sulle imprese) più basso rispetto a quello nazionale.

La finalità perseguita con l’introduzione dell’opzione in parola è quella di favorire l’internazionalizzazione delle imprese nazionali, rendendo “neutro” il risultato (profitti e/o perdite) conseguiti all’estero.

Come suddetto il regime della branch exemption è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’Articolo 168 ter (Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti) del TUIR-  Articolo aggiunto dall’art. 14, comma 1, decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 147.

Riportiamo integralmente il testo dell’Articolo 168 ter del TUIR – Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti. (1) (2)(aggiungendo gli incisi per facilitarne la lettura)

In vigore dal 12/01/2019
Modificato da: Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 Articolo 5

1. Un’impresa residente nel territorio dello Stato puo’ optare per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero.

2. L’opzione e’ irrevocabile ed e’ esercitata al momento di costituzione della stabile organizzazione, con effetto dal medesimo periodo d’imposta.

3. Quando la stabile organizzazione soddisfa le condizioni di cui al comma 4 dell’articolo 167 ( cioè quando i soggetti controllati non residenti integrano congiuntamente le seguenti condizioni:

a) sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono indicati i criteri per effettuare, con modalita’ semplificate, la verifica della presente condizione, tra i quali quello dell’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile;

b) oltre un terzo dei proventi da essi realizzati rientra in una o piu’ delle seguenti categorie:

1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;

2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprieta’ intellettuale;

3) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;

4) redditi da leasing finanziario;

5) redditi da attivita’ assicurativa, bancaria e altre attivita’ finanziarie;

6) proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;

7) proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente; ai fini dell’individuazione dei servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo si tiene conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi del comma 7 dell’articolo 110.), l’opzione di cui al comma 1 si esercita, relativamente a tali stabili organizzazioni, a condizione che ricorra l’esimente di cui al comma 5 del citato articolo 167 ( se il soggetto controllante dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali. Ai fini del presente comma, il contribuente puo’ interpellare l’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212. Per i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 5 maggio 2015, n. 128, l’istanza di interpello di cui al secondo periodo puo’ essere presentata indipendentemente dalla verifica delle condizioni di cui al comma 4, lettere a) e b)).

4. Le imprese che esercitano l’opzione di cui al comma 1 applicano alle proprie stabili organizzazioni, in assenza dell’esimente richiamata nel comma 3, le disposizioni dell’articolo 167.

5. Nel caso di esercizio dell’opzione di cui al comma 1 con riferimento alle stabili organizzazioni per le quali risulti integrato il requisito del comma 1 dell’articolo 47-bis (cioè si intenda localizzata in uno stato  o territorio fiscalmente privilegiato ai sensi dell’art. 47-bis 1. I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167;

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia…………..) e non si siano rese applicabili le disposizioni di cui all’articolo 167 ( Disposizioni in materia di imprese estere controllate.), si applicano, sussistendone le condizioni, le disposizioni degli articoli 47, comma 4 (concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1;), e 89, comma 3.

6. Per le stabili organizzazioni gia’ esistenti, l’opzione di cui al comma 1 puo’ essere esercitata entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni (Entrata in vigore dal 07/10/2015, secondo periodo d’imposta successivo 2017, quindi dichiarazione dei redditi 2017 per periodo d’imposta 2016) con effetto dal periodo d’imposta in corso a quello di esercizio della stessa. L’esercizio dell’opzione non determina in se’ alcun realizzo di plusvalenze e minusvalenze.

7. Ai fini del comma 6, l’impresa indica separatamente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di esercizio dell’opzione, gli utili e le perdite attribuibili a ciascuna stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di effetto dell’opzione. Se ne deriva una perdita fiscale netta, gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione sono imponibili fino a concorrenza della stessa. Dall’imposta dovuta si scomputano le eventuali eccedenze positive di imposta estera riportabili ai sensi dell’articolo 165, comma 6 ( L’imposta estera pagata a titolo definitivo su redditi prodotti nello stesso Stato estero eccedente la quota di imposta italiana relativa ai medesimi redditi esteri, costituisce un credito d’imposta fino a concorrenza della eccedenza della quota d’imposta italiana rispetto a quella estera pagata a titolo definitivo in relazione allo stesso reddito estero …………).

8. Le disposizioni del comma 7 relative al recupero delle perdite fiscali pregresse della stabile organizzazione si applicano anche quando venga trasferita a qualsiasi titolo la stabile organizzazione o parte della stessa ad altra impresa del gruppo che fruisca dell’opzione di cui al comma 1.

9. L’impresa cedente indica nell’atto di trasferimento della stabile organizzazione o di parte della stessa l’ammontare dell’eventuale perdita netta realizzata dalla medesima stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta precedenti al trasferimento.

10. In caso di esercizio dell’opzione, il reddito della stabile organizzazione va separatamente indicato nella dichiarazione dei redditi dell’impresa e ai fini della sua determinazione valgono i criteri di cui all’articolo 152, anche con riferimento alle transazioni intercorse tra l’impresa e la medesima stabile organizzazione, nonche’ tra quest’ultima e le altre imprese del medesimo gruppo. Si applicano le disposizioni dell’articolo 26 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2000, n. 122.

11. Nel rispetto dei principi di trasparenza, correttezza e collaborazione cui deve essere improntato il rapporto con il contribuente, l’Agenzia delle entrate provvede a pubblicare a titolo esemplificativo sul proprio sito le fattispecie ritenute elusive delle precedenti disposizioni, da aggiornarsi periodicamente.


Il regime della branch exemption prevede che, su opzione, siano esenti i proventi prodotti all’estero dalla stabile organizzazione di un soggetto residente in Italia titolare di reddito di impresa (deroga al c.d. worldwide taxation principle che stabilisce che tutti i residenti in un dato paese devono pagare le tasse su tutte le fonti di reddito, sia quelle che hanno origine nel territorio dello Stato che quelle originate fuori dal territorio dello Stato).

Da un punto di vista operativo, la stabile organizzazione deve possedere un codice di identificazione fiscale della stabile organizzazione, ove attribuito dall’autorità fiscale del Paese di localizzazione ovvero, se attribuito, il codice identificativo rilasciato da un’Autorità amministrativa (indicazione richiesta, come vedremo, dalle istruzioni ministeriali alla compilazione del modello PF, Quadro RF, Rigo RF130).

L’opzione per il regime della branch exemption:

  • può essere esercitata da qualunque soggetto residente in Italia titolare di reddito di impresa, a condizione che svolga la propria attività commerciale anche all’estero, tramite una o più stabili organizzazioni;
  • va esercitata nella dichiarazione dei redditi, con effetto dal medesimo periodo;
  • per le imprese di nuova costituzione l’opzione va esercitata nella prima dichiarazione utile a far data dalla costituzione della branch;
  • è irrevocabile;
  • è “istantanea” in quanto deve essere esercitata al momento di costituzione della stabile organizzazione (se non esercitata in tale momento  l’impresa è vincolata al regime ordinario lungo l’intero arco della sua vita);
  • riguarda tutte le stabili organizzazioni possedute dall’impresa residente, in ottemperanza al principio all in – all out.

Per effetto dell’opzione esercitata dalla casa madre italiana sono irrilevanti, ai fini fiscali, gli utili e le perdite realizzati dalle sue stabili organizzazioni all’estero.

In base al comma 3 dell’articolo 168 ter emerge che una prima verifica da fare è riscontrare se una stabile organizzazione soddisfa le condizioni di cui al comma 4 dell’articolo 167.

La  nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir elimina la distinzione fra il regime delle  “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc)  “black list” e quello più generale riferito alle c.d. Cfc “white list”.

Dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 si configura un unico regime per le Cfc, indipendentemente dalla loro localizzazione, quando ricorrono congiuntamente due requisiti:

  1. l’impresa estera è assoggettata a tassazione “effettiva” inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta ove fosse stata residente in Italia;
  2. oltre 1/3 dei proventi realizzati dall’impresa estera rientra nella categoria dei d. “passive income così come è definita in 7 punti contenuti nell’articolo 167, comma 4, Tuir.

Quindi, quando ricorrono  congiuntamente i due requisiti di cui sopra l’opzione per regime della branch exemption può essere esercita, relativamente a tali stabili organizzazioni, se il soggetto controllante dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di:

  • personale;
  • attrezzature;
  • attivi;
  • locali.

Per l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 168-ter del TUIR vedasi l’art. 14, commi 2, 3 e 4 del citato decreto legislativo n. 147 del 2015.

Le modalità applicative del regime di branch exemption (ai sensi dell’art. 14, comma 3, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147) sono state emanate con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 agosto 2017, n. 165138.

Il  del Provvedimento, tra l’altro, chiarisce che:

  • punto 2.4 – l’opzione è efficace a condizione che sia configurabile una stabile organizzazione
    nello Stato estero di localizzazione ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni tra quest’ultimo e l’Italia, ove in vigore, ovvero, in mancanza di una Convenzione, dei criteri di configurazione della stabile organizzazione dettati dall’articolo 162 del TUIR, a meno che, in ogni caso, lo Stato estero non ravvisi
    l’esistenza di una stabile organizzazione ai sensi della sua legislazione domestica.
  • punto 2.7 – Il mancato esercizio dell’opzione nei termini previsti dalle disposizioni di cui ai punti precedenti non impedisce all’impresa di accedere successivamente al regime di branch exemption ogni volta che costituisce una nuova branch, con le modalità e gli effetti di cui ai punti precedenti.
  • punto 3.1 –L’efficacia dell’opzione cessa a seguito della chiusura, anche per liquidazione o cessione, di tutte le branch esenti, oltre che in applicazione delle disposizioni del paragrafo 10. La successiva costituzione di altre stabili organizzazioni richiede l’esercizio di una nuova opzione, ove l’impresa scelga di ricominciare ad applicare il medesimo regime.

Il paragrafo 4 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 agosto 2017, n. 165138 si sofferma sul meccanismo di “recapture”: partecipazione dei redditi realizzati dalla stabile organizzazione esente al reddito imponibile di casa madre fino a concorrenza delle perdite fiscali nette prodotte dalla medesima branch nei cinque periodi d’imposta antecedenti all’esercizio dell’opzione.

L’impresa residente in Italia deve indicare separatamente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di esercizio dell’opzione, gli utili e le perdite attribuibili a ciascuna stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di effetto dell’opzione, ricordando che:

  • se ne deriva una perdita fiscale netta, gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione sono imponibili fino a concorrenza della stessa;
  • dall’imposta dovuta si scomputano le eventuali eccedenze positive di imposta estera riportabili ai sensi dell’articolo 165, comma 6, Tuir.

Nella risoluzione n. 4 del 15 gennaio 2018 sono contenuti ulteriori chiarimenti sugli adempimenti dichiarativi.

Consideriamo gli adempimenti dichiarativi per un’impresa in regime ordinario

In caso di opzione per il regime di cui all’art. 168-ter del TUIR per ogni singola stabile organizzazione (“branch”) vanno apportate al risultato del rendiconto economico e patrimoniale, redatto secondo i criteri dettati dall’art. 152 del TUIR, le variazioni in aumento e in diminuzione previste dalle disposizioni in materia di reddito d’impresa per i soggetti residenti nel territorio dello Stato al fine di determinare il reddito o la perdita della branch esente, da indicare separatamente, a seconda dei casi, nei moduli successivi al primo del presente quadro oppure nel quadro FC.

Il reddito della branch va sottratto dal reddito imponibile o sommato alla perdita fiscale dell’impresa nel complesso.

La somma algebrica dei redditi e delle perdite di tutte le singole branch risultanti dai predetti moduli va riportata tra le variazioni in aumento (se negativa) o in diminuzione (se positiva), rispettivamente, nei righi RF31 (codice 45) e RF55 (codice 41) del primo modulo.

Istruzioni al Quadro RF della dichiarazione dei redditi Persone Fisiche 2023

I soggetti residenti nel territorio dello Stato optano per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero (art. 168-ter del TUIR, c.d. “branch exemption”) nel presente quadro RF riferito al periodo d’imposta di costituzione della branch, a partire dal quale è efficace il regime di branch exemption e devono indicare separatamente il reddito prodotto da ciascuna stabile organizzazione.
Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 agosto 2017, n. 165138 sono state emanate le modalità applicative del regime di branch exemption (ai sensi dell’art. 14, comma 3 del citato decreto legislativo n. 147 del 2015.).
Per ciascuna stabile organizzazione all’estero va compilato un distinto modulo del quadro RF, utilizzando moduli successivi al primo (riservato alla determinazione del reddito dell’impresa residente) e avendo cura di numerare distintamente ciascuno di essi e di riportare la numerazione progressiva nella casella posta in alto a destra del quadro.
Per le stabili organizzazioni già esistenti, il soggetto residente indica separatamente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo
d’imposta di esercizio dell’opzione i redditi e le perdite attribuibili a ciascuna stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di effetto dell’opzione. Se ne deriva una perdita fiscale netta, i redditi successivamente realizzati dalla stabile organizzazione sono imponibili fino a concorrenza della stessa (“recapture”, art. 168-ter, comma 7, del TUIR).
Le perdite oggetto di recapture vanno indicate solo per l’ammontare delle stesse effettivamente utilizzato. La parte non utilizzata non
concorre a formare le perdite fiscali dell’impresa residente riportabili da quest’ultima (nell’apposito prospetto del quadro RS) che dovranno essere conseguentemente ridotte di pari importo.
In presenza di più siti produttivi nel medesimo Stato, a prescindere dalla qualificazione operata nel Paese di localizzazione, per il calcolo
del recapture si assume l’esistenza di una sola stabile organizzazione per ciascuno Stato estero.
Nei casi in cui la stabile organizzazione soddisfi le condizioni di cui al comma 4 dell’art. 167 del TUIR, e ricorra l’esimente di cui al comma
5 del citato art. 167 occorre compilare la casella “Art. 167, comma 5” indicando uno dei seguenti codici:

“1”, in caso di mancata presentazione dell’istanza di interpello e sussistenza delle condizioni per la disapplicazione della disciplina CFC;

“2”, in caso di presentazione dell’istanza di interpello, in assenza di risposta favorevole, e sussistenza delle condizioni per la disapplicazione della disciplina CFC.

Nel rigo RF130, per ciascuna stabile organizzazione va indicato:

nella colonna 1, il codice di identificazione fiscale della stabile organizzazione, ove attribuito dall’autorità fiscale del Paese di localizzazione ovvero, se attribuito, il codice identificativo rilasciato da un’Autorità amministrativa. Qualora la stabile organizzazione sia divisa in più siti produttivi, ciascuno con un proprio codice identificativo, il codice da riportare nella presente colonna può essere riferito a uno dei vari siti produttivi, a scelta del contribuente;

nella colonna 2, il codice dello Stato o territorio estero (rilevato dalla tabella “Elenco dei Paesi e territori esteri”);

nelle colonne da 3 a 7, nel caso in cui la stabile organizzazione sia già esistente, i redditi e le perdite (precedute dal segno meno) attribuibili alla stessa nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di effetto dell’opzione;

nella colonna 8 la perdita netta (non preceduta dal segno meno), pari alla somma algebrica, se negativa, degli importi indicati nelle
colonne da 3 a 7
Nella medesima colonna 8, i contribuenti che hanno compilato il presente prospetto nella dichiarazione modello REDDITI PF 2022, riportano l’ammontare della perdita netta residua di cui alla colonna 11 del rigo RF130 del citato modello REDDITI PF 2022; in tale ultimo caso le colonne da 3 a 7 non vanno compilate;

nella colonna 10, il reddito imponibile pari al minore importo tra il reddito della stabile organizzazione prodotto nel periodo d’imposta oggetto della presente dichiarazione (importo di rigo RF101 (Reddito d’impresa di spettanza dell’imprenditore al netto delle perdite d’impresa (sommare tale importo agli altri redditi e riportare nel quadro RN)) , se positivo)

e la perdita netta di colonna 8;

nella colonna 11, la perdita netta residua pari alla seguente somma algebrica, se positiva:

colonna 8 – colonna 10

Si fa presente che le colonne da 3 a 8 vanno compilate anche in assenza di un reddito nel rigo RF101.

Il rigo RF130 non può essere compilato sul primo modulo del presente quadro.

Da considerare che

Istruzioni al Quadro RF della dichiarazione dei redditi Persone Fisiche 2023

  • nel rigo RF 31 (Altre variazioni in aumento) vanno indicati:

    • codice 45, in caso di esercizio dell’opzione di cui all’art. 168-ter del TUIR, la somma algebrica, se negativa, dei redditi e delle perdite di tutte le stabili organizzazioni all’estero, comprese quelle che soddisfano le condizioni di cui al comma 4 dell’art. 167 del TUIR (CFC), in assenza dell’esimente di cui al comma 5 del citato art. 167;
    • codice 46, l’ammontare del reddito imponibile delle stabili organizzazioni all’estero, a seguito dell’applicazione della disciplina di cui al comma 7 dell’art. 168-ter del TUIR (Ai fini del comma 6, l’impresa indica separatamente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di esercizio dell’opzione, gli utili e le perdite attribuibili a ciascuna stabile organizzazione nei cinque periodi d’imposta antecedenti a quello di effetto dell’opzione. Se ne deriva una perdita fiscale netta, gli utili successivamente realizzati dalla stabile organizzazione sono imponibili fino a concorrenza della stessa. Dall’imposta dovuta si scomputano le eventuali eccedenze positive di imposta estera riportabili ai sensi dell’articolo 165, comma 6.), pari alla somma degli importi indicati nella colonna 10 (Reddito imponibile) del rigo RF130 di tutti i moduli compilati;
  • nel rigo RF 55 (Altre variazioni in diminuzione) va indicato:

    • codice 41, in caso di esercizio dell’opzione di cui all’art. 168-ter del TUIR, la somma algebrica, se positiva, dei redditi e delle perdite delle stabili organizzazioni all’estero, comprese quelle che soddisfano le condizioni di cui al comma 4 dell’art. 167 del TUIR, in assenza dell’esimente di cui al comma 5 del citato art. 167;

Le imprese che hanno optato per il regime di esenzione di cui all’art.168-ter  TUIR , non devono compilare il Quadro CE del Modello SC riservato ai soggetti che hanno prodotto all’estero redditi per i quali si è resa definitiva l’imposta ivi pagata al fine di determinare il credito spettante ai sensi dell’art. 165 del TUIR., con riferimento ai redditi delle stabili organizzazioni all’estero prodotti nei periodi d’imposta in regime di branch exemption. Nell’ipotesi di cui al comma 7 del citato art.168-ter  TUIR, dette imprese possono, tuttavia, compilare la sezione II-C al fine di evidenziare le eccedenze di imposta estere maturate in capo alla casa madre negli otto esercizi precedenti a quello di efficacia dell’opzione da scomputare dall’imposta dovuta sul reddito della branch esente assoggettato a recapture (punto 4.5 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 agosto 2017, n. 165138).

(1) Articolo aggiunto dall’art. 14, comma 1, decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 147. Per l’applicazione delle disposizioni contenute nel presente articolo vedasi l’art. 14, commi 2, 3 e 4 del citato decreto legislativo n. 147 del 2015.

(2) Si veda quanto disposto dall’articolo 1, comma 94, della legge n. 197/2022 (legge di bilancio 2023). (L’opzione di cui al comma 88 (imposizione sostitutiva ridotta gli utili accantonati in capo alle società partecipate estere residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato) può essere esercitata anche in relazione agli utili attribuibili alle stabili organizzazioni che applicano il regime fiscale disciplinato dall’articolo 168-ter del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.)

 

 

Modalità dichiarative – Dividendi esteri percepiti da persona fisica che non esercita in forma di impresa

Per poter individuare correttamente quale sia il trattamento fiscale degli utili conseguiti in base alla partecipazione ad una società estera è necessario stabilire

  • se questa è  stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata e la partecipazione è qualificata e il partecipante residente non dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali non sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RL – SEZIONE I-A);
  • se questa è  stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata e la partecipazione è qualificata e il partecipante residente  dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RM – SEZIONE V);
  • se questa è  stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata e la partecipazione non è qualificata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati e il partecipante residente non dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali non sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RL – SEZIONE I-A);
  • se questa è  stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata e la partecipazione non è qualificata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati e il partecipante residente  dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali  sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sul 100% del provento percepito);
  • se questa è  stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata e la partecipazione non è qualificata i cui titoli  sono negoziati in mercati regolamentati (QUADRO RM – SEZIONE V);
  • se questa non è  stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata e se si tratta di una 
    • patecipazione non qualificata. Gli utili di fonte estera  qualora siano derivanti da partecipazioni non qualificate non possono essere assoggettati a tassazione ordinaria. (QUADRO RM – SEZIONE V);
    • partecipazione qualificata 
      • formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 (QUADRO RM – SEZIONE V);
      • formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2022 (QUADRO RL – SEZIONE I-A);
      • formatisi con utili prodotti fino all’esercizio  in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dopo il 31 dicembre 2022 (QUADRO RM – SEZIONE V con possibilità di optare per la tassazione ordinaria QUADRO RL – SEZIONE I-A);
  • se si è in presenza di una Controlled Foreign Companies (c.d. Cfc) regolamentata dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir  (QUADRO FC e QUADRO RM – SEZIONE VIII).

In caso di società non residente che distribuisce un dividendo occorre fare riferimento all’articolo 44 del DPR n 917/86 comma 2 lettera a) che considera utile di capitale il provento con le seguenti caratteristiche:

  • Il provento deriva dalla partecipazione al capitale o patrimonio di una società non residente;
  • Il soggetto estero non deduce dal proprio reddito la remunerazione in questione.

In base all’art. 18 del TUIR (Imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera) il contribuente deve applicare un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 26% dell’ammontare percepito dei dividendi esteri, se percepiti direttamente dal contribuente senza applicazione di ritenuta da parte di un intermediario finanziario residente.

Riportiamo il primo comma dell’art. 18 del TUIR

1. I redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti a soggetti residenti nei cui confronti in Italia si applica la ritenuta a titolo di imposta o l’imposta sostitutiva di cui all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239, sono soggetti ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d’impostaIl contribuente ha la facolta’ di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva ed in tal caso compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle distribuzioni di utili di cui all’articolo 27, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

La Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. Legge di Bilancio 2018) ha modificato la disciplina della tassazione dei dividendi percepiti da persone fisiche non in regime di impresa, rendendo omogeneo il trattamento delle partecipazioni ‘qualificate’ e ‘non qualificate’, ovvero assoggettando entrambe ad una ritenuta a titolo di imposta del 26% (art.1 comma 1003 lett.a) che ha modificato l’art. 27 – Ritenuta sui dividendi – Decreto del Presidente della Repubblica del 29/09/1973 n. 600)
L’art.1 comma 1005 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 stabilisce che le disposizioni di cui ai commi da 999 a 1006 si applicano ai
redditi di capitale percepiti a partire dal 1º gennaio 2018.

Per la generalità dei soggetti d’imposta (compresi, quindi, i soggetti imprenditori), la tassazione dei dividendi avviene secondo il criterio di cassa. Rileva il momento dell’effettiva percezione, indipendentemente dall’eventuale iscrizione in bilancio in un esercizio precedente.

Non assume rilevanza a tal fine, la data nella quale è stata deliberata la distribuzione degli utili.

I redditi di capitale di fonte estera, diversi da quelli che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente (da partecipazioni di natura qualificata per cui è stata esercitata l’opzione di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e qli utili di fonte estera di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, che vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A), percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti vanno dichiarati nella sezione V del quadro RM.

Come abbiamo visto, in base all’art. 18 del TUIR (Imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera)tali redditi sono soggetti ad imposizione sostitutiva nella stessa misura della ritenuta alla fonte a titolo di imposta applicata in italia sui redditi della stessa natura (26%).

In base al primo comma dell’art. 18 del TUIR il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e in tal caso compete il credito d’imposta per le imposte pagate all’esteroIn tal caso i redditi vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A.

A questo proposito va fatta una considerazione, i dividendi di fonte estera  qualora siano derivanti da

  1. partecipazioni non qualificate non possono essere assoggettati a tassazione ordinaria ma sono obbligatoriamente soggetti ad imposizione sostitutiva (QUADRO RM – SEZIONE V)
  2.  partecipazioni qualificate e formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017  sono obbligatoriamente soggetti ad imposizione sostitutiva (QUADRO RM – SEZIONE V)
  3.  partecipazioni qualificate e formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2022 sono assoggettati a tassazione ordinaria (QUADRO RL – SEZIONE I-A)

per cui il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e, in tal caso, vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A e compete il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero  solo per gli utili formatisi con utili prodotti fino all’esercizio  in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dopo il 31 dicembre 2022.

Vedi istruzioni ministeriali alla Dichiarazione dei redditi

Gli utili di fonte estera (compresi quelli derivanti da strumenti finanziari e da contratti di associazione in partecipazione) qualora siano derivanti da partecipazioni non qualificate non possono essere assoggettati a tassazione ordinaria. Inoltre, dal 1 gennaio 2018, anche gli utili e gli altri proventi di fonte estera derivanti da partecipazioni di natura qualificata, formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, sono assoggettati a tassazione come le partecipazioni non qualificate, pertanto, non devono più essere assoggettati a tassazione ordinaria. Gli utili e gli altri proventi di natura qualificata derivanti dalla partecipazione al capitale di società ed enti esteri di ogni tipo, formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberate dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad essere indicati nel quadro RL, Sezione I.
Per gli utili e gli altri proventi assimilati di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, vedere istruzioni quadro RL

La sussistenza del requisito della qualificazione della quota sociale è riscontrabile, sotto il profilo tributario, dall’articolo 67, comma 1, lettera c) del DPR n. 917/86.

Secondo tale disciplina si considerano partecipazioni qualificate quelle che (a seconda della natura della partecipata), presentano le seguenti caratteristiche:

  • Società aventi titoli negoziati in mercati regolamentati:
    • Diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiori al 2%;
    • Partecipazione al capitale sociale (oppure al patrimonio) eccedente il 5%;
  • Società non aventi titoli quotati:
    • Diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiori al 20%;
    • Partecipazione al capitale sociale (oppure al patrimonio) eccedente il 25%;

I redditi di capitale di fonte estera dei contribuenti  che detengono partecipazioni di natura non qualificata, percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti vanno obbligatoriamente  dichiarati nella Sezione V del quadro RM.

Come suddetto per poter individuare correttamente quale sia il trattamento fiscale degli utili conseguiti in base alla partecipazione ad una società stabilita in un Paese non a fiscalità privilegiata è necessario stabilire  se si tratta di una 

  • patecipazione non qualificata. Gli utili di fonte estera  qualora siano derivanti da partecipazioni non qualificate non possono essere assoggettati a tassazione ordinaria. (QUADRO RM – SEZIONE V);
  • partecipazione qualificata 
    • formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 (QUADRO RM – SEZIONE V);
    • formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2022 (QUADRO RL – SEZIONE I-A);
    • formatisi con utili prodotti fino all’esercizio  in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dopo il 31 dicembre 2022 (QUADRO RM – SEZIONE V con possibilità di optare per la tassazione ordinaria QUADRO RL – SEZIONE I-A).

Una considerazione particolare merita la diversa base imponibile su cui calcolare la tassazione sui dividendi esteri a seconda se al momento dell’incasso intervenga o no un intermediario finanziario residente.

Le fattispecie che possiamo avere sono le seguenti:

  • Ritenuta a titolo di imposta. L’articolo 27, commi 4, 4-bis e 5 del DPR n. 600/73, prevede l’assoggettamento dei dividendi esteri a ritenuta a titolo di imposta del 26%se al momento dell’incasso interviene un intermediario residente, da calcolarsi sui dividendi percepiti al netto delle ritenute subite nello Stato estero di residenza della società erogante: la base imponibile rappresenta il c.d. “netto frontiera“;
  • Imposta sostitutiva. L’articolo 18, comma 1, del DPR n 917/86stabilisce l’assoggettamento ad imposta sostitutiva nel caso in cui l’incasso da parte dei soci avvenga senza l’intervento di un intermediario residente non facendo alcun riferimento al valore “netto frontiera, valore al quale fa invece riferimento il DPR n 600/73 (Infatti nel Quadro RM, rigo RM12, colonna 3, va indicato l’ammontare del reddito, al lordo di eventuali ritenute subìte nello stato estero in cui il reddito è stato prodotto).

L’Agenzia delle Entrate ha ribadito con  Risposta n. 111 del 21/04/2020 ad un interpello   che i dividendi di provenienza estera incassati senza l’intervento di un intermediario residente (banca o fiduciaria italiana) debbono essere assoggettati a tassazione al lordo delle imposte assolte nello Stato estero, mentre gli stessi dividendi percepiti attraverso un intermediario residente vengono assoggettati a tassazione al netto delle imposte estere.

Le prime istruzioni rilasciate nel 2020 per la dichiarazione dei redditi persone fisiche prevedevano al rigo RM12 la nuova colonna 5 dove avrebbe dovuto essere inserita “L’imposta pagata all’estero”, che avrebbe consentito di scomputare le imposte pagate all’estero sui dividendi esteri. Successivamente le istruzioni sono state modificate e la colonna 5 è diventata “credito IVCA” ovvero credito per l’imposta sul valore dei contratti assicurativi.

Le soluzioni  possibili potrebbero essere le seguenti:

  • Continuare ad assoggettare a tassazione i  dividendi sul netto frontiera, rischiando di essere soggetti ad accertamento;
  • Assoggettare a tassazione i dividendi  al lordo frontiera e richiedere la restituzione della differenza d’imposta mediante istanza di rimborso;
  • Valutare l’intestazione fiduciaria italiana delle azioni estere;
  • Fare intervenire la banca italiana nell’incasso dei dividendi esteri.

Per quanto attiene I redditi di capitale di fonte estera

  • da partecipazioni di natura qualificata per cui è stata esercitata l’opzione di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva;
  • qli utili di fonte estera di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati,

che vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A essi dovranno essere riportati nel quadro RN al rigo RN1 per la determinazione del reddito complessivo.

Per quanto attiene il credito d’imposta il contribuente dovrà riportare le risultanze del quadro CE (Credito di imposta per redditi prodotti all’estero) al rigo RN29.

Credito d’imposta

Per i redditi di capitale di fonte estera dichiarati nel quadro RL, sez. I-A (riportati nel quadro RN al rigo RN1 per la determinazione del reddito complessivo) trova applicazione l’art. 165 TUIR che prevede che se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.

Per quanto attiene il credito d’imposta il contribuente dovrà riportare le risultanze del quadro CE (Credito di imposta per redditi prodotti all’estero) al rigo RN29.

L’art. 165 TUIR  prevede che il contribuente possa detrarre dall’imposta sui redditi dovuta in Italia un credito per le imposte versate all’estero.

Ai sensi dell’art. 165 comma 1 del TUIR, la detrazione è, però, ammissibile “fino a concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.

L’imposta dovuta in Italia costituisce, quindi, il limite massimo entro cui può essere operata la detrazione; infatti, se le imposte versate all’estero superano quelle dovute in Italia, si genera una limitata doppia imposizione del provento e l’eccedenza di imposta estera non è recuperabile.

Il credito per le imposte pagate all’estero può essere scomputo dall’imposta dovuta in Italia se il reddito estero concorre alla formazione del reddito complessivo da dichiarare in Italia. A tal fine, l’art. 165, comma 10, del TUIR stabilisce che se un reddito estero concorre solo parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente.

Per poter beneficiare del credito d’imposta sono richieste le seguenti condizioni:

  • produzione di un reddito estero;
  • pagamento delle imposte estere a titolo definitivo;
  • concorso del reddito estero alla formazione del reddito imponibile in Italia.

Con tale metodo, infatti, quando l’imposta estera, rispetto a quella dovuta in Italia (Paese di residenza del contribuente) è:

  • inferiore, occorre versare all’Erario italiano la differenza;
  • superiore, non si dà luogo a “restituzione” dell’eccedenza, in quanto il credito compete solo fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero.

Il comma 1 dell’articolo 165 del TUIR prevede la regola generale per il calcolo del “foreign tax credit”, stabilendo che le imposte estere pagate a titolo definitivo sono detraibili dall’imposta netta dovuta, nei limiti della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi esteri e il reddito complessivo, al netto delle perdite dei precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.

Quanto sopra può essere reso con la seguente formula:

(Reddito estero / (Reddito complessivo – perdite pregresse)) x imposta italiana

Le disposizioni contenute nell’articolo 165 del TUIR subordinano il riconoscimento del credito a particolari limiti e condizioni.

  • L’accreditamento delle imposte estere non può essere superiore alla quota d’imposta italianacorrispondente al rapporto “Reddito Estero” /  “Reddito complessivo”, da assumere nei limiti dell’imposta netta dovuta per il periodo d’imposta in cui il reddito estero ha concorso al complessivo reddito imponibile.
  • Il rapporto  “Reddito Estero” /  “Reddito complessivo” al netto delle perdite di esercizi precedenti, può risultare superiore ad “1” quando le perdite, coeve e/o pregresse, sono così elevate da assorbire interamente il reddito di fonte italiana e parte di quello estero. In tal caso, come conferma anche la Relazione al decreto legislativo n. 344 del 2003, e come già chiarito nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione, il rapporto si considera pari a “1”, non potendo l’imposta relativa al reddito estero essere riconosciuta in misura superiore all’imposta effettivamente dovuta. Infatti, in caso contrario, si determinerebbe un finanziamento delle imposte estere.

Il quadro CE è riservato ai contribuenti che hanno prodotto all’estero redditi per i quali si è resa definitiva l’imposta ivi pagata al fine di determinare il credito spettante ai sensi dell’art. 165 del TUIR.

Le imposte da indicare sono quelle divenute definitive entro il termine di presentazione della dichiarazione, oppure, nel caso di opzione di cui al comma 5 dell’ art. 165 del TUIR, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo.

Si considerano pagate a titolo definitivo le imposte divenute irripetibili, pertanto, non vanno indicate, ad esempio, le imposte pagate in acconto o in via provvisoria e quelle per le quali è prevista la possibilità di rimborso totale o parziale.

Nel caso in cui il reddito prodotto all’estero abbia concorso parzialmente alla formazione del reddito complessivo in Italia, ai sensi del comma 10 dell’art. 165 del TUIR, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente.

E’ necessario conservare la documentazione da cui risultino:

  • l’ammontare del reddito prodotto
  • le imposte pagate in via definitiva

al fine di poterle esibire a richiesta degli uffici finanziari.

Credito d’imposta anche per i redditi assoggettati a imposta sostitutiva

La suprema Corte di cassazione, Sez. V Civile, con la sentenza n. 25698/2022 pubblicata il 1° settembre 2022, si è espressa in materia di “foreign tax credit” per evitare la doppia imposizione per i redditi prodotti all’estero ammettendo la possibilità di utilizzare il credito d’imposta estero, anche per i redditi assoggettati a imposta sostitutiva.

La suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 25698/2022 pubblicata il 1° settembre 2022 nell’esaminare la Convenzione Italia – Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito così si esprime

“L’art. 23, comma 3, della stessa Convenzione, dopo avere
previsto che l’Italia deve dedurre dalle imposte sul reddito, di cui all’art. 2, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti (secondo periodo), al terzo periodo stabilisce che, «[t]uttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento dì reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana» (enfasi aggiunta).
1.4. Da tale disposizione pattizia si ricava a contrario che, qualora
l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta, come nell’ipotesi di cui all’art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, o mediante imposta sostitutiva, come nella fattispecie, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’identità di funzione, di cui all’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, quando il contribuente sia una persona fisica, avvenga non «su richiesta del beneficiario deI reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata negli Stati Uniti d’America si deve considerare detraibile.
1.5. Tale interpretazione trova conferma nella diversità del testo
vigente degli accordi bilaterali contro le doppie imposizioni conclusi con altri Paesi, secondo cui «nessuna detrazione sarà accordata ove
l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione
mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, ovvero ad imposizione sostitutiva con la stessa aliquota della ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente,ai sensi della legislazione italiana» (enfasi aggiunta; art. 23, comma 2, quarto capoverso, della Convenzione tra Italia e Cipro, ratificata e resa esecutiva dalla legge 10 luglio 1982, n. 564; art. 22, comma 2, terzo capoverso, dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Malta, ratificato e reso esecutivo dalla legge 2 maggio 1983, n. 304; punto 11 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno dell’Arabia Saudita, ratificato e reso esecutivo dalla legge 23 ottobre 2009, n. 159; art. 22, comma 2, quarto capoverso, della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Singapore, ratificata e resa esecutiva dalla legge 26 luglio 1978, n. 575; art. 12, comma 1, lett. a), secondo capoverso, dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Principato di Monaco, ratificato e reso esecutivo dalla legge 1° dicembre 2016, n. 231);
1.6. Ed invero, in base ad una interpretazione conforme della
norma pattizia (prevalente) la locuzione «anche sui richiesta del
contribuente», che figura nel testo di tali accordi, conferma che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta non solo nei casi in cui l’assoggettamento dell’elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta avvenga su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana, lo ha previsto espressamente.”

La  sentenza n. 25698/2022 della Suprema Corte prevede, nel caso di dividendi esteri e più in generale di proventi finanziari, la possibilità di ottenere il credito d’imposta per l’imposta pagata all’estero, sia su proventi assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta che ad imposta sostitutiva, qualora con lo Stato estero sia in vigore una convenzione sulle doppie imposizioni che non escluda il diritto al credito d’imposta stesso.

Quindi in base alla sentenza n. 25698/2022 della Suprema Corte qualora l’assoggettamento a imposizione mediante  imposta sostitutiva di cui all’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, quando il contribuente sia una persona fisica, avvenga non «su richiesta del beneficiario deI reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata nello Stato Estero si deve considerare detraibile.

Quindi, al fine di verificare la sussistenza al diritto al credito d’imposta si deve verificare con attenzione la relativa convenzione,  anche se nella maggior parte delle Convenzioni stipulate con l’Italia l’esclusione è collegata alla possibilità del contribuente di poter optare per regimi di tassazione diversi.

A seguito della sentenza n. 25698/2022 della Corte di Cassazione , in assenza di uno specifico quadro della dichiarazione dei redditi per l’indicazione del credito d’imposta e per l’impossibilità degli intermediari residenti di attribuire direttamente il credito d’imposta, l’unica strada per il riconoscimento del suo è quella di richiedere all’Agenzia delle Entrate il rimborso dell’imposta pagata all’estero.

Attualmente il rimborso del credito d’imposta può essere richiesto dal contribuente solo attraverso una istanza ex primo comma dell’art. 38 del dpr 602/1973, entro 48 mesi dall’assoggettamento alla ritenuta a titolo d’imposta o dal pagamento dell’imposta sostitutiva, salvo successivamente adire la Corte di Giustizia Tributaria in caso di diniego.

Utili conseguiti in base alla partecipazione ad una società estera stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata

Per poter individuare correttamente quale sia il trattamento fiscale degli utili conseguiti in base alla partecipazione ad una società estera è necessario stabilire se questa sia o no stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata.

Come vedremo ai sensi del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR;

  • non si considerano privilegiati iI regimi fiscali di Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni;
  • i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia;

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia.

Riportiamo l’art. 47/bis del TUIR *( *introdotto dal punto b del primo comma dell’art. 5 del  Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 , emanato in attuazione della  direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016  (cosiddetta Anti Tax Avoidance Directive – ATAD 1), facente parte del pacchetto anti elusione (Anti Tax Avoidance Package) varato dalla Commissione Europea per introdurre negli Stati membri un insieme di misure di contrasto alle pratiche di elusione fiscale che a sua volta si basa sulle raccomandazioni dell’OCSE del 2015 volte ad affrontare l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (progetto Base erosion and profit shifting (BEPS)), come modificata dalla direttiva (UE) 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017 (Atad 2 ), allo scopo di contrastare i cd. disallineamenti da ibridi (Azione BEPS 2) che coinvolgono i Paesi terzi, ovvero le differenze di trattamento fiscale a norma delle leggi di due o più giurisdizioni fiscali per ottenere una doppia non imposizione.che individua i criteri in base ai quali individuare quali siano i Paesi a fiscalità privilegiata.

Art. 47-bis. Disposizioni in materia di regimi fiscali privilegiati.

In vigore dal 12/01/2019

Modificato da: Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 Articolo 5

1. I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167* (* assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia);

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia. A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.

2. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente testo unico che fanno riferimento ai regimi fiscali privilegiati di cui al comma 1, il soggetto residente o localizzato nel territorio dello Stato che detenga, direttamente o indirettamente, partecipazioni di un’impresa o altro ente, residente o localizzato in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui al comma 1, puo’ dimostrare che:

a) il soggetto non residente svolga un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali;

b) dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 1.

3. Ai fini del comma 2, il contribuente puo’ interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212.

In base al punto a) del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, (si considerano soggetti controllati non residenti le imprese, le societa’ e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

a) sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite societa’ fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, da parte di persone fisiche e soggetti di cui agli articoli 5 e 73, comma 1, lettere a), b) e c), nonche’, relativamente alle loro stabili organizzazioni italiane, ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d);

b) oltre il 50 per cento della partecipazione ai loro utili e’ detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o piu’ societa’ controllate ai sensi dell”articolo 2359 del codice civile o tramite societa’ fiduciaria o interposta persona, da persone fisiche e soggetti di cui agli articoli 5 e 73, comma 1, lettere a), b) e c), nonche’, relativamente alle loro stabili organizzazioni italiane, ai soggetti di cui 73, comma 1, lettera d).)

da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167 (assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono indicati i criteri per effettuare, con modalita’ semplificate, la verifica della presente condizione, tra i quali quello dell’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile).

In base al punto b) del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia.

E’ da considerare che mentre il  punto b) del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR si riferisce a TASSAZIONE NOMINALE il comma 4, lettera a), dell’articolo 167 si riferisce a TASSAZIONE EFFETTIVA.

Per quanto riguarda la verifica della tassazione effettiva questa dovrà essere compiuta avuto riguardo alla sola Ires.

Per verificare il livello di tassazione effettiva, occorreà effettuare un confronto tra il “tax rate effettivo estero” e il “tax rate virtuale domestico”, quest’ultimo calcolato determinando il reddito risultante dal bilancio d’esercizio redatto all’estero sulla base delle disposizioni fiscali italiane.

I Criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale domestica sono fissati al punto 5 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

Per confrontare il livello di tassazione nominale, per l’Italia si devono considerare l’Ires (senza addizionali) e l’Irap ((24+3,9)/2=13,95); mentre per lo Stato estero bisogna valutare le imposte sui redditi societari da individuare facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione contro le doppie imposizioni, tenendo conto anche delle eventuali imposte di natura identica o analoga intervenute in sostituzione di quelle menzionate espressamente nella Convenzione (circolare 35/E/2016 dell’agenzia delle Entrate).

Il  provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 16 settembre 2016,N. PROT. 143239 , “Disposizioni in materia di imprese estere controllate. Criteri per determinare con modalità semplificata l’effettivo livello di tassazione di cui al comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR”,  si aggiunge alle indicazioni  già fornite dall’Agenzia delle Entrate con la precedente circolare n. 35/E del 4 agosto 2016 e si occupa di definire i criteri per determinare con modalità semplificate l’effettivo livello di tassazione applicabile al soggetto controllato localizzato all’estero.

In base al secondo comma dell’art. 47/bis del TUIR il soggetto residente o localizzato nel territorio dello Stato che detenga, direttamente o indirettamente, partecipazioni di un’impresa o altro ente, residente o localizzato in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuato ai sensi del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR, puo’ dimostrare che:

a) il soggetto non residente svolga un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali;

b) dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuato ai sensi del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR.

3. Ai fini del secondo comma dell’art. 47/bis del TUIR, il contribuente puo’ interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212.

Vedi In calce le istruzioni ministeriali alla Sezione I-A del Quadro RL e alla Sezione V del Quadro RM

Per quanto attiene qli utili di fonte estera  provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata che concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente (QUADRO RL – SEZIONE I-A) essi vanno

  • dichiarati nel quadro RL, sez. I-A
  • riportati nel quadro RN al rigo RN1 per la determinazione del reddito complessivo.

Per quanto attiene qli utili di fonte estera  provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata

Come suddetto per poter individuare correttamente quale sia il trattamento fiscale degli utili conseguiti in base alla partecipazione ad una società stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata è necessario stabilire

  • se questa è  una  partecipazione qualificata e il partecipante residente non dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali non sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RL – SEZIONE I-A);
  • se questa è  una partecipazione  qualificata e il partecipante residente  dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RM – SEZIONE V);
  • se questa è  una partecipazione non qualificata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati e il partecipante residente non dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali non sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RL – SEZIONE I-A);
  • se questa è  una partecipazione non qualificata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati e il partecipante residente  dimostra la ricorrenza di una delle due esimenti previste dalla legge * ( * art. 47 bis, comma 2, lett. a e b, del TUIR) e per i quali  sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (QUADRO RM – SEZIONE V);
  • se questa una partecipazione non qualificata i cui titoli  sono negoziati in mercati regolamentati (sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sul 100% del provento percepito).

 che concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente (QUADRO RL – SEZIONE I-A) essi vanno

  • dichiarati nel quadro RL, sez. I-A
  • riportati nel quadro RN al rigo RN1 per la determinazione del reddito complessivo.

Per quanto attiene qli utili di fonte estera  provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata soggetti ad imposizione sostitutiva essi vanno dichiarati nel quadro RM, sez. V

Controlled Foreign Companies (c.d. Cfc) – nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir

Per quanto attiene la tassazione dei dividendi di fonte estera un’ulteriore verifica che si dovrà fare è in base alla normativa sulle Controlled Foreign Companies (c.d. Cfc) regolamentata dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir.

Occorre prestare  molta attenzione alla normativa sulle “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc) in quanto il reddito da esse conseguitoa determinate condizioni,  previste dalla  nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir,  deve essere imputato in capo al soggetto controllante residente:
• in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili;
• anche in caso di mancata percezione degli stessi, ovvero “per trasparenza” (criterio, tipicamente, utilizzato nei confronti dei soci di società di persone residenti).

Per effetto delle regole CFC, gli utili eventualmente distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti CFC non concorrono alla formazione del reddito in capo ai soggetti residenti controllanti fino a concorrenza dei redditi che sono già stati assoggettati a tassazione per trasparenza.

livello operativo, per quanto riguarda le modalità di tassazione:

  •  i redditi delle “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc) che ricadono nelle fattispecie previste dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir, imputati in capo ai soggetti residenti che controllano l’impresa estera, anche in caso di mancata percezione degli stessi, ovvero “per trasparenza”:
    • sono assoggettati a tassazione separata mediante l’applicazione di un’aliquota media applicata sul reddito del soggetto residente (questa aliquota non può in ogni caso essere inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società);
    • dall’imposta così determinata sono ammesse in detrazione le imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente con le modalità e nei limiti previsti dall’articolo 165 del TUIR (articolo 167, comma 9, del TUIR); 
  • in caso di controllo congiunto, i redditi imputati a ciascun partecipante devono essere tassati separatamente in capo a ciascuno di essi mediante l’applicazione dell’aliquota media di tassazione del reddito complessivo netto.

Il secondo comma dell’articolo 167 Tuir stabilisce che si considerano soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

a) sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, da parte di un soggetto di cui al comma 1;

b) oltre il 50 per cento della partecipazione ai loro utili e’ detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, o tramite società  fiduciaria o interposta persona, da un soggetto di cui al comma 1.

In base al terzo comma dell’articolo 167 Tuir si considerano altresì soggetti controllati non residenti:

a) le stabili organizzazioni all’estero dei soggetti di cui al comma 2;

b) le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti che abbiano optato per il regime di cui all’articolo 168-ter (c.d. “branch exemption”: Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti).

Ricordiamo che l’articolo 2359 del codice civile stabilisce che sono considerate società controllate:

  1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
  2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
  3. le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 2359 del codice civile si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

L’articolo 7, par. 1, lett. a), della Direttiva UE 2016/1164(c.d. “Anti Tax Avoidance Directive” –  “Atad”) ritiene che si verifichi il requisito del controllo: “nel caso di un’entità, il contribuente, da solo o insieme alle sue imprese associate, detiene una partecipazione diretta o indiretta di oltre il 50 per cento dei diritti di voto o possiede direttamente o indirettamente oltre il 50 per cento del capitale o ha il diritto di ricevere oltre il 50 per cento degli utili di tale entità“.

Quindi appare evidente che non sarà possibile evitare la tassazione CFC mediante l’escamotage della separazione dei “diritti di voto” rispetto ai “diritti agli utili”.

La  nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir elimina la distinzione fra il regime delle c.d. Cfc “black list” e quello più generale riferito alle c.d. Cfc “white list”.

Dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 si configura un unico regime per le Cfc, indipendentemente dalla loro localizzazione, quando ricorrono congiuntamente due requisiti:

  1. l’impresa estera è assoggettata a tassazione “effettiva” inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta ove fosse stata residente in Italia;
  2. oltre 1/3 dei proventi realizzati dall’impresa estera rientra nella categoria dei c.d. “passive income così come è definita in 7 punti contenuti nell’articolo 167, comma 4, Tuir.

Per quanto riguarda il primo requisito (il livello di tassazione dell’impresa estera),  non si fa  riferimento alla tassazione “nominale”, ma a quella “effettiva”.

Il testo della relazione illustrativa al D.Lgs. 142/2018, nel fare riferimento al confronto tra il tax rate estero e quello nazionale, riguardo a quest’ultimo precisa che il calcolo andrà compiuto rideterminando il reddito dell’impresa estera secondo le disposizioni fiscali italiane che sarebbero applicabili al reddito lordo risultante dal bilancio dell’impresa estera, e operando quindi un confrontoche riguarda, sul fronte della tassazione virtuale interna, l’imposta sul reddito delle società (Ires)”.

Quindi per quanto riguarda la verifica della tassazione effettiva questa dovrà essere compiuta avuto riguardo alla sola Ires.

Per verificare il livello di tassazione effettiva, occorreà effettuare un confronto tra il “tax rate effettivo estero” e il “tax rate virtuale domestico”, quest’ultimo calcolato determinando il reddito risultante dal bilancio d’esercizio redatto all’estero sulla base delle disposizioni fiscali italiane.

Il punto a) del quarto comma fa riferimento al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

In data 16/09/2016 il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha emanato il PROVVEDIMENTO N. PROT. 143239 , “Disposizioni in materia di imprese estere controllate. Criteri per determinare con modalità semplificata l’effettivo livello di tassazione di cui al comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR

I Criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale domestica sono fissati al punto 5 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

L’articolo 167, comma 4, Tuir elenca le categorie che appartengono ai c.d. “passive income:

1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
3) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
4) redditi da leasing finanziario;
5) redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
6) proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
7) proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente; ai fini dell’individuazione dei servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo si tiene conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi del comma 7 dell’articolo 110 .
L’articolo 167, comma 5, Tuir stabilisce che le disposizioni dell’articolo 167 non si applicano se il soggetto di cui al comma 1 dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.
Una considerazione di rilievo da fare è quella al riguardo della “attività economica effettiva”. Nella precedente formulazione del 167 TUIR, il quinto comma,  (“la societa’ o altro ente non residente svolga un’effettiva attività’ industriale o commerciale, come sua principale attività’, nel mercato dello stato o territorio di insediamento“) si faceva riferimento ad una  “attività industriale e commerciale”. Nella nuova formulazione del quinto comma si parla di “attività economica effettiva”, quindi  si dovrà valutare l’adeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa estera rispetto all’attività in concreto svolta.
Ai fini del quinto comma dell’articolo 167 Tuir, il contribuente puo’ interpellare l’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212. Per i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 5 maggio 2015, n. 128, l’istanza di interpello di cui al secondo periodo puo’ essere presentata indipendentemente dalla verifica delle condizioni di cui al comma 4, lettere a) e b).
La dichiarazione deve essere effettuata nel quadro FC del modello Redditi PF. Il soggetto che detiene il controllo di più imprese, società o enti residenti in stati o territori a regime fiscale considerato privilegiato, è tenuto a compilare un quadro FC per ciascuna CFC controllata. In tal caso deve essere numerata progressivamente la casella “Mod. N.” posta in alto a destra del modello.
Il quadro FC del modello Redditi PF si compone di sette sezioni:
  1. la sezione I, riservata all’indicazione dei dati identificativi della CFC;
  2. la sezione II-A, riservata alla determinazione del reddito della CFC;
  3.  la sezione II-B, riservata alle perdite d’impresa non compensate dalla CFC;
  4. la sezione II-C, riservata alle perdite virtuali domestiche;
  5. la sezione III, riservata alla imputazione, ai soggetti partecipanti residenti, del reddito e delle imposte su tale reddito assolte all’estero a titolo definitivo dal soggetto controllato non residente;
  6. la sezione IV, riservata al prospetto degli interessi passivi non deducibili;
  7. la sezione V, riservata alle attestazioni richieste dall’art. 2, comma 2, del D.M. n. 429 del 2001.

Per la verifica dei requisiti di controllo si rinvia alle istruzioni a commento della sezione prima, campo 8.

Il reddito del soggetto controllato non residente è determinato nella la sezione II-A del quadro FC del modello Redditi PF , a seconda delle sue caratteristiche, in base alle disposizioni applicabili ai soggetti residenti titolari di reddito d’impresa, in base alle disposizioni valevoli ai fini dell’IRES, fatta eccezione per le disposizioni di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994; all’art. 2, comma 36-decies, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; all’art. 9 bis del decreto- legge n. 50 del 2017, convertito con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017; all’art. 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 e dell’ articolo 86, comma 4, del TUIR. Se risulta una perdita, questa è computata in diminuzione dei redditi dello stesso soggetto ai sensi dell’art. 84 del TUIR. I redditi devono essere determinati tenendo conto della conversione di cambio del giorno di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione della CFC.

Per quanto attiene alle variazioni in aumento e in diminuzione ai “valori di partenza fiscali” degli elementi patrimoniali della CFC, dovrà farsi riferimento al bilancio o altro documento riepilogativo della contabilità di esercizio della CFC, redatti secondo le norme dello Stato o territorio in cui essa risiede o è localizzata;
tale bilancio o rendiconto, dovrà essere tenuto a disposizione dell’Amministrazione finanziaria dal soggetto residente controllante per i necessari controlli.

Le risultanze porteranno ad esporre nel rigo FC37 il Reddito imponibile.

Nel rigo FC39, vanno esposte le imposte pagate all’estero dalla CFC sul reddito di esercizio. Nel presente rigo va indicato anche l’eventuale credito d’imposta c.d. indiretto (art. 3 del decreto legislativo n. 147 del 2015) riconosciuto alla CFC (cfr. risoluzione n. 108/E del 24 novembre 2016).

Nella SEZIONE III del quadro FC del modello Redditi PF– Imputazione del reddito e delle imposte ai soggetti partecipanti residenti – i redditi conseguiti dal soggetto controllato non residente sono imputati al soggetto residente che esercita il controllo alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione della CFC, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta. In caso di partecipazione agli utili per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, il reddito della CFC è ad essi imputato in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.

Il Reddito imponibile, per la parte riferibile al dichiarante, va riportato nella Sez. VIII – Redditi assoggettati a tassazione separata derivanti da partecipazione in imprese estere (art. 167 del TUIR) – del quadro RM del modello Redditi PF.

Nella Sez. VIII del quadro RM del modello Redditi PF va riportata anche l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito imponibile indicato  fino a concorrenza dell’importo dell’imposta, risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente al rapporto tra

l’importo indicato nel rigo RN5 e
quello di cui al rigo RN4

(comunque non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società) al reddito di colonna 2, per la parte riferibile al dichiarante.

L’imposta dovuta sarà la risultante dalla differenza tra l’importo dell’imposta, risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente al rapporto tra l’importo indicato
nel rigo RN5 e quello di cui al rigo RN4  (comunque non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società), e l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito imponibile indicato, per la parte riferibile al dichiarante.

Istruzioni ministeriali alla dichiarazione dei redditi

QUADRO RL – SEZIONE I-A – Redditi di capitale

………..Si precisa che solo i contribuenti che detengono partecipazioni di natura qualificata ovvero partecipazioni di natura non qualificata in imprese o enti residenti o localizzati in stati o territori a fiscalità privilegiata, i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, dovranno esporre nella dichiarazione dei redditi (730 o REDDITI) i proventi percepiti indicati nella prevista certificazione degli utili o desumibili da altra documentazione rilasciata dalle imprese o enti emittenti, italiani o esteri, o dai soggetti intermediari.

……….. Nella sezione, devono essere indicati anche gli utili da partecipazione di natura non qualificata relativi a imprese o enti residenti in stati o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati. Rimane ferma la possibilità di applicare la predetta ritenuta a titolo d’imposta qualora il percettore abbia esperito con esito positivo la procedura di interpello prevista per tale fattispecie.
Invece, sugli utili e proventi equiparati provenienti da partecipazioni non qualificate in imprese o enti residenti o localizzati in stati o territori a fiscalità privilegiata, i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati continua ad essere applicabile la ritenuta a titolo di imposta.
Gli utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 derivanti da partecipazioni di natura qualificata, in imprese o enti residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata………..non concorrono alla formazione del reddito imponibile e la ritenuta applicata è a titolo d’imposta, qualora il percettore abbia esperito con esito positivo la procedura di interpello prevista per tale fattispecie.
………..Nel rigo RL1, indicare gli utili e gli altri proventi equiparati in qualunque forma corrisposti da società di capitali o imprese o enti commerciali, residenti e non residenti, riportati nell’apposita certificazione. ………..

  • nella colonna 1:
      • il codice 1, in caso di utili e di altri proventi equiparati di natura qualificata corrisposti da imprese residenti in Italia ovvero residenti in Stati aventi un regime fiscale non privilegiato formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
      • il codice 2, in caso di utili e di altri proventi equiparati di natura qualificata provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori che hanno un regime fiscale privilegiato. Si considerano provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali soggetti o di partecipazioni di controllo ai sensi del comma 2 dell’art. 167 del TUIR in società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili (art. 47, comma 4, del TUIR). Gli utili e gli altri proventi equiparati prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, per i quali sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello (proposto ai sensi del comma 3 dell’art. 47-bis, del TUIR), devono, invece, essere indicati nella sezione V del quadro RM;
      •  il codice 3, in caso di utili e di altri proventi equiparati corrisposti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato provenienti da partecipazioni non qualificate i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati. Si ricorda che in caso di utili e di altri proventi che andrebbero indicati con il codice 3, ma per i quali è stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello proposto ai sensi del comma 3 dell’art. 47-bis, del TUIR, tali importi dovranno essere indicati nella sezione V del quadro RM;
      • il codice 4, in caso di utili e di altri proventi che andrebbero indicati con il codice 2, ma per i quali sia stato dimostrato il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione di cui al comma 2, lett. b), dell’art. 47-bis del TUIR e sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello proposto ai sensi del comma 3 del medesimo articolo formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
      •  il codice 5, in caso di utili e di altri proventi equiparati corrisposti da imprese residenti in Italia ovvero residenti in Stati aventi un regime fiscale non privilegiato formatisi con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016;
      •  il codice 6, in caso di utili e di altri proventi che andrebbero indicati con il codice 2, ma per i quali sia stato dimostrato il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione di cui al comma 2, lett. b), dell’art. 47-bis del TUIR e sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate a seguito di interpello proposto ai sensi del comma 3 del medesimo articolo del TUIR, formatisi con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016;
      • il codice 7, in caso di utili e di altri proventi, che andrebbero indicati con il codice 2, per i quali il contribuente intenda far valere la sussistenza sin dal primo periodo di possesso della partecipazione della condizione indicata nella lett. b) del comma 2 dell’art. 47-bis del TUIR, qualora non abbia presentato l’istanza di interpello prevista dal comma 3 del medesimo articolo ovvero, avendola presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole, formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
      • il codice 8, in caso di utili e di altri proventi, che andrebbero indicati con il codice 2, per i quali il contribuente intenda far valere la sussistenza sin dal primo periodo di possesso della partecipazione della condizione indicata nella lett. b) del comma 2 dell’art. 47-bis del TUIR, qualora non abbia presentato l’istanza di interpello prevista dal comma 3 del medesimo articolo ovvero, avendola presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole, formatisi con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016;
      • il codice 9, in caso di utili e di altri proventi equiparati corrisposti da imprese residenti in Italia ovvero residenti in Stati aventi un regime fiscale non privilegiato, formatisi con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017;
      • il codice 10, in caso di utili e di altri proventi che andrebbero indicati con il codice 2, ma per i quali sia stato dimostrato il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione di cui al comma 2, lett. b), dell’art. 47-bis del TUIR e sia stato rilasciato parere favorevole dall’Agenzia delle entrate a seguito di interpello proposto ai sensi del comma 3 del medesimo articolo del TUIR, formatisi con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 e fino all’esercizio in corso al
        31 dicembre 2017;
      • il codice 11, in caso di utili e di altri proventi, che andrebbero indicati con il codice 2, per i quali il contribuente intenda far valere la sussistenza sin dal primo periodo di possesso della partecipazione della condizione indicata nella lett. b) del comma 2 dell’art. 47-bis del TUIR, qualora non abbia presentato l’istanza di interpello prevista dal comma 3 del medesimo articolo ovvero, avendola presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole, formatisi con utili prodotti a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017.
  • nella colonna 2:
      •  il 40% della somma degli utili e degli altri proventi equiparati corrisposti nell’anno 2022 desumibili dalla relativa certificazione, qualora sia stato indicato nella colonna 1 il codice 1 o 4 o 7;
      • il 49,72% della somma degli utili e degli altri proventi equiparati corrisposti nell’anno 2022 desumibili dalla relativa certificazione qualora sia stato indicato nella colonna 1 il codice 5 o 6 o 8;
      •  il 58,14% della somma degli utili e degli altri proventi equiparati corrisposti nell’anno 2022 desumibili dalla relativa certificazione qualora sia stato indicato nella colonna 1 il codice 9 o 10 o 11;
      • il 100% della somma degli utili e degli altri proventi equiparati corrisposti nell’anno 2022 desumibili dalla relativa certificazione, qualora sia stato indicato nella colonna 1 il codice 2 o 3.
  • nella colonna 3 l’importo complessivo delle ritenute d’acconto subite, rilevabile dal punto 41 della certificazione

QUADRO RM – SEZIONE V – Redditi di capitale soggetti ad imposizione sostitutiva

Nella Sezione V vanno indicati i redditi di capitale di fonte estera, diversi da quelli che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente (che vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I), percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti. Tali redditi sono soggetti ad imposizione sostitutiva nella stessa misura della ritenuta alla fonte a titolo di imposta applicata in Italia sui redditi della stessa natura (art. 18 del TUIR).
Il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e in tal caso compete il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero. Gli utili di fonte estera (compresi quelli derivanti da strumenti finanziari e da contratti di associazione in partecipazione) qualora siano derivanti da partecipazioni non qualificate non possono essere assoggettati a tassazione ordinaria. Inoltre, dal 1 gennaio 2018, anche gli utili e gli altri proventi di fonte estera derivanti da partecipazioni di natura qualificata, formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, sono assoggettati a tassazione come le partecipazioni non qualificate, pertanto, non devono più essere assoggettati a tassazione ordinaria. Gli utili e gli altri proventi di natura qualificata derivanti dalla partecipazione al capitale di società ed enti esteri di ogni tipo, formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberate dal 1
gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad essere indicati nel quadro RL, Sezione I.
Per gli utili e gli altri proventi assimilati di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, vedere istruzioni quadro RL.

La Corte europea ha bocciato la versione iberica della 167/1990 relativa al monitoraggio fiscale

La Corte europea ha bocciato la versione iberica della 167/1990 relativa al monitoraggio fiscale

La Corte di Giustizia UE ( sentenza C-788/19 – Commissione Europea contro Regno di Spagna) ha bocciato il modello di monitoraggio fiscale spagnolo, molto simile a quello italiano, in quanto contrasta la libera circolazione di capitali nell’UE.

Il fisco spagnolo ha un sistema di monitoraggio fiscale molto simile a quello italiano (quadro RW del modello redditi).

In Spagna, il contribuente che detiene beni o attività finanziarie all’estero è obbligato a presentare il Modello 720 (1); l’inesatto o il mancato adempimento di tale obbligo ha come conseguenza:

  • la rettifica dell’imposta dovuta sulle somme corrispondenti al valore di tali attività, anche considerando il valore di tali beni alla stregua di plusvalenze patrimoniali non dichiarate;
  • la possibilità di accertare anche periodi di imposta già prescritti (concetto equivalente alla decadenza italiana);
  • l’irrogazione di sanzioni proporzionali e sanzioni forfettarie specifiche, in misura superiore a quelle che sarebbero erogate per la medesima violazione in relazione ad attività interne.

Sentenza C-788/19

1        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che:

–        avendo previsto come conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero o della presentazione tardiva del «Modello 720» la qualificazione di tali attivi come «plusvalenze patrimoniali non giustificate», senza possibilità di eccepire la prescrizione;

–        avendo previsto l’irrogazione automatica di una sanzione proporzionale del 150%, applicabile nei casi di inadempimento dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero o di presentazione tardiva del «Modello 720»; e

–        avendo previsto, per l’inadempimento dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero o per la presentazione tardiva del «Modello 720», l’irrogazione di sanzioni forfettarie più rigorose rispetto a quelle previste dal regime sanzionatorio generale per infrazioni simili,

il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 21, 45, 49, 56 e 63 TFUE nonché degli articoli 28, 31, 36 e 40 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l’«accordo SEE»).

 Contesto normativo

2        La diciottesima disposizione aggiuntiva alla Ley 58/2003 General Tributaria (legge 58/2003, recante il codice generale dei tributi), del 17 dicembre 2003, come modificata dalla legge 7/2012 (in prosieguo: il «codice generale dei tributi») dispone quanto segue:

«1.      Ai sensi degli articoli 29 e 93 della presente legge, i soggetti passivi sono tenuti a fornire alle autorità fiscali, alle condizioni previste per via regolamentare, le seguenti informazioni:

a)      le informazioni relative ai conti intrattenuti all’estero, accesi presso istituti che esercitano attività bancarie o di credito e di cui gli interessati sono titolari o beneficiari o dei quali sono in qualsiasi modo autorizzati a disporre o hanno diritto di disporre;

b)      le informazioni relative a tutti i titoli, attivi, valori o diritti rappresentativi del capitale sociale, fondi propri o patrimoni di qualsiasi tipo di soggetto, o riguardanti la cessione di fondi propri a terzi, di cui gli interessati sono titolari e che sono depositati o situati all’estero, oltre alle informazioni relative alle assicurazioni sulla vita o per invalidità di cui sono contraenti e alle rendite vitalizie o temporanee di cui sono beneficiari a seguito di un trasferimento di capitale in denaro, o ancora le informazioni relative ai beni mobili o immobili acquistati presso soggetti stabiliti all’estero;

c)      le informazioni relative ai beni immobili e ai diritti su beni immobili situati all’estero di cui sono proprietari.

(…)

2.      Regime di infrazioni e di sanzioni.

Costituisce infrazione fiscale la mancata presentazione, nel termine prescritto, delle dichiarazioni informative previste nella presente disposizione aggiuntiva o l’inserimento di informazioni incomplete, inesatte o false.

Qualora sia prevista la presentazione con modalità elettronica, informatica e telematica, costituisce inoltre infrazione fiscale la presentazione delle suddette dichiarazioni con modalità diverse.

Le condotte succitate costituiscono infrazioni di elevata gravità e sono sanzionate in conformità alle regole di seguito indicate:

a)      l’inadempimento dell’obbligo di dichiarare i conti detenuti presso istituti di credito siti all’estero comporta una sanzione forfettaria di EUR 5 000 per ciascun dato o insieme di dati relativi a uno stesso conto che avrebbe dovuto essere indicato nella dichiarazione o per ciascun dato fornito in maniera incompleta, inesatta o falsa, fermo restando che l’importo minimo della sanzione è fissato in EUR 10 000.

Qualora la dichiarazione sia stata presentata fuori termine, senza previa richiesta in tal senso da parte dell’amministrazione finanziaria, la sanzione è pari a EUR 100 per ciascun dato o insieme di dati relativi a uno stesso conto, con un minimo di EUR 1 500. La medesima sanzione trova applicazione in caso di presentazione della dichiarazione con modalità diverse dalla trasmissione in via elettronica, informatica e telematica, ove siano previste tali modalità;

b)      l’inadempimento dell’obbligo di dichiarare titoli, attivi, valori, diritti, assicurazioni e rendite depositati, intrattenuti o ottenuti all’estero, comporta una sanzione forfettaria di EUR 5 000 per ciascun dato o insieme di dati relativi a ciascun elemento patrimoniale considerato individualmente, in base alla categoria in questione, che avrebbe dovuto essere indicato nella dichiarazione o per ciascun dato fornito in maniera incompleta, inesatta o falsa, con un minimo di EUR 10 000.

Qualora la dichiarazione sia stata presentata fuori termine, senza previa richiesta in tal senso da parte dell’amministrazione finanziaria, la sanzione è pari a EUR 100 per ciascun dato o insieme di dati relativi a ciascun elemento patrimoniale considerato individualmente, in base alla categoria in questione, con un minimo di EUR 1 500. La medesima sanzione trova applicazione in caso di presentazione della dichiarazione con modalità diverse dalla trasmissione in via elettronica, informatica e telematica, ove siano previste tali modalità;

c)      l’inadempimento dell’obbligo di dichiarare i beni immobili e i diritti su beni immobili situati all’estero comporta una sanzione forfettaria di EUR 5 000 per ciascun dato o insieme di dati relativi a uno stesso bene immobile o a uno stesso diritto su un bene immobile che avrebbe dovuto essere indicato nella dichiarazione, o per ciascun dato fornito in maniera incompleta, inesatta o falsa, fermo restando che l’importo minimo della sanzione è fissato in EUR 10 000.

Qualora la dichiarazione sia stata presentata fuori termine, senza previa richiesta in tal senso da parte dell’amministrazione finanziaria, la sanzione è pari a EUR 100 per ciascun dato o insieme di dati relativi a uno stesso bene immobile o a uno stesso diritto su un bene immobile, con un minimo di EUR 1 500. La medesima sanzione trova applicazione in caso di presentazione della dichiarazione con modalità diverse dalla trasmissione in via elettronica, informatica e telematica, ove siano previste tali modalità.

Le infrazioni e le sanzioni disciplinate dalla presente disposizione aggiuntiva non si cumulano con quelle previste agli articoli 198 e 199 della presente legge.

3.      Le leggi che disciplinano le singole imposte possono prevedere conseguenze specifiche in caso di inadempimento dell’obbligo di informazione previsto dalla presente disposizione aggiuntiva».

3        L’articolo 39 della Ley 35/2006 del Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas y de Modificación Parcial de las Leyes de los Impuestos sobre Sociedades, sobre la Renta de no Residentes y sobre el Patrimonio (legge 35/2006, relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche e che modifica parzialmente le leggi relative alle imposte sulle società, sui redditi dei non residenti e sul patrimonio), del 28 novembre 2006, come modificata dalla legge 7/2012 (in prosieguo: la «legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche»), intitolato «Plusvalenze patrimoniali non giustificate», così dispone:

«1.      Sono considerati plusvalenze patrimoniali non giustificate i beni o i diritti il cui possesso, la cui dichiarazione o il cui acquisto non corrispondono a redditi o capitali dichiarati dal contribuente, nonché l’indicazione di debiti inesistenti in una dichiarazione relativa all’imposta di cui trattasi o all’imposta sul patrimonio o la loro registrazione nei libri o registri ufficiali.

Le plusvalenze patrimoniali non giustificate sono inserite nella base imponibile generale del periodo di imposta nel corso del quale sono state individuate, salvo che il contribuente dimostri di aver acquisito la titolarità dei diritti o dei beni di cui trattasi nel corso di un periodo di imposta prescritto.

2.      Il possesso, la dichiarazione o l’acquisto di beni o di diritti rispetto ai quali non è stato adempiuto l’obbligo di informazione di cui alla diciottesima disposizione aggiuntiva al [codice generale dei tributi] entro il termine stabilito sono trattati in ogni caso come plusvalenze patrimoniali non giustificate e sono inseriti nella base imponibile generale del più risalente tra i periodi di imposta non prescritti e per i quali è ancora possibile una rettifica.

Tuttavia, le disposizioni del presente paragrafo non si applicano se il contribuente fornisce la prova che i beni o i diritti da lui detenuti sono stati acquistati mediante redditi dichiarati o percepiti nel corso di periodi di imposta per i quali lo stesso non era assoggettato all’imposta di cui trattasi».

4        L’articolo 121 della Ley 27/2014 del Impuesto sobre Sociedades (legge 27/2014, relativa all’imposta sulle società), del 27 novembre 2014 (in prosieguo: la «legge relativa all’imposta sulle società»), intitolato «Beni e diritti non contabilizzati o non dichiarati: presunta realizzazione di redditi», prevede quanto segue:

«1.      Gli elementi patrimoniali detenuti dal contribuente e da questi non inseriti in contabilità si presumono acquistati mediante redditi non dichiarati.

Tale presunzione opera anche in caso di parziale occultamento del valore di acquisto.

2.      Gli elementi patrimoniali non inseriti in contabilità si presumono appartenere al contribuente dal momento in cui questi ne ha il possesso.

3.      L’ammontare dei redditi non dichiarati si presume pari al valore di acquisto dei beni o dei diritti non inseriti in contabilità detratto l’importo degli effettivi debiti contratti per finanziare detto acquisto, anch’essi non contabilizzati. L’importo non può in nessun caso essere negativo.

L’ammontare del valore d’acquisto è verificato alla luce dei corrispondenti documenti giustificativi o, ove ciò non sia possibile, alla luce dei criteri di valutazione previsti dal [codice generale dei tributi].

4.      La presenza di redditi non dichiarati è presunta in caso di registrazione di debiti inesistenti nella contabilità del contribuente.

5.      L’ammontare dei redditi accertato in forza delle succitate presunzioni è imputato al più risalente tra i periodi di imposta non prescritti salvo che il contribuente dimostri che esso si riferisce a uno o più periodi diversi.

6.      I beni o i diritti rispetto ai quali non è stato adempiuto l’obbligo di informazione di cui alla diciottesima disposizione aggiuntiva al [codice generale dei tributi] entro il termine stabilito sono considerati in ogni caso come ottenuti mediante redditi non dichiarati imputabili al più risalente tra i periodi di imposta non prescritti e per i quali è ancora possibile una rettifica.

Tuttavia, le disposizioni del presente paragrafo non si applicano se il contribuente fornisce la prova che i beni o i diritti da lui detenuti sono stati acquistati mediante redditi dichiarati o percepiti nel corso di periodi di imposta per i quali lo stesso non era assoggettato all’imposta di cui trattasi.

(…)».

5        La prima disposizione aggiuntiva alla legge 7/2012, intitolata «Regime sanzionatorio in caso di plusvalenze patrimoniali non giustificate e di presunta realizzazione di redditi», è così formulata:

«L’applicazione delle disposizioni dell’articolo 39, paragrafo 2, della [legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche] e dell’articolo 134, paragrafo 6, del testo consolidato della legge relativa all’imposta sulle società, approvato con regio decreto legislativo 4/2004, del 5 marzo 2004 [, le cui disposizioni sono state successivamente riprese all’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società], determina l’infrazione fiscale considerata di elevata gravità e punita con una sanzione pari al 150% dell’importo della sanzione base.

La sanzione base è determinata in ragione del valore dell’importo complessivo risultante dall’applicazione degli articoli di cui al paragrafo che precede. (…)».

………….

Sul ricorso

 Sulle libertà di cui trattasi 

10      Con il suo ricorso, la Commissione ritiene che il Regno di Spagna sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 21, 45, 49, 56 e 63 TFUE nonché degli articoli 28, 31, 36 e 40 dell’accordo SEE per via delle conseguenze che la sua legislazione collega all’inosservanza o all’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di dichiarare i beni o i diritti situati all’estero mediante il «Modello 720».

11      Si deve ricordare che, quando un provvedimento nazionale si riferisce a diverse libertà di circolazione garantite dai Trattati, la Corte esamina il provvedimento di cui trattasi, in linea di principio, con riferimento a una sola di tali libertà qualora risulti, alla luce dell’oggetto di tale provvedimento, che le altre sono del tutto secondarie rispetto a quest’ultima e possano esserle ricollegate [v. in tal senso, per quanto riguarda un provvedimento riferito sia alla libertà di circolazione dei capitali sia alla libertà di stabilimento, sentenze del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation, C‑35/11, EU:C:2012:707, punti da 89 a 93, nonché del 28 febbraio 2013, Beker e Beker, C‑168/11, EU:C:2013:117, punti da 25 a 31, e, per quanto riguarda un provvedimento riferito sia alla libera circolazione dei capitali sia alla libera prestazione di servizi, sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International, C‑48/15, EU:C:2015:356, punto 39].

12      In forza della normativa nazionale di cui trattasi nella presente causa, i residenti in Spagna che omettono di dichiarare o dichiarano in modo inesatto o tardivo i beni e i diritti da essi detenuti all’estero sono esposti alla rettifica dell’imposta dovuta sulle somme corrispondenti al valore di tali beni o di tali diritti, anche qualora questi ultimi siano stati acquistati nel corso di un periodo di imposta già prescritto, nonché all’irrogazione di una sanzione proporzionale e di sanzioni forfettarie specifiche.

13      Una normativa siffatta, che concerne, in termini generali, la detenzione di beni o di diritti all’estero da parte dei residenti in Spagna, senza che tale detenzione assuma necessariamente la forma di acquisizioni di partecipazioni nel capitale di soggetti stabiliti all’estero o sia principalmente motivata dall’intenzione di ivi beneficiare di servizi finanziari, rientra nell’ambito di applicazione della libertà di circolazione dei capitali. Sebbene essa possa altresì pregiudicare la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento, tali libertà appaiono tuttavia secondarie rispetto alla libertà di circolazione dei capitali, alla quale possono essere ricollegate. Lo stesso vale, in ogni caso, per quanto riguarda la libertà di circolazione dei lavoratori.

14      Occorre peraltro constatare che la Commissione non fornisce elementi sufficienti per consentire alla Corte di valutare sotto quale profilo la normativa nazionale di cui trattasi inciderebbe sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione o sulla libera circolazione dei lavoratori, garantite dagli articoli 21 e 45 TFUE.

15      Da quanto precede risulta che le censure sollevate dalla Commissione devono essere esaminate sotto il profilo della libertà di circolazione dei capitali garantita dall’articolo 63 TFUE nonché dall’articolo 40 dell’accordo SEE, la cui portata giuridica è, in sostanza, la stessa (v., in tal senso, sentenze dell’11 giugno 2009, Commissione/Paesi Bassi, C‑521/07, EU:C:2009:360, punto 33, e del 5 maggio 2011, Commissione/Portogallo, C‑267/09, EU:C:2011:273, punto 51).

 Sullesistenza di una restrizione ai movimenti di capitali

 Argomenti delle parti

16      Secondo la Commissione, la normativa controversa, che non ha equivalenti per quanto riguarda i beni o i diritti detenuti dai contribuenti nel territorio nazionale, istituisce una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali in quanto produce l’effetto di dissuadere i residenti in Spagna dal trasferire i loro attivi all’estero. Essa sostiene che, come la Corte ha già riconosciuto nella sua sentenza dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot (C‑155/08 e C‑157/08, EU:C:2009:368, punti da 36 a 40), non sussiste una differenza oggettiva di situazione tra i contribuenti residenti in Spagna a seconda che i loro attivi si trovino nel territorio spagnolo o al di fuori di quest’ultimo.

17      Il Regno di Spagna ritiene, dal canto suo, che i soggetti che procedono all’occultamento dei loro attivi per motivi fiscali non possano avvalersi della libertà di circolazione dei capitali. Esso sostiene inoltre che non si può considerare che le sanzioni collegate all’inosservanza dell’obbligo di informazione istituiscano restrizioni a tale libertà, giacché esse sono indispensabili per garantire l’effettività di detto obbligo. In ogni caso, a suo avviso, tenuto conto delle possibilità di controllo fiscale, i contribuenti i cui attivi siano situati nel territorio spagnolo non si trovano nella stessa situazione di quelli i cui attivi siano situati al di fuori di quest’ultimo.

 Giudizio della Corte

18      Secondo costante giurisprudenza della Corte, costituiscono, in particolare, restrizioni ai movimenti di capitali, ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, misure imposte da uno Stato membro idonee a dissuadere, a impedire o a limitare le possibilità degli investitori di detto Stato di investire in altri Stati [v., in tal senso, sentenze del 26 settembre 2000, Commissione/Belgio, C‑478/98, EU:C:2000:497, punto 18, del 23 ottobre 2007, Commissione/Germania, C‑112/05, EU:C:2007:623, punto 19, e del 26 maggio 2016, NN (L) International, C‑48/15, EU:C:2016:356, punto 44].

19      Nel caso di specie, l’obbligo di dichiarare i beni o i diritti situati all’estero mediante il «Modello 720» e le sanzioni collegate all’inosservanza o all’adempimento inesatto o tardivo di tale obbligo, che non hanno equivalenti per quanto riguarda i beni o i diritti situati in Spagna, istituiscono una disparità di trattamento tra i residenti in Spagna a seconda del luogo in cui si trovino i loro attivi. Tale obbligo è idoneo a dissuadere, a impedire o a limitare le possibilità dei residenti di tale Stato membro di investire in altri Stati membri e costituisce pertanto, come la Corte ha già dichiarato per quanto riguarda una normativa avente gli obiettivi di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di contrastare l’evasione fiscale connessa all’occultamento di attivi all’estero, una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali, ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 40 dell’accordo SEE (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot, C‑155/08 e C‑157/08, EU:C:2009:368, punti da 36 a 40).

20      La circostanza che detta normativa riguardi contribuenti che procedono all’occultamento dei loro attivi per motivi fiscali non è idonea a rimettere in discussione tale conclusione. Invero, il fatto che una normativa abbia gli obiettivi di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di contrastare l’evasione fiscale non può ostare all’accertamento dell’esistenza di una restrizione ai movimenti di capitali. Tali obiettivi rientrano unicamente tra le ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare l’istituzione di una restrizione del genere (v., in tal senso, sentenze dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot, C‑155/08 e C‑157/08, EU:C:2009:368, punti 45 e 46, e del 15 settembre 2011, Halley, C‑132/10, EU:C:2011:586, punto 30).

 Sulla giustificazione della restrizione alla libera circolazione dei capitali

 Argomenti delle parti

21      Nell’ipotesi in cui la normativa controversa fosse considerata una restrizione ai movimenti di capitali, la Commissione e il Regno di Spagna concordano sul fatto che essa potrebbe essere giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e dall’obiettivo di lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali. La Commissione sostiene, tuttavia, che tale normativa eccede quanto necessario per conseguire detti obiettivi.

 Giudizio della Corte

22      Come indicato al punto 20 della presente sentenza, la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e l’obiettivo di lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali rientrano tra le ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare l’istituzione di una restrizione alle libertà di circolazione (v., in tal senso, sentenze dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot, C‑155/08 e C‑157/08, EU:C:2009:368, punti 45 e 46, e del 15 settembre 2011, Halley, C‑132/10, EU:C:2011:586, punto 30).

23      Per quanto concerne i movimenti di capitali, l’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE prevede inoltre che le disposizioni dell’articolo 63 TFUE non pregiudicano il diritto degli Stati membri di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale.

24      Nel caso di specie, poiché il livello di informazioni di cui dispongono le autorità nazionali relativamente agli attivi che i loro residenti fiscali detengono all’estero è, complessivamente, inferiore a quello di cui esse dispongono in merito agli attivi situati nel loro territorio, anche tenendo conto dell’esistenza di meccanismi di scambio di informazioni o di assistenza amministrativa tra gli Stati membri, la normativa controversa appare idonea a garantire il conseguimento degli obiettivi perseguiti. Occorre tuttavia verificare se essa non ecceda quanto necessario per conseguirli.

 Sulla proporzionalità della qualificazione degli attivi detenuti allestero come «plusvalenze patrimoniali non giustificate», senza possibilità di beneficiare della prescrizione 

 Argomenti delle parti

25      Secondo la Commissione, l’inadempimento dell’obbligo di informazione o la presentazione inesatta o tardiva del «Modello 720» comportano conseguenze sproporzionate rispetto agli obiettivi perseguiti dal legislatore spagnolo, in quanto fanno sorgere una presunzione assoluta di percezione di un reddito non dichiarato, pari al valore dei beni o dei diritti di cui trattasi, presunzione che comporta l’assoggettamento a imposta delle somme corrispondenti in capo al contribuente, senza che quest’ultimo possa avvalersi delle norme di prescrizione o sottrarsi all’imposizione adducendo che egli, in passato, ha pagato l’imposta dovuta per detti beni o detti diritti.

26      Il Regno di Spagna contesta l’esistenza di una presunzione assoluta di evasione fiscale. Esso sostiene che l’occultamento dei beni o dei diritti di cui trattasi e il mancato pagamento, da parte del contribuente, dell’imposta corrispondente devono essere accertati affinché la mancata dichiarazione o la dichiarazione tardiva di tali beni o di tali diritti mediante il «Modello 720» faccia sorgere una presunzione di percezione di un reddito non dichiarato in capo al contribuente. Il Regno di Spagna contesta altresì l’assenza di qualsivoglia norma sulla prescrizione. A suo avviso, il diritto spagnolo presenta soltanto una particolarità per quanto riguarda il dies a quo del termine di prescrizione, che, secondo la regola dell’actio nata, decorre solo a partire dalla data in cui l’amministrazione finanziaria viene a conoscenza dell’esistenza dei beni o dei diritti per i quali l’obbligo di informazione non è stato adempiuto o è stato adempiuto in modo inesatto o tardivo.

 Giudizio della Corte

27      Secondo costante giurisprudenza della Corte, la mera circostanza che un contribuente residente detenga beni o diritti al di fuori del territorio di uno Stato membro non può legittimare una presunzione generale di evasione e di elusione fiscali (v., in tal senso, sentenze dell’11 marzo 2004, de Lasteyrie du Saillant, C‑9/02, EU:C:2004:138, punto 51, e del 7 novembre 2013, K, C‑322/11, EU:C:2013:716, punto 60).

28      Peraltro, un disposto normativo che presuma l’esistenza di una condotta fraudolenta per la sola ragione che ricorrono le condizioni da esso previste, senza concedere al contribuente alcuna possibilità di confutare tale presunzione, eccede, in linea di principio, quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo di lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali [v., in tal senso, sentenze del 3 ottobre 2013, Itelcar, C‑282/12, EU:C:2013:629, punto 37 e giurisprudenza ivi citata, e del 26 febbraio 2019, X (Società intermedie con sede in paesi terzi), C‑135/17, EU:C:2019:136, punto 88].

29      Dall’articolo 39, paragrafo 2, della legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche e dall’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società risulta che il contribuente il quale non abbia adempiuto all’obbligo di informazione o che lo abbia fatto in modo inesatto o tardivo può evitare l’inserimento nella base imponibile dell’imposta dovuta per il periodo più risalente tra i periodi di imposta non prescritti, come plusvalenze patrimoniali non giustificate, delle somme corrispondenti al valore dei suoi beni o dei suoi diritti non dichiarati tramite il «Modello 720» fornendo la prova che tali beni o tali diritti sono stati acquistati mediante redditi dichiarati o percepiti nel corso di periodi di imposta per i quali lo stesso non era assoggettato all’imposta.

30      Il Regno di Spagna sostiene peraltro, senza essere validamente contraddetto dalla Commissione, che la circostanza che il contribuente non abbia conservato la prova dell’imposta pagata in passato per le somme impiegate per acquistare i beni o i diritti non dichiarati mediante il «Modello 720» non comporta l’inserimento automatico di tali somme nella base imponibile dell’imposta dovuta da tale contribuente come plusvalenze patrimoniali non giustificate. Detto Stato membro precisa, infatti, che, in forza delle norme generali sulla ripartizione dell’onere della prova, spetta in ogni caso all’amministrazione finanziaria provare che il contribuente non ha adempiuto al suo obbligo di pagamento dell’imposta.

31      Da quanto precede risulta, da un lato, che la presunzione di percezione di plusvalenze patrimoniali non giustificate istituita dal legislatore spagnolo non è fondata sulla mera detenzione di beni o di diritti all’estero da parte del contribuente, in quanto il fatto che essa trovi applicazione è legato all’inosservanza o all’adempimento tardivo, da parte di detto contribuente, degli obblighi di dichiarazione specifici che gli incombono in relazione a tali beni o a tali diritti. Dall’altro lato, secondo le informazioni fornite alla Corte, il contribuente può confutare detta presunzione non solo fornendo la prova che i beni o i diritti di cui trattasi sono stati acquistati mediante redditi dichiarati o percepiti nel corso di periodi di imposta per i quali lo stesso non era assoggettato all’imposta, ma anche, nel caso in cui il medesimo non sia in grado di fornire una prova siffatta, adducendo che egli ha adempiuto il proprio obbligo di pagamento dell’imposta per i redditi impiegati per acquistare tali beni o tali diritti, circostanza che spetta poi all’amministrazione finanziaria verificare.

32      Ciò premesso, la presunzione istituita dal legislatore spagnolo non appare sproporzionata rispetto agli obiettivi di garanzia dell’efficacia dei controlli fiscali e di lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali.

33      L’impossibilità, per il contribuente, di confutare tale presunzione adducendo che i beni o i diritti per i quali non ha adempiuto all’obbligo di informazione o lo ha fatto in modo inesatto o tardivo sono stati acquistati nel corso di un periodo di imposta prescritto non può inficiare tale conclusione. Invero, il fatto che si invochi una norma sulla prescrizione non è idoneo a rimettere in discussione una presunzione di evasione o di elusione fiscali, ma consente soltanto di evitare le conseguenze che l’applicazione di tale presunzione dovrebbe comportare.

34      Si deve tuttavia verificare se le scelte operate dal legislatore spagnolo in materia di prescrizione non appaiano, di per sé, sproporzionate rispetto agli obiettivi perseguiti.

35      A tal riguardo, va rilevato che l’articolo 39, paragrafo 2, della legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche e l’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società consentono, in realtà, all’amministrazione finanziaria di procedere senza limiti di tempo alla rettifica dell’imposta dovuta per le somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti situati all’estero e non dichiarati, o dichiarati in modo inesatto o tardivo, mediante il «Modello 720». Ciò è vero anche ove si consideri che il legislatore spagnolo ha soltanto inteso, in applicazione della regola dell’actio nata, spostare il dies a quo del termine di prescrizione e fissarlo alla data in cui l’amministrazione finanziaria viene per la prima volta a conoscenza dell’esistenza dei beni o dei diritti detenuti all’estero, giacché tale scelta conduce, in pratica, a consentire all’amministrazione di assoggettare a imposta per un periodo indefinito i redditi corrispondenti al valore di tali attivi, senza tener conto del periodo di imposta o dell’anno a titolo dei quali era normalmente dovuta l’imposta sulle somme corrispondenti.

36      Dall’articolo 39, paragrafo 2, della legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche e dall’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società risulta peraltro che l’inadempimento o l’adempimento tardivo dell’obbligo di informazione comporta l’inserimento nella base imponibile dell’imposta dovuta dal contribuente delle somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti non dichiarati situati all’estero, anche nel caso in cui tali beni o tali diritti siano entrati a far parte del suo patrimonio nel corso di un anno o di un periodo di imposta già prescritti alla data in cui egli doveva adempiere all’obbligo di informazione. Per contro, il contribuente che ha adempiuto a tale obbligo entro i termini impartiti conserva il beneficio della prescrizione per eventuali redditi occultati impiegati per acquistare i beni o i diritti che egli detiene all’estero.

37      Da quanto precede risulta non solo che il disposto normativo adottato dal legislatore spagnolo comporta effetti di imprescrittibilità, ma anche che esso consente all’amministrazione finanziaria di rimettere in discussione una prescrizione già maturata a favore del contribuente.

38      Orbene, se è vero che il legislatore nazionale può istituire un termine di prescrizione prolungato allo scopo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di contrastare l’evasione e l’elusione fiscali connesse all’occultamento di attivi all’estero, a condizione che la durata di tale termine non ecceda quanto necessario al conseguimento di tali obiettivi tenuto conto, in particolare, dei meccanismi di scambio di informazioni e di assistenza amministrativa tra Stati membri (v. sentenza dell’11 giugno 2009, X e Passenheim-van Schoot, C‑155/08 e C‑157/08, EU:C:2009:368, punti 66, 72 e 73), lo stesso non può tuttavia valere per l’istituzione di meccanismi che equivalgono, in pratica, a prolungare indefinitamente il periodo durante il quale l’imposizione può aver luogo o che consentono di inficiare gli effetti di una prescrizione già maturata.

39      Infatti, la fondamentale esigenza di certezza del diritto osta, in linea di principio, a che le autorità pubbliche possano avvalersi indefinitamente dei loro poteri per porre fine ad una situazione illegale (v., per analogia, sentenza del 14 luglio 1972, Geigy/Commissione, 52/69, EU:C:1972:73, punto 21).

40      Nel caso di specie, come indicato ai punti 35 e 36 della presente sentenza, la possibilità per l’amministrazione finanziaria di agire senza limiti di tempo, o addirittura di rimettere in discussione una prescrizione già maturata, risulta soltanto dall’inosservanza da parte del contribuente della formalità consistente nell’adempiere, entro i termini impartiti, all’obbligo di informazione riguardo ai beni o ai diritti che egli detiene all’estero.

41      Collegando conseguenze così onerose all’inosservanza di un siffatto obbligo di dichiarazione, la scelta operata dal legislatore spagnolo eccede quanto necessario per garantire l’efficacia dei controlli fiscali e per contrastare l’evasione e l’elusione fiscali, senza che occorra interrogarsi sulle conseguenze da trarre dall’esistenza di meccanismi di scambio di informazioni o di assistenza amministrativa tra Stati membri.

 Sulla proporzionalità della sanzione del 150%

 Argomenti delle parti

42      La Commissione sostiene che, punendo l’inosservanza o l’adempimento tardivo dell’obbligo di informazione con una sanzione proporzionale del 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore dei diritti o dei beni situati all’estero, a carattere automatico e non modulabile, il legislatore spagnolo ha istituito una restrizione sproporzionata alla libera circolazione dei capitali.

43      La Commissione afferma, in particolare, che l’aliquota di tale sanzione è nettamente superiore alle aliquote progressive della sanzione prevista in caso di dichiarazione tardiva dei redditi imponibili in una situazione puramente nazionale, aliquote pari, a seconda del ritardo constatato, al 5, al 10, al 15 o al 20% dell’imposta dovuta dal contribuente, e ciò anche se, a differenza di quest’ultima sanzione, che sarebbe legata all’inosservanza di un obbligo di pagamento dell’imposta, la sanzione del 150% punirebbe solo l’inadempimento di un obbligo formale di comunicare informazioni, obbligo che, di norma, non comporta il pagamento di un’imposta supplementare.

44      Tale istituzione precisa altresì che, a suo avviso, non si può tener conto delle possibilità di modulazione previste dalla risposta all’interpello del 6 giugno 2017, in quanto tale risposta non avrebbe forza di legge e sarebbe successiva alla data del parere motivato. Essa sottolinea che, in mancanza di indagini da parte dell’amministrazione, ai contribuenti che non possano provare che i loro beni o i loro diritti all’estero sono stati acquistati mediante redditi dichiarati e assoggettati a imposta verrebbe automaticamente irrogata la sanzione del 150%, il che equivarrebbe, ancora una volta, a istituire una presunzione assoluta di evasione fiscale, e sottolinea che non si terrebbe affatto conto del debito d’imposta complessivo gravante sul contribuente derivante dal cumulo della sanzione proporzionale del 150% e delle sanzioni forfettarie previste dalla diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi.

45      Il Regno di Spagna ritiene, dal canto suo, che la proporzionalità delle sanzioni rientri esclusivamente nella valutazione delle autorità nazionali, giacché tale questione non è oggetto di armonizzazione a livello europeo. Ciò premesso, esso afferma che la sanzione del 150% ha lo scopo di punire l’inosservanza di un obbligo di dichiarazione senza rettifica dell’imposta corrispondente, vale a dire atti di elusione fiscale, e non può, a tale titolo, essere paragonata alle maggiorazioni inflitte in caso di ritardo nella dichiarazione, che sono destinate unicamente a indurre i contribuenti a rispettare i termini impartiti.

46      Il Regno di Spagna ritiene altresì che si debba tener conto delle possibilità di modulazione offerte dalla risposta all’interpello del 6 giugno 2017, il cui contenuto è incorporato retroattivamente nella legge, nonché della facoltà generale di modulazione riconosciuta all’amministrazione nel diritto nazionale, in forza del principio di proporzionalità.

47      Tale Stato membro contesta infine il carattere automatico della sanzione del 150%, affermando che quest’ultima può essere irrogata solo quando ricorrono gli elementi costitutivi dell’infrazione che essa punisce, che l’onere della prova della colpevolezza del contribuente grava sempre sull’amministrazione e che tale sanzione non è, in pratica, irrogata sistematicamente. Inoltre, alla luce delle caratteristiche della sanzione del 150%, la proporzionalità di quest’ultima dovrebbe essere valutata tenendo conto delle sanzioni previste nelle ipotesi più gravi di mancato pagamento di un debito d’imposta che, in caso di reato fiscale, potrebbero arrivare fino all’irrogazione di una sanzione del 600% dell’importo dell’imposta dovuta dal contribuente.

 Giudizio della Corte

48      In via preliminare, occorre ricordare che, se è vero che spetta agli Stati membri, in assenza di armonizzazione nel diritto dell’Unione, scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate in caso di inosservanza degli obblighi previsti dalla loro normativa nazionale in materia di imposte dirette, i medesimi sono, tuttavia, tenuti ad esercitare tale competenza nel rispetto di detto diritto e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2001, Louloudakis, C‑262/99, EU:C:2001:407, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

49      Per quanto riguarda la proporzionalità della sanzione del 150%, dalla prima disposizione aggiuntiva alla legge 7/2012 risulta che l’applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2, della legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche o dell’articolo l34, paragrafo 6, del testo consolidato della legge relativa all’imposta sulle società approvato con regio decreto legislativo 4/2004 del 5 marzo 2004, le cui disposizioni sono state successivamente riprese all’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società, comporta l’irrogazione di una sanzione del 150% dell’importo complessivo dell’imposta dovuta sulle somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti detenuti all’estero. Tale sanzione si cumula con le sanzioni forfettarie previste dalla diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi, che si applicano a ciascun dato o a ciascuna categoria di dati mancanti, incompleti, inesatti o falsi che devono essere indicati nel «Modello 720».

50      Benché il Regno di Spagna sostenga che tale sanzione proporzionale punisce l’inadempimento di un obbligo sostanziale di pagamento dell’imposta, è giocoforza constatare che la sua applicazione è direttamente connessa all’inosservanza di obblighi di dichiarazione. Infatti, sono passibili di tale sanzione solo i contribuenti la cui situazione rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2, della legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche o dell’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società, vale a dire i contribuenti che non hanno adempiuto all’obbligo di informazione riguardo ai loro beni o ai loro diritti all’estero o lo hanno fatto in modo inesatto o tardivo, ad esclusione di coloro che, pur avendo acquistato siffatti beni o siffatti diritti mediante redditi non dichiarati, hanno invece adempiuto a detto obbligo.

51      Peraltro, sebbene il Regno di Spagna sostenga che, in pratica, l’irrogazione della sanzione proporzionale del 150% risulta da una valutazione caso per caso e che la sua aliquota può essere modulata, i termini della prima disposizione aggiuntiva alla legge 7/2012 lasciano intendere che la mera applicazione dell’articolo 39, paragrafo 2, della legge relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche o dell’articolo 121, paragrafo 6, della legge relativa all’imposta sulle società basta per stabilire l’esistenza di un’infrazione fiscale, considerata di elevata gravità e punita con l’irrogazione della sanzione del 150% dell’importo dell’imposta evasa, e tale aliquota non è espressa quale aliquota massima.

52      Al riguardo, occorre precisare che le possibilità di modulazione offerte dalla risposta all’interpello del 6 giugno 2017, successivamente al parere motivato inviato dalla Commissione al Regno di Spagna il 15 febbraio 2017, non possono essere prese in considerazione nell’ambito del ricorso di cui trattasi, dal momento che, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato [v., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2020, Commissione/Italia (Direttiva lotta contro i ritardi di pagamento), C‑122/18, EU:C:2020:41, punto 58]. La circostanza che l’interpretazione contenuta in detta risposta all’interpello sia incorporata retroattivamente nella legge non ha alcuna incidenza in tal senso.

53      Occorre infine rilevare l’aliquota molto elevata della sanzione proporzionale prevista, che conferisce a quest’ultima un carattere estremamente repressivo e che può condurre, in numerosi casi, tenendo conto del cumulo con le sanzioni forfettarie inoltre previste dalla diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi, a portare l’importo complessivo delle somme dovute dal contribuente per l’inosservanza dell’obbligo di informazione riguardo ai suoi beni o ai suoi diritti all’estero ad oltre il 100% del valore di tali beni o di tali diritti, come sottolineato dalla Commissione.

54      In tali circostanze, detta istituzione ha dimostrato che, punendo l’inosservanza, da parte del contribuente, dei suoi obblighi di dichiarazione relativi ai suoi beni o ai suoi diritti situati all’estero con una sanzione proporzionale del 150% dell’importo dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore di tali beni o di tali diritti, sanzione cumulabile con sanzioni forfettarie, il legislatore spagnolo ha arrecato un pregiudizio sproporzionato alla libera circolazione dei capitali.

 Sulla proporzionalità delle sanzioni forfettarie

 Argomenti delle parti

55      Infine, secondo la Commissione, costituisce una restrizione sproporzionata alla libera circolazione dei capitali il fatto di prevedere, in caso di inadempimento dell’obbligo di informazione riguardo ai beni o ai diritti detenuti all’estero o di adempimento inesatto o tardivo di tale obbligo, sanzioni forfettarie con un’aliquota superiore a quella prevista per infrazioni simili in un contesto puramente nazionale, senza tener conto delle informazioni di cui possa disporre l’amministrazione finanziaria in merito a detti attivi.

56      In ogni caso, la Commissione ritiene che il fatto che l’inadempimento o l’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione, il quale costituisce un mero obbligo formale la cui inosservanza non arreca alcun danno economico diretto al fisco, comporti l’irrogazione di sanzioni che sono, a seconda dei casi, 15, 50 o 66 volte più elevate di quelle di cui sono passibili le infrazioni simili in una situazione puramente nazionale, previste dagli articoli 198 e 199 del codice generale dei tributi, basta per dimostrare il carattere sproporzionato dell’importo di tali sanzioni.

57      Pur riconoscendo che le sanzioni forfettarie previste dalla diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi puniscono l’inadempimento di un obbligo formale, obbligo la cui inosservanza non provoca al fisco un danno economico diretto, il Regno di Spagna ritiene che gli elementi di raffronto utilizzati dalla Commissione non siano pertinenti. Ad avviso del Regno di Spagna, occorrerebbe piuttosto confrontare le sanzioni forfettarie previste in caso di inadempimento o di adempimento tardivo dell’obbligo di informazione con quelle previste in caso di mancato rispetto della «dichiarazione relativa alle operazioni con parti correlate», contemplata dal diritto spagnolo, in quanto tale dichiarazione assume, anch’essa, la forma di un obbligo di informazione riguardo a dati monetari, che deve essere adempiuto dal contribuente interessato dalle informazioni di cui trattasi. Detto Stato membro ritiene, peraltro, che il livello di informazione di cui dispone l’amministrazione finanziaria in merito agli attivi detenuti da un contribuente all’estero non debba essere preso in considerazione per valutare la proporzionalità delle sanzioni forfettarie previste, la quale dovrebbe essere esaminata esclusivamente alla luce della condotta del contribuente.

 Giudizio della Corte

58      Secondo la diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi, i contribuenti sono tenuti a fornire all’amministrazione finanziaria un insieme di informazioni relative ai loro beni o ai loro diritti all’estero, tra cui i beni immobili, i conti bancari, i titoli, gli attivi, i valori o i diritti rappresentativi del capitale sociale, i fondi propri o il patrimonio di qualsiasi tipo di soggetto, o ancora le assicurazioni sulla vita o per invalidità di cui essi dispongono al di fuori del territorio spagnolo. Il fatto che un contribuente dichiari all’amministrazione finanziaria informazioni incomplete, inesatte o false, che non fornisca a quest’ultima le informazioni richieste o che non lo faccia entro i termini o secondo le forme prescritte è qualificato come «infrazione fiscale» e comporta l’applicazione di sanzioni forfettarie di importo pari a EUR 5 000 per dato o categoria di dati mancanti, incompleti, inesatti o falsi, con un minimo di EUR 10 000, e di un importo pari a EUR 100 per dato o categoria di dati dichiarati tardivamente o non dichiarati in forma dematerializzata ove ciò fosse richiesto, con un minimo di EUR 1 500.

59      La diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi prevede altresì che tali sanzioni non possono essere cumulate con quelle previste dagli articoli 198 e 199 di detta legge, le quali stabiliscono in modo generale le sanzioni applicabili ai contribuenti che non adempiono ai loro obblighi di dichiarazione o lo fanno in modo inesatto, tardivo o al di fuori delle forme prescritte. Secondo tali disposizioni, in assenza di un danno economico diretto per il fisco, la mancata presentazione di una dichiarazione entro il termine impartito è, salvo casi particolari, punita con una sanzione forfettaria di EUR 200, il cui importo è ridotto della metà in caso di presentazione tardiva da parte del contribuente, senza previa richiesta dell’amministrazione finanziaria. La presentazione di una dichiarazione incompleta, inesatta o falsa è invece punita con una sanzione forfettaria di EUR 150 e la presentazione di una dichiarazione al di fuori delle forme prescritte con una sanzione forfettaria di EUR 250.

60      Da quanto precede risulta che la diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi sanziona l’inosservanza di meri obblighi di dichiarazione o di obblighi puramente formali legati alla detenzione, da parte del contribuente, di beni o di diritti all’estero, con l’irrogazione di sanzioni forfettarie molto elevate, in quanto si applicano a ciascun dato o a ciascuna categoria di dati in questione, che per dette sanzioni è previsto, a seconda dei casi, un importo base di EUR 1 500 o di EUR 10 000 e che per il loro importo complessivo non è previsto un limite massimo. Tali sanzioni forfettarie si cumulano, inoltre, con la sanzione proporzionale del 150% prevista dalla prima disposizione aggiuntiva alla legge 7/2012.

61      Da quanto precede risulta altresì che l’importo di tali sanzioni forfettarie non è commisurato all’importo di quelle di cui sono passibili i contribuenti sulla base degli articoli 198 e 199 del codice generale dei tributi, che appaiono comparabili nei limiti in cui puniscono l’inosservanza di obblighi analoghi a quelli previsti dalla diciottesima disposizione aggiuntiva al codice generale dei tributi.

62      Tali caratteristiche bastano per dimostrare che le sanzioni forfettarie previste da tale disposizione istituiscono una restrizione sproporzionata alla libera circolazione dei capitali.

63      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve dichiarare che il Regno di Spagna:

–        avendo previsto come conseguenza dell’inadempimento o dell’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero l’assoggettamento a imposta dei redditi non dichiarati corrispondenti al valore di tali attivi come «plusvalenze patrimoniali non giustificate», senza possibilità, in pratica, di beneficiare della prescrizione;

–        avendo corredato l’inadempimento o l’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero di una sanzione proporzionale del 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore di tali beni o di tali diritti, sanzione che può essere cumulata con sanzioni forfettarie; e

–        avendo corredato l’inadempimento o l’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di informazione riguardo ai beni e ai diritti situati all’estero di sanzioni forfettarie il cui importo non è commisurato alle sanzioni previste per infrazioni simili in un contesto puramente nazionale e per il cui importo complessivo non è previsto un limite massimo,

è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE e dell’articolo 40 dell’accordo SEE.

……………….

Appare  evidente quanto, sia negli obiettivi che nell’impianto sanzionatorio, la normativa spagnola sul monitoraggio fiscale sia simile, a tratti equivalente, a quella italiana.

Con la citata sentenza nella causa C-788/19, la Corte di Giustizia UE ha constatato l’incompatibilità della normativa spagnola con il diritto dell’Unione Europea, in quanto le conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo dichiarativo sono, secondo la Corte, sproporzionate rispetto agli obiettivi che la normativa vuole perseguire.

La motivazione per cui tale sproporzione è contraria al diritto unionale è riassumibile nel fatto che le misure di deterrenza previste, che non hanno equivalenti nella normativa nazionale per le attività situate nel paese, sono idonee a dissuadere, impedire e limitare la possibilità dei contribuenti residenti a investire in altri Stati dell’Unione Europea. Tutto questo in contrasto con la libera di circolazione dei capitali, principio essenziale dell’Unione.

(1) Il Modulo 720 concerne la dichiarazione dei beni di proprietà e diritti situati all’ estero. L’obbligatorietà di questa dichiarazione informativa annuale è stata sancita dal Real Decreto nº 1558/2012, sulla base dell’ordine HAP/72/2013 del 30 gennaio.

Il Modulo 720 deve essere presentato tra il 1º gennaio e non oltre il 31 marzo dell’anno successivo a quello a cui si riferisce l’informazione concernente i beni di proprietà e i diritti situati all’ estero, appartenenti alle persone fisiche e giuridiche residenti in Spagna.

Nello specifico, i beni e diritti oggetto di tale dichiarazione sono stati suddivisi in 3 gruppi, specificatamente:

  1. Conti correnti aperti con depositi in banche situate all’ estero;
  2. Azioni, diritti, assicurazioni vitalizie, assicurazioni di reddito, depositi vincolati, gestiti o contrattualizzati all’estero;
  3. Beni immobiliari o i diritti su beni immobili situati all’estero.

Non è necessario presentare il Modulo 720 quando il valore economico di tali beni sia inferiore a 50.000 €. Questa soglia si riferisce a ognuno dei tre gruppi menzionati.

La mancata presentazione del Modulo 720 entro il termine previsto o l’omissione in tale dichiarazione di alcuni dati o erroneità degli stessi comporta importanti sanzioni per l’obbligato inadempiente.

Non assume rilevanza penale l’omissione del quadro RW – Corte di Cassazione,  sentenza  numero 19849 del 4 maggio 2021

Secondo la Corte di Cassazione,  sentenza  numero 19849 del 4 maggio 2021, il mancato adempimento degli obblighi previsti dal monitoraggio fiscale non può configurare una situazione rilevante penalmente.

Larticolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW per assolvere sia agli obblighi di monitoraggio fiscale che per il calcolo delle dovute IVIE (imposta sul valore degli immobili situati all’estero) di cui all’art. 19, commi da 13 a 17, del Decreto-legge del 06/12/2011 n. 201 IVAFE (imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero) di cui all’art. 19, commi da 18 a 22, del Decreto-legge del 06/12/2011 n. 201 .

Se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve presentare la dichiarazione con il solo frontespizio unitamente al quadro RW.

Ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 la violazione dell’obbligo di dichiarazione di investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. 

La violazione di cui sopra relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 (individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 (individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127 -bis, comma 4, (Soppresso da: Decreto legislativo del 12/12/2003 n. 344 Articolo 1) del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati.

Quindi, qualora le attività estere di natura finanziaria siano detenute in “paradisi fiscali”, la sanzione è raddoppiata rispetto ai valori ordinari.

Secondo l’ipotesi avanzata in sede di contenzioso nella causa in oggetto, le consistenze patrimoniali non dichiarate sul quadro RW dovevano essere considerate redditi non dichiarati e come tali, superando i limiti previsti dall’articolo 4 del Decreto Legislativo 74/2000, adatti a configurare la rilevanza penale per dichiarazione infedele.

Tale impostazione si basava sulla presunzione che le attività estere non dichiarate sul quadro RW rappresetassero redditi non dichiarati prodotti all’estero.

La Corte di Cassazione, con la  sentenza  numero 19849 del 4 maggio 2021, ha rigettato questa impostazione, ricordando che le normativa sul monitoraggio fiscale “non prevede un apparato sanzionatorio penale in caso di violazione dell’obbligo dichiarativo”, ma solo sanzioni amministrative pecuniarie per la mancata dichiarazione e\o per il mancato versamento delle imposte collegate (IVIE e IVAFE).

Secondo i giudici di legittimità:

la somma di denaro detenuta da un contribuente italiano su un conto corrente di una banca estera (così come uno strumento finanziario o un bene immobile) non è considerata, di per sé sola, parte del reddito imponibile del contribuente italiano, restando tassabili in Italia alle condizioni prescritte dalla legge, esclusivamente le rendite – come gli interessi conseguiti da un investimento finanziario o le rendite immobiliari – che il bene detenuto all’estero dovesse eventualmente produrre; rendite che, peraltro, vanno dichiarate in quadri della dichiarazione dei redditi diversi dal quadro RW

La presunzione di equivalenza tra attività estera non dichiarata e reddito estero non dichiarato non consente il soddisfacimento dei requisiti richiesti dalla legge per la configurazione penale della dichiarazione infedele e  l’omissione del quadro RW in nessun modo può assumere rilevanza penale, dato che la normativa di riferimento, contenuta nell’art. 5 del Decreto Legge 167/1990, come convertito dalla Legge 227/1990, per la fattispecie sono previste  solo sanzioni amministrative di tipo pecuniario, anche risolvibili in misura ridotta in caso di ravvedimento con versamento spontaneo.

Vedi: QUADRO RW – RAVVEDIMENTO OPEROSO

Quadro RW – Ravvedimento operoso

Quadro RW – Ravvedimento operoso

Larticolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW per assolvere sia agli obblighi di monitoraggio fiscale che per il calcolo delle dovute IVIE (imposta sul valore degli immobili situati all’estero) di cui all’art. 19, commi da 13 a 17, del Decreto-legge del 06/12/2011 n. 201 e IVAFE (imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero) di cui all’art. 19, commi da 18 a 22, del Decreto-legge del 06/12/2011 n. 201 .

Se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve presentare la dichiarazione con il solo frontespizio unitamente al quadro RW.

Ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 la violazione dell’obbligo di dichiarazione di investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. 

La violazione di cui sopra relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 (individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 (individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127 -bis, comma 4, (Soppresso da: Decreto legislativo del 12/12/2003 n. 344 Articolo 1) del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati.

Quindi, qualora le attività estere di natura finanziaria siano detenute in “paradisi fiscali”, la sanzione è raddoppiata rispetto ai valori ordinari.

L’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 stabilisce che nel caso in cui la dichiarazione prevista dall’articolo 4, comma 1, dl 167/1990, sia presentata entro novanta giorni dal termine, si applica la sanzione di euro 258.

I commi 18 e 22 dell’art. 19 del Decreto-legge del 06/12/2011 n. 201 stabiliscono che per il versamento, la liquidazione, l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e i rimborsi nonche’ per il contenzioso, relativamente all’IVIE e all’IVAFE si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi, ivi comprese quelle relative alle modalita’ di versamento dell’imposta in acconto e a saldo.

In merito all’IVIE e IVAFE è stata emanata la circolare 28/E del 02/07/2012, Prot.: 2012/97954.

Quindi, ove il quadro RW sia presentato entro 90 giorni dal termine, si applica la sanzione fissa di 258 euro, essendo irrilevante che i possedimenti esteri si trovino o meno in “paradisi fiscali”. Ad uguali conclusioni si deve pervenire per il modulo RW infedele ma integrato nei novanta giorni dal termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.

L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E/2013 ha chiarito che le violazioni riguardanti il quadro RW hanno natura tributaria e per questo motivo, quindi,  è possibile provvedere alla regolarizzazione mediante lo strumento del ravvedimento operoso.

Stante il rinvio dei commi 18 e 22 dell’art. 19 del Decreto-legge del 06/12/2011 n. 201, la mancata compilazione del quadro RW nel caso in cui sia dovuto il pagamento di IVIE e IVAFE comporta l’applicazione del regime sanzionatorio delle imposte sui redditi, quindi, se dall’omissione del quadro RW vi sono omissioni nel versamento delle imposte patrimoniali collegate si deve provvedere al versamento delle stesse con sanzioni da omesso versamento,  sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato (Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471).

L’art. 15 del decreto legislativo n. 158/2015 ha modificato l’Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471 sulle sanzioni per ritardati od omessi versamenti, prevedendo la riduzione alla metà della sanzione ordinaria per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni dalla scadenza. In tali casi, quindi, la sanzione passa dal 30% al 15%.

Con il “ravvedimento” (art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 ) è possibile regolarizzare omessi o insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali, beneficiando della riduzione delle sanzioni.

Il ravvedimento è consentito a tutti i contribuenti. Prima delle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 637, dalla legge di Stabilità per il 2015 (Legge del 23/12/2014 n. 190), per poterne usufruire occorreva rispettare determinati limiti di tempo. Inoltre, era necessario che:

  • la violazione non fosse già stata constatata e notificata a chi l’avesse commessa
  • non fossero iniziati accessi, ispezioni e verifiche
  • non fossero iniziate altre attività di accertamento (notifica di inviti a comparire, richiesta di esibizione di documenti, invio di questionari) formalmente comunicate all’autore.

Ai sensi del comma 1-ter dell’art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 tali preclusioni, per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, non operano più e il ravvedimento è inibito solo dalla notifica degli atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni).

In ogni caso, il pagamento e la regolarizzazione non precludono l’inizio o la prosecuzione di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo e accertamento (comma 1-quater dell’art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997)

Ai sensi del comma 2 dell’art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 gli errori, le omissioni e i versamenti carenti possono essere regolarizzati eseguendo spontaneamente il pagamento:

  • dell’imposta dovuta
  • degli interessi, calcolati al tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito
  • della sanzione in misura ridotta.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 la sanzione ridotta è pari:

  • a) a 1/10 di quella ordinaria nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data di scadenza
  • a-bis)a 1/9 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall’omissione o dall’errore
  • b) a 1/8 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore
  • b-bis) a 1/7 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall’omissione o dall’errore
  • b-ter) a 1/6 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall’omissione o dall’errore
  • b-quater) a 1/5 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione (ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), salvo nei casi di mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto o di omessa installazione degli apparecchi per l’emissione dello scontrino fiscale)
  • c) a 1/10 del minimo di quella prevista per l’omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni, oppure a 1/10 del minimo di quella prevista per l’omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.

Sul tema della regolarizzazione delle omissioni relative al monitoraggio degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria è stata emanata la circolare n. 11/E del 12 marzo 2010.

A seguito delle modifiche all’art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 introdotte dall’articolo 1, comma 637, dalla legge di Stabilità per il 2015 (Legge del 23/12/2014 n. 190) è stata emanata la circolare n.23/E del 09/06/2015.

Sul tema della “regolarizzazione delle dichiarazioni con errori o presentate in ritardo. Ravvedimento operoso. Ulteriori chiarimenti rispetto al comunicato stampa del 18 dicembre 2015” è stata emanata la circolare n. 42/E del 12 ottobre 2016.

Sul tema del ravvedimento operosoarticolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 – è stata emanata la ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82

La ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82, in riferimento alla tardiva presentazione del modulo RW conferma i chiarimenti forniti con la circolare n. 11/E del 12 marzo 2010 laddove si precisa che, qualora la dichiarazione annuale sia stata presentata nei termini ed i dati nella stessa contenuti siano corretti, “è consentita la compilazione e l’invio del solo frontespizio e del modulo RW” anche oltre il termine di cui all’articolo 2, comma 7, del d.P.R. n. 322
del 1998 (Sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse, ma costituiscono, comunque, titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta).

La ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82 in merito alle sanzioni applicabili, tenuto conto di quanto chiarito con la circolare n. 42/E del 12 ottobre 2016, a parziale rettifica delle precisazioni rese con la citata circolare n. 11/E del 12 marzo 2010, fa presente quanto segue.
Se la presentazione del modulo RW avviene:

  • entro i novanta giorni dalla scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione, si applica

Entrambe le sanzioni possono essere ridotte ai sensi dell’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997. Non è, invece, dovuta la sanzione di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 471 del 1997 perché la violazione degli obblighi di liquidazione dell’IVIE e dell’IVAFE non ha riflessi sulla dichiarazione annuale in quanto tale;

Entrambe le sanzioni possono essere ridotte ai sensi dell’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997. Restano inoltre dovuti, oltre alla quota capitale, anche i relativi interessi.

Dichiarazione dei redditi nei 90 giorni

La dichiarazione tardiva è una dichiarazione non presentata nel termine, ma comunque considerata emessa. Questo nel caso in cui la stessa venga presentata entro 90 giorni dalla scadenza.

Se l’omessa o infedele presentazione del quadro RW viene sanata nei novanta giorni, la riduzione da ravvedimento operoso si computa su 258 euroris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82).

Ai sensi dellart. 13 comma 1 lett. a-bis) del DLgs. 472/97  la sanzione e’ ridotta, sempreche’ la violazione non sia stata gia’ constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivita’ amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza, ad un nono del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell’omissione o dell’errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l’omissione o l’errore e’ stato commesso.

Quindi per sanare, con ravvedimento entro i 90 giorni, il Quadro RW è dovuta una sanzione pari ad un nono di 258 euro (€ 28,67).

Considerato che il quadro RW non è considerato una “dichiarazione”, ma, come abbiamo visto, una parte integrante della dichiarazione dei redditi, il ravvedimento entro i 90 giorni rientra nell’art. 13 comma 1 lett. a-bis del DLgs. 472/97) , con riduzione della sanzione di 258 euro a un nono, sia quando si ravvede il solo quadro RW sia quando si ravvede anche la tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi.

Ricordiamo, come su detto che se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve presentare la dichiarazione con il solo frontespizio unitamente al quadro RW.

Quindi, come chiarito dalla circolare n. 42 del 2016,  la dichiarazione tardiva, ossia quella presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione ordinario, rimane soggetta alla sanzione in misura fissa di 250 euro, di cui all’articolo 1, comma 1, del D.lgs. n. 471 del 1997, ridotta, in sede di ravvedimento operoso, a 1/10, ai sensi dell‘art. 13 comma 1 lett. C) del DLgs. 472/97 (€ 25,00).

In caso di infedele dichiarazione 250 euro (art. 8, c. 1, D.Lgs. 471/97), ridotta ad 1/9 ai sensi dell‘art. 13 comma 1 lett. a-bis) del DLgs. 472/97 (€ 27,78).

Quindi, chi volesse avvalersi del ravvedimento operoso per il Quadro RW entro i 90 giorni si dovrebbe:

  1. sanare la violazione dichiarativa, presentando o integrando il modello REDDITI;
  2. presentare o integrare correttamente il quadro RW;
  3. pagare le sanzioni ridotte relative alla tardiva dichiarazione (25 euro) o alla dichiarazione infedele (27,78 euro);
  4. pagare le sanzioni ridotte pari a 28,67 euro (€ 258/9) per il quadro RW;
  5. sanare gli eventuali tardivi versamenti delle imposte che emergono dalla dichiarazione, a titolo di saldo e di acconto.  Se sono dovute imposte – Oltre alle sanzioni precedenti si applica la sanzione del 3,33% (sanzione del 30% (Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471) ridotta ad 1/9 con ravvedimento operoso) della maggiore imposta dovuta oltre a imposta e agli interessi di mora;
  6.  sanare gli omessi versamenti dell’IVIE e dell’IVAFE (ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82) – sanzione del 3,33% (sanzione del 30% (Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471) ridotta ad 1/9 con ravvedimento operoso  (in tale ipotesi restano dovuti, oltre alla quota capitale, anche i relativi interessi).

Rimane da chiarire un aspetto: l’art. 15 del decreto legislativo n. 158/2015 ha modificato l’Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471 sulle sanzioni per ritardati od omessi versamenti, prevedendo la riduzione alla metà della sanzione ordinaria per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni dalla scadenza. In tali casi, quindi, la sanzione passa dal 30% al 15%. Quindi per “ravvedere” qli omessi veramenti entro i 90 giorni non dovrebbe farsi riferimento al 30%, ma al 15%.

Questa interpretazione trova conforto nella scheda dedicata al revvedimento operoso dell’Agenzia delle Entrate:

“Il decreto legislativo n. 158/2015 ha modificato la normativa sulle sanzioni per ritardati od omessi versamenti, prevedendo la riduzione alla metà della sanzione ordinaria per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni dalla scadenza. In tali casi, quindi, la sanzione passa dal 30% al 15%.

Pertanto, se la regolarizzazione avviene, per esempio, entro 30 giorni dall’originaria data di scadenza del pagamento del tributo, la sanzione ridotta da versare in sede di ravvedimento sarà pari all’1,5% dell’imposta dovuta (1/10 della sanzione ordinaria ridotta alla metà).

Un’ulteriore riduzione della sanzione è prevista per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni. In tali casi la sanzione del 15% è ulteriormente ridotta a 1/15 per ogni giorno di ritardo (1%).

Pertanto, in sede di ravvedimento, la sanzione da versare sarà pari allo 0,1% per ciascun giorno di ritardo (1/10 dell’1%).”

Dichiarazione omessa

Nel prosieguo parleremo di dichiarazione integrativa in quanto la dichiarazione dei redditi si considera omessa quando viene presentata oltre 90 giorni dal termine di scadenza (entro tale termine, si parla, invece, di dichiarazione tardiva).

La differenza tra dichiarazione omessa e dichiarazione tardiva è molto importante, in quanto le sanzioni per omessa dichiarazione non sono soggette a ravvedimento operoso.

È quanto ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con circolare n. 42/E del 12 ottobre 2016, ove ha effettuato il distinguo tra dichiarazione tardiva, dichiarazione integrativa e dichiarazione omessa, precisando le modalità operative dell’istituto del ravvedimento operoso.

Se la dichiarazione dei redditi originaria sia stata omessa, non è possibile usufruire del ravvedimento operoso e, quindi, considerato che il quadro RW non è una “dichiarazione”, ma una parte integrante della dichiarazione dei redditi , non sarà possibile sanare mediante ravvedimento operoso il quadro RW.

Dichiarazione integrativa entro l’anno successivo

Ai sensi dellart. 13 comma 1 lett. b) del DLgs. 472/97  la sanzione e’ ridotta, sempreche’ la violazione non sia stata gia’ constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attivita’ amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza, ad un ottavo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale e’ stata commessa la violazione ovvero, quando non e’ prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore.

  • Sanzione per dichiarazione integrativa:
    • Se non sono dovute imposte – Sanzione di €. 31,25 ( 1/8 di €. 250 con ravvedimento operoso);
    • Se sono dovute imposte da redditi in Paesi Black ListSanzione del 30% (sanzione base del 180% (sanzione raddoppiata rispetto alla precedente, articolo 12 D.L. n. 78/2009 “Contrasto ai paradisi fiscali”,  in quanto reddito derivante da Paese Black List) dell’imposta dovuta, aumentata di 1/3 in quanto redditi prodotti all’estero, ridotta a 1/8 con ravvedimento) se i redditi esteri sono prodotti in un paese Black List oltre al pagamento dell’imposta dovuta e interessi di mora.
  • Sanzione per omessa presentazione del quadro RW. Sanzione dello 0,375% o 0,75% (3 o 6 per cento degli importi non indicati nel quadro RW ridotti a 1/8 a seconda che le attività siano situate in paesi non black list o in paesi black list). La sanzione si applica sul valore dell’attività patrimoniale o finanziaria non dichiarata.
  • Sanzione pergli omessi versamenti dell’IVIE e dell’IVAFE (ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82) – sanzione del 11,25% (sanzione del 90% (Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471) ridotta ad 1/8 con ravvedimento operoso  (in tale ipotesi restano dovuti, oltre alla quota capitale, anche i relativi interessi).

Dichiarazione integrativa presentata entro i due anni

Nel caso venga presentata una dichiarazione dei redditi integrativa rispetto a quella già presentata entro la data di presentazione della dichiarazione del secondo anno successivo a quello in cui è stata commessa la violazione  legata alla mancata compilazione del quadro RW.

In questo caso le sanzioni saranno le seguenti:

  • Sanzione per la dichiarazione integrativa:
    • Se non sono dovute imposte – Sanzione di €. 35,71 (1/7 di €. 250 con ravvedimento operoso);
    • Se sono dovute imposte da redditi non in Paesi Black List – Sanzione del 17,14% (sanzione base del 90% dell’imposta dovuta aumentata di 1/3 in quanto redditi prodotti all’estero (comma 8, articolo 1, D.Lgs. n. 471/97) ridotta a 1/7) dell’imposta dovuta oltre al pagamento dell’imposta e interessi;
    • Se sono dovute imposte da redditi in Paesi Black List – Sanzione del 34,29% (sanzione base del 180% (sanzione raddoppiata rispetto alla precedente, articolo 12 D.L. n. 78/2009 in quanto reddito derivante da Paese Black List) dell’imposta dovuta, aumentata di 1/3 in quanto redditi prodotti all’estero, ridotta a 1/7 con ravvedimento) se i redditi esteri sono prodotti in un paese Black List oltre al pagamento dell’imposta dovuta e interessi di mora.
  • Sanzione per omessa presentazione del quadro RW. Sanzione dello 0,43% o 0,86% (3 o 6 per cento degli importi non indicati nel quadro RW sezione II ridotti a 1/7 a seconda che le attività siano situate in paesi non black list o in paesi black list). La sanzione si applica sul valore dell’attività patrimoniale o finanziaria non dichiarata.
  • Sanzione pergli omessi versamenti dell’IVIE e dell’IVAFE (ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82) – sanzione del 12,86% (sanzione del 90% (Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471) ridotta ad 1/7 con ravvedimento operoso  (in tale ipotesi restano dovuti, oltre alla quota capitale, anche i relativi interessi).

Dichiarazione integrativa presentata oltre i due anni

  • Sanzione per la dichiarazione integrativa:
    • Se non sono dovute imposte – Sanzione di €. 41,66 (1/6 di €. 250 con ravvedimento operoso):
    • Se sono dovute imposte da redditi in Paesi non Black List – Sanzione del 20% (sanzione base del 90% dell’imposta dovuta aumentata di 1/3 in quanto redditi prodotti all’estero (comma 8, articolo 1, D.Lgs. n. 471/97) ridotta a 1/6 con ravvedimento operoso) oltre al pagamento dell’imposta dovuta e interessi di mora;
    • Se sono dovute imposte da redditi in Paesi Black List – Sanzione del 40% (sanzione base del 180% (sanzione raddoppiata rispetto alla precedente, articolo 12 D.L. n. 78/2009 in quanto reddito derivante da Paese Black List) dell’imposta dovuta, aumentata di 1/3 in quanto redditi prodotti all’estero, ridotta a 1/6 con ravvedimento) se i redditi esteri sono prodotti in un paese Black List oltre al pagamento dell’imposta dovuta e interessi di mora.
  • Sanzione omessa presentazione del quadro RW. Sanzione dello 0,5% o 1% (3 o 6 per cento degli importi non indicati nel quadro RW sezione II ridotti a 1/6 a seconda che le attività siano situate in paesi non black list o in paesi black list). La sanzione si applica sul valore dell’attività patrimoniale o finanziaria non dichiarata.
  • Sanzione pergli omessi versamenti dell’IVIE e dell’IVAFE (ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82) – sanzione del 15% (sanzione del 90% (Art. 13 del Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 471) ridotta ad 1/6 con ravvedimento operoso  (in tale ipotesi restano dovuti, oltre alla quota capitale, anche i relativi interessi).

Di seguito riportiamo un estratto delle istruzioni ministeriali per la compilazione al quadro RW

QUADRO RW – Investimenti e attività finanziarie all’estero, monitoraggio – IVIE/IVAFE

Il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’Imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’Imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE).

L’obbligo di monitoraggio non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (art. 2 della Legge n. 186 de l2014); resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.

Tali soggetti devono indicare la consistenza degli investimenti e delle attività detenute all’estero nel periodo d’imposta;
questo obbligo sussiste anche se il contribuente nel corso del periodo d’imposta ha totalmente disinvestito.

Il quadro RW non va compilato per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi.L’obbligo di monitoraggio non sussiste, inoltre per:

a) le persone fisiche che prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale e le persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali ratificati;
b) i contribuenti residenti in Italia che prestano la propria attività lavorativa in via continuativa all’estero in zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi con riferimento agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa.
Tale esonero viene riconosciuto solo qualora l’attività lavorativa all’estero sia stata svolta in via continuativa per la maggior parte del periodo di imposta e a condizione che entro sei mesi dall’interruzione del rapporto di lavoro all’estero, il lavoratore non detenga più le attività all’estero.
Diversamente, se il contribuente entro tale data non ha riportato le attività in Italia o dismesso le stesse, è tenuto ad indicare tutte le attività detenute all’estero durante l’intero periodo d’imposta. Qualora il contribuente è esonerato dal monitoraggio, è in ogni caso tenuto alla compilazione della dichiarazione per l’indicazione de i redditi derivanti dalle attività estere di natura finanziaria o patrimoniale nonché del presente quadro per il calcolo dell’IVIE e dell’IVAFE.

Se i prodotti finanziari o patrimoniali sono in comunione o cointestati, l’obbligo di compilazione del quadro RW è a carico di ciascun soggetto intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e con l’indicazione della percentuale di possesso.
Qualora sul bene sussistano più diritti reali, ad esempio, nuda proprietà e usufrutto, sono tenuti all’effettuazione di tale adempimento sia il titolare del diritto di usufrutto sia il titolare della nuda proprietà in quanto in entrambi i casi sussiste la possibilità di generare redditi di fonte estera. Sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione. Qualora un soggetto residente abbia la delega al prelievo su un conto corrente estero è tenuto alla compilazione del quadro RW,  salvo che non si tratti di mera delega ad operare per conto dell’intestatario, come nel caso di amministratori di società. L’obbligo di compilazione del quadro RW sussiste anche nel caso in cui le attività estere di natura finanziaria o gli investimenti esteri siano posseduti dal contribuente per il tramite di interposta persona (ad esempio effettiva disponibilità di attività finanziarie e patrimoniali formalmente intestate ad un trust residente o non residente).
In particolare, devono essere indicati gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria nonché gli investimenti in Italia e le attività finanziarie italiane, detenuti per il tramite di fiduciarie estere o di soggetti esteri fittiziamente interposti che ne risultino formalmente intestatari.
Inoltre, sono tenute all’obbligo di monitoraggio fiscale anche le persone fisiche che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, siano “titolari effettivi” secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettera pp), e dall’art. 20 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni.

Qualora il contribuente detenga direttamente un investimento all’estero o attività estere di natura finanziaria, è tenuto ad indicarne il valore nel presente quadro, nonché la quota di possesso espressa in percentuale.

In caso di partecipazione in società di capitali che detengono partecipazioni in società residenti in un Paese collaborativo, il contribuente che riveste lo status di “titolare effettivo” come definito dalla normativa antiriciclaggio deve indicare nel presente quadro il valore della partecipazione nella società estera e, in aggiunta, la percentuale di partecipazione, nonché il codice fiscale o identificativo della società estera.

In caso di partecipazioni in società residenti in Paesi non collaborativi, occorre indicare, in luogo del valore della partecipazione diretta, il valore degli investimenti detenuti all’estero dalla società e delle attività estere di natura finanziaria intestati alla società, nonché la percentuale di partecipazione posseduta nella società stessa. In tal modo, seguendo un approccio look through e superando la mera titolarità dello strumento finanziario partecipativo, si deve dare rilevanza, ai fini del monitoraggio fiscale, al valore dei beni di tutti i soggetti“controllati” situati in Paesi non collaborativi e di cui il contribuente risulti nella sostanza “titolare effettivo”.
Tale criterio deve essere adottato fino a quando nella catena partecipativa sia presente una società localizzata nei suddetti Paesi e sempreché risulti integrato il controllo secondo la normativa antiriciclaggio.

L’obbligo dichiarativo in capo al “titolare effettivo” sussiste esclusivamente in caso di partecipazioni in società di diritto estero e non riguarda, invece, anche l’ipotesi di partecipazioni dirette in una o più società residenti che effettuano investimenti all’estero.

Rilevano, invece, le partecipazioni in società residenti qualora, unitamente alla partecipazione diretta o indiretta del contribuente in società estere, concorrano ad integrare, in capo al contribuente, il requisito di “titolare effettivo” di investimenti esteri o di attività estere di natura finanziaria. In quest’ultimo caso, occorre indicare il valore complessivo della partecipazione nella società estera detenuta (direttamente e indirettamente) e la percentuale di partecipazione determinata tenendo conto dell’effetto demoltiplicativo relativo alla partecipazione indiretta.

Le partecipazioni in società estere quotate in mercati regolamentati e sottoposte a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti, vanno valorizzate direttamente nel presente quadro indipendentemente dalla partecipazione al capitale sociale che le stesse rappresentano in quanto è escluso in tal caso il verificarsi dello status di “titolare effettivo”.

Se il contribuente è “titolare effettivo” di attività estere per il tramite di entità giuridiche, diverse dalle società, quali fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, il contribuente è tenuto a dichiarare il valore degli investimenti detenuti all’estero dall’entità e delle attività estere di natura finanziaria ad essa intestate, nonché la percentuale di patrimonio nell’entità stessa. In tale ipotesi rilevano, in ogni caso, sia gli investimenti e le attività estere detenuti da entità ed istituti giuridici residenti in Italia, sia quelli detenuti da entità ed istituti giuridici esteri,indipendentemente dallo Stato estero in cui sono istituiti.

GLI INVESTIMENTI

Gli investimenti sono i beni patrimoniali collocati all’estero e che sono suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia.
Queste attività vanno sempre indicate nel presente quadro indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili nel periodo d’imposta.
A titolo esemplificativo, devono essere indicati gli immobili situati all’estero o i diritti reali immobiliari (ad esempio, usufrutto o nuda proprietà) o quote di essi (ad esempio, comproprietà o multiproprietà), gli oggetti preziosi e le opere d’arte che si trovano fuori del territorio dello Stato, le imbarcazioni o le navi da diporto o altri beni mobili detenuti e/o iscritti nei pubblici registri esteri, nonché quelli che pur non essendo iscritti nei predetti registri avrebbero i requisiti per essere iscritti in Italia.

Le attività patrimoniali detenute all’estero vanno indicate anche se immesse in cassette di sicurezza.

Vanno altresì indicate le attività patrimoniali detenute per il tramite di soggetti localizzati in Paesi diversi da quelli collaborativi nonché identità giuridiche italiane o estere, diverse dalle società, qualora il contribuente risulti essere “titolare effettivo”.

Sono considerati “detenuti all’estero”, ai fini del monitoraggio, gli immobili ubicati in Italia posseduti per il tramite fiduciarie estere o di un soggetto interposto residente all’estero.

LE ATTIVITÀ ESTERE DI NATURA FINANZIARIA

Le attività estere di natura finanziaria sono quelle attività da cui derivano redditi di capitale o redditi diversi di natura finanziaria di fonte estera.
Queste attività vanno sempre indicate nel presente quadro in quanto di per sé produttive di redditi di fonte estera imponibili in Italia.

A titolo esemplificativo, devono essere indicate:

• attività i cui redditi sono corrisposti da soggetti non residenti, tra cui, le partecipazioni al capitale o al patrimonio di soggetti non residenti:
• le obbligazioni estere e i titoli similari, i titoli pubblici italiani e i titoli equiparati emessi all’estero, i titoli non rappresentativi di merce e i certificati di massa emessi da non residenti (comprese le quote di OICR esteri), le valute estere, depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero indipendentemente dalle modalità di alimentazione (ad esempio, accrediti di stipendi, di pensione o di compensi);
• contratti di natura finanziaria stipulati con controparti non residenti, ad esempio finanziamenti, riporti, pronti contro termine e prestito titoli;
• contratti derivati e altri rapporti finanziari stipulati al di fuori del territorio dello Stato; metalli preziosi detenuti all’estero;
• diritti all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni estere o strumenti finanziari assimilati;
• forme di previdenza complementare organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero, escluse quelle obbligatorie per legge;
• le polizze di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sempreché la compagnia estera non abbia optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva e dell’imposta di bollo e non sia stato conferito ad un intermediario finanziario italiano l’incarico di regolare tutti i flussi connessi con l’investimento, con il disinvestimento ed il pagamento dei relativi proventi;
• le attività finanziarie italiane comunque detenute all’estero, sia ad esempio per il tramite di fiduciarie estere o soggetti esteri interposti,sia in cassette di sicurezza;
• le attività e gli investimenti detenuti all’estero per il tramite di soggetti localizzati in Paesi diversi da quelli collaborativi nonché in entità giuridiche italiane o estere, diverse dalle società, qualora il contribuente risulti essere “titolare effettivo”;
• le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti; i titoli o diritti offerti ai lavoratori dipendenti ed assimilati che danno la possibilità di acquistare, ad un determinato prezzo, azioni della società estera con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro o delle società controllate o controllanti (cd. stock option), nei casi in cui, al termine del periodo d’imposta, il prezzo di esercizio sia inferiore al valore corrente del sottostante. Se il piano di assegnazione delle stock option prevede che l’assegnatario non possa esercitare il proprio diritto finché non sia trascorso un determinato periodo (cd. vesting period), le stesse non devono essere indicate nel presente quadro fino a quando non sia spirato tale termine,mentre devono essere indicate in ogni caso, quindi, anche nel corso del vesting period, qualora siano cedibili.
Si precisa che le attività finanziarie detenute all’estero vanno indicate nel presente quadro anche se immesse in cassette di sicurezza.

MODALITÀ DICHIARATIVE

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW per assolvere sia agli obblighi di monitoraggio fiscale che per il calcolo delle dovute IVIE e IVAFE.

Qualora il contribuente debba assolvere i soli obblighi di monitoraggio, non dovrà compilare le caselle utili alla liquidazione dell’IVIE ovvero dell’IVAFE, ponendo particolare attenzione alla barratura della colonna 20.

Considerato che il quadro riguarda la rilevazione delle attività finanziarie e investimenti all’estero detenuti nel periodo d’imposta, occorre compilare il quadro anche se l’investimento non è più posseduto al termine del periodo d’imposta.

Per gli importi in valuta estera il contribuente deve indicare il controvalore in euro utilizzando il cambio indicato nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia emanato ai fini dell’individuazione dei cambi medi mensili agli effetti delle norme contenute nei titoli I e II del Tuir.

Se il contribuente è obbligato alla presentazione del modello REDDITI Persone fisiche, il quadro RW deve essere presentato unitamente a detto modello.

Nei casi di esonero dalla dichiarazione dei redditi o qualora il contribuente abbia utilizzato il mod. 730, il quadro RW per la parte relativa al monitoraggio deve essere presentato con le modalità e nei termini previsti per la dichiarazione dei redditi unitamente al frontespizio del modello REDDITI Persone fisiche debitamente compilato (in tal caso il quadro RW costituisce un “quadro aggiuntivo” al modello 730).

Gli obblighi d’indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per gli immobili situati all’estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d’imposta, fatti salvi i versamenti relativi all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero (art. 7 quater, comma 23, del decreto legge n.193 del 2016 convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225).

Ai soli fini della corretta determinazione dell’IVIE complessivamente dovuta, in caso di variazioni intervenute anche per un solo immobile, il quadro va compilato con l’indicazione di tutti gli immobili situati all’estero compresi quelli non variati.

VALORIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI E DELLE ATTIVITÀ DI NATURA FINANZIARIA

Per l’individuazione del valore degli immobili situati all’estero devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’IVIE,  anche se non dovuta.
Pertanto, il valore dell’immobile è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti da cui risulta il costo complessivamente sostenuto per l’acquisto di diritti reali diversi dalla proprietà e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile al termine dell’anno (o del periodo di detenzione) nel luogo in cui è situato l’immobile.

Per gli immobili acquisiti per successione o donazione, il valore è quello dichiarato nella dichiarazione di successione o nell’atto registrato o in altri atti previsti dagli ordinamenti esteri con finalità analoghe; in mancanza, si assume il costo di acquisto o di costruzione sostenuto dal de cuius o dal donante come risulta dalla relativa documentazione.

Per gli immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo, il valore è quello catastale o, in mancanza, il costo risultante dall’atto di acquisto o, in assenza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.

Per le altre attività patrimoniali detenute all’estero, diverse dagli immobili, per le quali non è dovuta l’IVIE, il contribuente deve indicare il costo di acquisto, ovvero il valore di mercato all’inizio di ciascun periodo di imposta (o al primo giorno di detenzione) e al termine dello stesso (o al termine del periodo di detenzione).

Per l’individuazione del valore dei prodotti finanziari devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’IVAFE.

Pertanto, il valore è pari al valore di quotazione rilevato al 31 dicembre o al termine del periodo di detenzione.

Per i titoli non negoziati in mercati regolamentati e, comunque, nei casi in cui i prodotti finanziari quotate siano state escluse dalla negoziazione si deve far riferimento al valore nominale o, in mancanza, al valore di rimborso, anche se rideterminato ufficialmente.

Nel caso in cui siano ceduti prodotti finanziari appartenenti alla stessa categoria, acquistati a prezzi e in tempi diversi, per stabilire quale dei prodotti finanziari è detenuta nel periodo di riferimento il metodo che deve essere utilizzato è il cosiddetto “L.I.F.O.” e, pertanto, si considerano ceduti per primi quelli acquisiti in data più recente.

Per esigenze di semplificazione, il contribuente indica, per ciascuna società o entità giuridica, il valore complessivo di tutti i prodotti finanziarie patrimoniali di cui risulta essere il titolare effettivo, avendo cura di predisporre e conservare un apposito prospetto in cui devono essere specificati i valori delle singole attività.

Il prospetto deve essere esibito o trasmesso, su richiesta all’amministrazione finanziaria.

In presenza di più operazioni della stessa natura, il contribuente può aggregare i dati per indicare un insieme di prodotti finanziari omogenei caratterizzati, cioè, dai medesimi codici “investimento” e “Stato Estero”.

In tal caso il contribuente indicherà nel quadro RW i valori complessivi iniziali e finali del periodo di imposta, la media ponderata dei giorni di detenzione di ogni singolo prodotto finanziario rapportato alla relativa consistenza, nonché l’IVAFE complessiva dovuta.

Per le attività finanziarie si precisa che l’importo da indicare nel quadro è prioritariamente pari al valore che risulta dal documento di rendicontazione predisposto dall’istituto finanziario estero o al valore di mercato, a condizione che siano coincidenti.

 

Modalità dichiarative dei dividenti di fonte estera percepiti da persona fisica non in regime d’impresa

Modalità dichiarative dei dividenti di fonte estera percepiti da persona fisica non in regime d’impresa

Per quanto attiene la tassazione dei dividendi di fonte estera la prima verifica che si dovrà fare è in base alla normativa sulle Controlled Foreign Companies (c.d. Cfc) regolamentata dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir.

Il secondo comma dell’articolo 167 Tuir stabilisce che si considerano soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

a) sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, da parte di un soggetto di cui al comma 1;

b) oltre il 50 per cento della partecipazione ai loro utili e’ detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, o tramite società  fiduciaria o interposta persona, da un soggetto di cui al comma 1.

In base al terzo comma dell’articolo 167 Tuir si considerano altresì soggetti controllati non residenti:

a) le stabili organizzazioni all’estero dei soggetti di cui al comma 2;

b) le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti che abbiano optato per il regime di cui all’articolo 168-ter (c.d. “branch exemption”: Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti).

Ricordiamo che l’articolo 2359 del codice civile stabilisce che sono considerate società controllate:

  1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
  2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
  3. le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 2359 del codice civile si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

L’articolo 7, par. 1, lett. a), della Direttiva UE 2016/1164(c.d. “Anti Tax Avoidance Directive” –  “Atad”) ritiene che si verifichi il requisito del controllo: “nel caso di un’entità, il contribuente, da solo o insieme alle sue imprese associate, detiene una partecipazione diretta o indiretta di oltre il 50 per cento dei diritti di voto o possiede direttamente o indirettamente oltre il 50 per cento del capitale o ha il diritto di ricevere oltre il 50 per cento degli utili di tale entità“.

Quindi appare evidente che non sarà possibile evitare la tassazione CFC mediante l’escamotage della separazione dei “diritti di voto” rispetto ai “diritti agli utili”.

Occorre prestare  molta attenzione alla normativa sulle “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc) in quanto il reddito da esse conseguitoa determinate condizioni,  previste dalla  nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir deve essere imputato in capo al soggetto controllante residente:
• in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili;
• anche in caso di mancata percezione degli stessi, ovvero “per trasparenza” (criterio, tipicamente, utilizzato nei confronti dei soci di società di persone residenti).

Dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 si configura un unico regime per le Cfc, indipendentemente dalla loro localizzazione, quando ricorrono congiuntamente due requisiti:

  1. l’impresa estera è assoggettata a tassazione “effettiva” inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta ove fosse stata residente in Italia;
  2. oltre 1/3 dei proventi realizzati dall’impresa estera rientra nella categoria dei c.d. “passive income così come è definita in 7 punti contenuti nell’articolo 167, comma 4, Tuir.

Per quanto riguarda il primo requisito (il livello di tassazione dell’impresa estera),  non si fa  riferimento alla tassazione “nominale”, ma a quella “effettiva”.

Per quanto riguarda la verifica della tassazione effettiva questa dovrà essere compiuta avuto riguardo alla sola Ires.

Per verificare il livello di tassazione effettiva, occorreà effettuare un confronto tra il “tax rate effettivo estero” e il “tax rate virtuale domestico”, quest’ultimo calcolato determinando il reddito risultante dal bilancio d’esercizio redatto all’estero sulla base delle disposizioni fiscali italiane.

I Criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale domestica sono fissati al punto 5 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

L’articolo 167, comma 4, Tuir elenca le categorie che appartengono ai c.d. “passive income:

1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
3) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
4) redditi da leasing finanziario;
5) redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
6) proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
7) proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente; ai fini dell’individuazione dei servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo si tiene conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi del comma 7 dell’articolo 110 .
L’articolo 167, comma 5, Tuir stabilisce che le disposizioni dell’articolo 167 non si applicano se il soggetto di cui al comma 1 dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.
Una considerazione di rilievo da fare è quella al riguardo della “attività economica effettiva”. Nella precedente formulazione del 167 TUIR, il quinto comma,  (“la societa’ o altro ente non residente svolga un’effettiva attività’ industriale o commerciale, come sua principale attività’, nel mercato dello stato o territorio di insediamento“) si faceva riferimento ad una  “attività industriale e commerciale”. Nella nuova formulazione del quinto comma si parla di “attività economica effettiva”, quindi  si dovrà valutare l’adeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa estera rispetto all’attività in concreto svolta.

La dichiarazione deve essere effettuata nel quadro FC del modello Redditi PF.

Il reddito del soggetto controllato non residente è determinato nella la sezione II-A del quadro FC del modello Redditi PF , a seconda delle sue caratteristiche, in base alle disposizioni applicabili ai soggetti residenti titolari di reddito d’impresa, in base alle disposizioni valevoli ai fini dell’IRES, fatta eccezione per le disposizioni di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994; all’art. 2, comma 36-decies, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; all’art. 9 bis del decreto- legge n. 50 del 2017, convertito con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017; all’art. 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 e dell’ articolo 86, comma 4, del TUIR. Se risulta una perdita, questa è computata in diminuzione dei redditi dello stesso soggetto ai sensi dell’art. 84 del TUIR. I redditi devono essere determinati tenendo conto della conversione di cambio del giorno di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione della CFC.

Per quanto attiene alle variazioni in aumento e in diminuzione ai “valori di partenza fiscali” degli elementi patrimoniali della CFC, dovrà farsi riferimento al bilancio o altro documento riepilogativo della contabilità di esercizio della CFC, redatti secondo le norme dello Stato o territorio in cui essa risiede o è localizzata;
tale bilancio o rendiconto, dovrà essere tenuto a disposizione dell’Amministrazione finanziaria dal soggetto residente controllante per i necessari controlli.

Le risultanze porteranno ad esporre nel rigo FC37 il Reddito imponibile.

Nel rigo FC39, vanno esposte le imposte pagate all’estero dalla CFC sul reddito di esercizio. Nel presente rigo va indicato anche l’eventuale credito d’imposta c.d. indiretto (art. 3 del decreto legislativo n. 147 del 2015) riconosciuto alla CFC (cfr. risoluzione n. 108/E del 24 novembre 2016).

Nella SEZIONE III del quadro FC del modello Redditi PF– Imputazione del reddito e delle imposte ai soggetti partecipanti residenti – i redditi conseguiti dal soggetto controllato non residente sono imputati al soggetto residente che esercita il controllo alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione della CFC, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta. In caso di partecipazione agli utili per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, il reddito della CFC è ad essi imputato in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.

Il Reddito imponibile, per la parte riferibile al dichiarante, va riportato nella Sez. VIII – Redditi assoggettati a tassazione separata derivanti da partecipazione in imprese estere (art. 167 del TUIR) – del quadro RM del modello Redditi PF.

Nella Sez. VIII del quadro RM del modello Redditi PF va riportata anche l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito imponibile indicato  fino a concorrenza dell’importo dell’imposta, risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente al rapporto tra l’importo indicato
nel rigo RN5 e quello di cui al rigo RN4  (comunque non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società) al reddito di colonna 2, per la parte riferibile al dichiarante.

L’imposta dovuta sarà la risultante dalla differenza tra l’importo dell’imposta, risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente al rapporto tra l’importo indicato
nel rigo RN5 e quello di cui al rigo RN4  (comunque non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società), e l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito imponibile indicato, per la parte riferibile al dichiarante.

In dettaglio vedi: DIVIDENDI ESTERI PERCEPITI DA PERSONA FISICA E REGIME CFC

Per poter individuare correttamente quale sia il trattamento fiscale degli utili conseguiti in base alla partecipazione ad una società estera è necessario stabilire se questa sia o no stabilita in un Paese a fiscalità privilegiata.

Come vedremo ai sensi del primo comma dell’art. 47/bis del TUIR;

  • non si considerano privilegiati iI regimi fiscali di Stati o territori appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni;
  • i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla meta’ di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia;

b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia.

Per confrontare il livello di tassazione nominale, per l’Italia si devono considerare l’Ires (senza addizionali) e l’Irap ((24+3,9)/2=13,95); mentre per lo Stato estero bisogna valutare le imposte sui redditi societari da individuare facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione contro le doppie imposizioni, tenendo conto anche delle eventuali imposte di natura identica o analoga intervenute in sostituzione di quelle menzionate espressamente nella Convenzione (circolare 35/E/2016 dell’agenzia delle Entrate).

In dettaglio vedi: ART. 47/BIS DEL TUIR – PAESI A FISCALITÀ PRIVILEGIATA – NON SI CONSIDERANO PRIVILEGIATI II REGIMI FISCALI DI STATI O TERRITORI APPARTENENTI ALL’UNIONE EUROPEA

Per quanto attiene qli utili di fonte estera di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati essi vanno

  • dichiarati nel quadro RL, sez. I-A
  • riportati nel quadro RN al rigo RN1 per la determinazione del reddito complessivo.

Gli utili percepiti dalle persone fisiche che derivano da partecipazioni non qualificate in società residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata le cui azioni siano quotate nei mercati regolamentati sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sul 100% del provento percepito.

In caso di società non residente che distribuisce un dividendo occorre fare riferimento all’articolo 44 del DPR n 917/86 comma 2 lettera a) che considera utile di capitale il provento con le seguenti caratteristiche:

  • Il provento deriva dalla partecipazione al capitale o patrimonio di una società non residente;
  • Il soggetto estero non deduce dal proprio reddito la remunerazione in questione.

In base all’art. 18 del TUIR (Imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera) il contribuente deve applicare un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 26% dell’ammontare percepito dei dividendi esteri, se percepiti direttamente dal contribuente senza applicazione di ritenuta da parte di un intermediario finanziario residente.

Riportiamo il primo comma dell’art. 18 del TUIR

1. I redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti a soggetti residenti nei cui confronti in Italia si applica la ritenuta a titolo di imposta o l’imposta sostitutiva di cui all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239, sono soggetti ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d’impostaIl contribuente ha la facolta’ di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva ed in tal caso compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle distribuzioni di utili di cui all’articolo 27, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

La Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. Legge di Bilancio 2018) ha modificato la disciplina della tassazione dei dividendi percepiti da persone fisiche non in regime di impresa, rendendo omogeneo il trattamento delle partecipazioni ‘qualificate’ e ‘non qualificate’, ovvero assoggettando entrambe ad una ritenuta a titolo di imposta del 26% (art.1 comma 1003 lett.a) che ha modificato l’art. 27 – Ritenuta sui dividendi – Decreto del Presidente della Repubblica del 29/09/1973 n. 600)
L’art.1 comma 1005 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 stabilisce che le disposizioni di cui ai commi da 999 a 1006 si applicano ai
redditi di capitale percepiti a partire dal 1º gennaio 2018.

Per la generalità dei soggetti d’imposta (compresi, quindi, i soggetti imprenditori), la tassazione dei dividendi avviene secondo il criterio di cassa. Rileva il momento dell’effettiva percezione, indipendentemente dall’eventuale iscrizione in bilancio in un esercizio precedente.

Non assume rilevanza a tal fine, la data nella quale è stata deliberata la distribuzione degli utili.

I redditi di capitale di fonte estera, diversi da quelli che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente (da partecipazioni di natura qualificata per cui è stata esercitata l’opzione di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e qli utili di fonte estera di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, che vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A), percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti vanno dichiarati nella sezione V del quadro RM.

Come abbiamo visto, in base all’art. 18 del TUIR (Imposizione sostitutiva dei redditi di capitale di fonte estera)tali redditi sono soggetti ad imposizione sostitutiva nella stessa misura della ritenuta alla fonte a titolo di imposta applicata in italia sui redditi della stessa natura (26%).

In base al primo comma dell’art. 18 del TUIR il contribuente ha la facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e in tal caso compete il credito d’imposta per le imposte pagate all’esteroIn tal caso i redditi vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A.

Gli utili di fonte estera (compresi quelli derivanti da strumenti finanziari e da contratti di associazione in partecipazione) qualora siano derivanti da partecipazioni non qualificate non possono essere assoggettati a tassazione ordinaria. Inoltre, dal 1 gennaio 2018, anche gli utili e gli altri proventi di fonte estera derivanti da partecipazioni di natura qualificata, formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, sono assoggettati a tassazione come le partecipazioni non qualificate, pertanto, non devono più essere assoggettati a tassazione ordinaria. Gli utili e gli altri proventi di natura qualificata derivanti dalla partecipazione al capitale di società ed enti esteri di ogni tipo, formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberate dal 1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad essere indicati nel quadro RL, Sezione I.
Per gli utili e gli altri proventi assimilati di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati, vedere istruzioni quadro RL

La sussistenza del requisito della qualificazione della quota sociale è riscontrabile, sotto il profilo tributario, dall’articolo 67, comma 1, lettera c) del DPR n. 917/86.

Secondo tale disciplina si considerano partecipazioni qualificate quelle che (a seconda della natura della partecipata), presentano le seguenti caratteristiche:

  • Società aventi titoli negoziati in mercati regolamentati:
    • Diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiori al 2%;
    • Partecipazione al capitale sociale (oppure al patrimonio) eccedente il 5%;
  • Società non aventi titoli quotati:
    • Diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiori al 20%;
    • Partecipazione al capitale sociale (oppure al patrimonio) eccedente il 25%;

I redditi di capitale di fonte estera dei contribuenti  che detengono partecipazioni di natura non qualificata, percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti vanno obbligatoriamente  dichiarati nella sezione V del quadro RM.

Parimenti vanno obbligatoriamente  dichiarati nel quadro RL, sez. I-A qli utili di fonte estera di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità
privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati.

Vedi: Art. 47/bis del TUIR – Paesi a fiscalità privilegiata – Non si considerano privilegiati iI regimi fiscali di Stati o territori appartenenti all’Unione europea

Una considerazione particolare merita la diversa base imponibile su cui calcolare la tassazione sui dividendi esteri a seconda se al momento dell’incasso intervenga o no un intermediario finanziario residente.

Le fattispecie che possiamo avere sono le seguenti:

  • Ritenuta a titolo di imposta. L’articolo 27, commi 4, 4-bis e 5 del DPR n. 600/73, prevede l’assoggettamento dei dividendi esteri a ritenuta a titolo di imposta del 26%se al momento dell’incasso interviene un intermediario residente, da calcolarsi sui dividendi percepiti al netto delle ritenute subite nello Stato estero di residenza della società erogante: la base imponibile rappresenta il c.d. “netto frontiera“;
  • Imposta sostitutiva. L’articolo 18, comma 1, del DPR n 917/86stabilisce l’assoggettamento ad imposta sostitutiva nel caso in cui l’incasso da parte dei soci avvenga senza l’intervento di un intermediario residente non facendo alcun riferimento al valore “netto frontiera, valore al quale fa invece riferimento il DPR n 600/73 (Infatti nel Quadro RM, rigo RM12, colonna 3, va indicato l’ammontare del reddito, al lordo di eventuali ritenute subìte nello stato estero in cui il reddito è stato prodotto).

L’Agenzia delle Entrate ha ribadito con  Risposta n. 111 del 21/04/2020 ad un interpello   che i dividendi di provenienza estera incassati senza l’intervento di un intermediario residente (banca o fiduciaria italiana) debbono essere assoggettati a tassazione al lordo delle imposte assolte nello Stato estero, mentre gli stessi dividendi percepiti attraverso un intermediario residente vengono assoggettati a tassazione al netto delle imposte estere.

Le prime istruzioni rilasciate nel 2020 per la dichiarazione dei redditi persone fisiche prevedevano al rigo RM12 la nuova colonna 5 dove avrebbe dovuto essere inserita “L’imposta pagata all’estero”, che avrebbe consentito di scomputare le imposte pagate all’estero sui dividendi esteri. Successivamente le istruzioni sono state modificate e la colonna 5 è diventata “credito IVCA” ovvero credito per l’imposta sul valore dei contratti assicurativi.

Le soluzioni  possibili potrebbero essere le seguenti:

  • Continuare ad assoggettare a tassazione i  dividendi sul netto frontiera, rischiando di essere soggetti ad accertamento;
  • Assoggettare a tassazione i dividendi  al lordo frontiera e richiedere la restituzione della differenza d’imposta mediante istanza di rimborso;
  • Valutare l’intestazione fiduciaria italiana delle azioni estere;
  • Fare intervenire la banca italiana nell’incasso dei dividendi esteri.

Per quanto attiene I redditi di capitale di fonte estera

  • da partecipazioni di natura qualificata per cui è stata esercitata l’opzione di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva;
  • qli utili di fonte estera di natura qualificata e non qualificata provenienti da società residenti in paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati,

che vanno dichiarati nel quadro RL, sez. I-A essi dovranno essere riportati nel quadro RN al rigo RN1 per la determinazione del reddito complessivo.

Per quanto attiene il credito d’imposta il contribuente dovrà riportare le risultanze del quadro CE (Credito di imposta per redditi prodotti all’estero) al rigo RN29.

In dettaglio vedi: CREDITO DI IMPOSTA PER REDDITI PRODOTTI ALL’ESTERO – DIVIDENDI ESTERI PERCEPITI DA PERSONA FISICA CHE NON ESERCITA IN FORMA DI IMPRESA PERCEPITI DIRETTAMENTE DAL CONTRIBUENTE SENZA APPLICAZIONE DI RITENUTA DA PARTE DI UN INTERMEDIARIO FINANZIARIO RESIDENTE

Dividendi esteri percepiti da persona fisica e regime CFC

Dividendi esteri percepiti da persona fisica e normativa sulle Controlled Foreign Companies (c.d. Cfc)

Per quanto attiene la tassazione dei dividendi di fonte estera la prima verifica che si dovrà fare è in base alla normativa sulle Controlled Foreign Companies (c.d. Cfc) regolamentata dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir.

Occorre prestare  molta attenzione alla normativa sulle “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc) in quanto il reddito da esse conseguitoa determinate condizioni,  previste dalla  nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir,  deve essere imputato in capo al soggetto controllante residente:
• in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili;
• anche in caso di mancata percezione degli stessi, ovvero “per trasparenza” (criterio, tipicamente, utilizzato nei confronti dei soci di società di persone residenti).

Per effetto delle regole CFC, gli utili eventualmente distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti CFC non concorrono alla formazione del reddito in capo ai soggetti residenti controllanti fino a concorrenza dei redditi che sono già stati assoggettati a tassazione per trasparenza.

livello operativo, per quanto riguarda le modalità di tassazione:

  •  i redditi delle “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc) che ricadono nelle fattispecie previste dalla nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir, imputati in capo ai soggetti residenti che controllano l’impresa estera, anche in caso di mancata percezione degli stessi, ovvero “per trasparenza”:
    – sono assoggettati a tassazione separata mediante l’applicazione di un’aliquota media applicata sul reddito del soggetto residente (questa aliquota non può in ogni caso essere inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società);
    – dall’imposta così determinata sono ammesse in detrazione le imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente con le modalità e nei limiti previsti dall’articolo 165 del TUIR (articolo 167, comma 9, del TUIR); 
  • in caso di controllo congiunto, i redditi imputati a ciascun partecipante devono essere tassati separatamente in capo a ciascuno di essi mediante l’applicazione dell’aliquota media di tassazione del reddito complessivo netto.

Il secondo comma dell’articolo 167 Tuir stabilisce che si considerano soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

a) sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, da parte di un soggetto di cui al comma 1;

b) oltre il 50 per cento della partecipazione ai loro utili e’ detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, o tramite società  fiduciaria o interposta persona, da un soggetto di cui al comma 1.

In base al terzo comma dell’articolo 167 Tuir si considerano altresì soggetti controllati non residenti:

a) le stabili organizzazioni all’estero dei soggetti di cui al comma 2;

b) le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti che abbiano optato per il regime di cui all’articolo 168-ter (c.d. “branch exemption”: Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti).

Ricordiamo che l’articolo 2359 del codice civile stabilisce che sono considerate società controllate:

  1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
  2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
  3. le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 2359 del codice civile si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

L’articolo 7, par. 1, lett. a), della Direttiva UE 2016/1164(c.d. “Anti Tax Avoidance Directive” –  “Atad”) ritiene che si verifichi il requisito del controllo: “nel caso di un’entità, il contribuente, da solo o insieme alle sue imprese associate, detiene una partecipazione diretta o indiretta di oltre il 50 per cento dei diritti di voto o possiede direttamente o indirettamente oltre il 50 per cento del capitale o ha il diritto di ricevere oltre il 50 per cento degli utili di tale entità“.

Quindi appare evidente che non sarà possibile evitare la tassazione CFC mediante l’escamotage della separazione dei “diritti di voto” rispetto ai “diritti agli utili”.

La  nuova formulazione dell’articolo 167 Tuir elimina la distinzione fra il regime delle c.d. Cfc “black list” e quello più generale riferito alle c.d. Cfc “white list”.

Dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 si configura un unico regime per le Cfc, indipendentemente dalla loro localizzazione, quando ricorrono congiuntamente due requisiti:

  1. l’impresa estera è assoggettata a tassazione “effettiva” inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta ove fosse stata residente in Italia;
  2. oltre 1/3 dei proventi realizzati dall’impresa estera rientra nella categoria dei c.d.passive income così come è definita in 7 punti contenuti nell’articolo 167, comma 4, Tuir.

Per quanto riguarda il primo requisito (il livello di tassazione dell’impresa estera),  non si fa  riferimento alla tassazione “nominale”, ma a quella “effettiva”.

Il testo della relazione illustrativa al D.Lgs. 142/2018, nel fare riferimento al confronto tra il tax rate estero e quello nazionale, riguardo a quest’ultimo precisa che il calcolo andrà compiuto rideterminando il reddito dell’impresa estera secondo le disposizioni fiscali italiane che sarebbero applicabili al reddito lordo risultante dal bilancio dell’impresa estera, e operando quindi un confrontoche riguarda, sul fronte della tassazione virtuale interna, l’imposta sul reddito delle società (Ires)”.

Quindi per quanto riguarda la verifica della tassazione effettiva questa dovrà essere compiuta avuto riguardo alla sola Ires.

Per verificare il livello di tassazione effettiva, occorreà effettuare un confronto tra il “tax rate effettivo estero” e il “tax rate virtuale domestico”, quest’ultimo calcolato determinando il reddito risultante dal bilancio d’esercizio redatto all’estero sulla base delle disposizioni fiscali italiane.

Il punto a) del quarto comma fa riferimento al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

In data 16/09/2016 il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha emanato il PROVVEDIMENTO N. PROT. 143239 , “Disposizioni in materia di imprese estere controllate. Criteri per determinare con modalità semplificata l’effettivo livello di tassazione di cui al comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR

I Criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale domestica sono fissati al punto 5 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

L’articolo 167, comma 4, Tuir elenca le categorie che appartengono ai c.d.passive income:

1) interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
2) canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
3) dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
4) redditi da leasing finanziario;
5) redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
6) proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
7) proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente; ai fini dell’individuazione dei servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo si tiene conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi del comma 7 dell’articolo 110 .
L’articolo 167, comma 5, Tuir stabilisce che le disposizioni dell’articolo 167 non si applicano se il soggetto di cui al comma 1 dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attivita’ economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali.
Una considerazione di rilievo da fare è quella al riguardo della “attività economica effettiva”. Nella precedente formulazione del 167 TUIR, il quinto comma,  (“la societa’ o altro ente non residente svolga un’effettiva attività’ industriale o commerciale, come sua principale attività’, nel mercato dello stato o territorio di insediamento“) si faceva riferimento ad una  “attività industriale e commerciale”. Nella nuova formulazione del quinto comma si parla di “attività economica effettiva”, quindi  si dovrà valutare l’adeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa estera rispetto all’attività in concreto svolta.
Ai fini del quinto comma dell’articolo 167 Tuir, il contribuente puo’ interpellare l’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212. Per i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 5 maggio 2015, n. 128, l’istanza di interpello di cui al secondo periodo puo’ essere presentata indipendentemente dalla verifica delle condizioni di cui al comma 4, lettere a) e b).
La dichiarazione deve essere effettuata nel quadro FC del modello Redditi PF. Il soggetto che detiene il controllo di più imprese, società o enti residenti in stati o territori a regime fiscale considerato privilegiato, è tenuto a compilare un quadro FC per ciascuna CFC controllata. In tal caso deve essere numerata progressivamente la casella “Mod. N.” posta in alto a destra del modello.
Il quadro FC del modello Redditi PF si compone di sette sezioni:
  1. la sezione I, riservata all’indicazione dei dati identificativi della CFC;
  2. la sezione II-A, riservata alla determinazione del reddito della CFC;
  3.  la sezione II-B, riservata alle perdite d’impresa non compensate dalla CFC;
  4. la sezione II-C, riservata alle perdite virtuali domestiche;
  5. la sezione III, riservata alla imputazione, ai soggetti partecipanti residenti, del reddito e delle imposte su tale reddito assolte all’estero a titolo definitivo dal soggetto controllato non residente;
  6. la sezione IV, riservata al prospetto degli interessi passivi non deducibili;
  7. la sezione V, riservata alle attestazioni richieste dall’art. 2, comma 2, del D.M. n. 429 del 2001.

Per la verifica dei requisiti di controllo si rinvia alle istruzioni a commento della sezione prima, campo 8.

Il reddito del soggetto controllato non residente è determinato nella la sezione II-A del quadro FC del modello Redditi PF , a seconda delle sue caratteristiche, in base alle disposizioni applicabili ai soggetti residenti titolari di reddito d’impresa, in base alle disposizioni valevoli ai fini dell’IRES, fatta eccezione per le disposizioni di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994; all’art. 2, comma 36-decies, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; all’art. 9 bis del decreto- legge n. 50 del 2017, convertito con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017; all’art. 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 e dell’ articolo 86, comma 4, del TUIR. Se risulta una perdita, questa è computata in diminuzione dei redditi dello stesso soggetto ai sensi dell’art. 84 del TUIR. I redditi devono essere determinati tenendo conto della conversione di cambio del giorno di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione della CFC.

Per quanto attiene alle variazioni in aumento e in diminuzione ai “valori di partenza fiscali” degli elementi patrimoniali della CFC, dovrà farsi riferimento al bilancio o altro documento riepilogativo della contabilità di esercizio della CFC, redatti secondo le norme dello Stato o territorio in cui essa risiede o è localizzata;
tale bilancio o rendiconto, dovrà essere tenuto a disposizione dell’Amministrazione finanziaria dal soggetto residente controllante per i necessari controlli.

Le risultanze porteranno ad esporre nel rigo FC37 il Reddito imponibile.

Nel rigo FC39, vanno esposte le imposte pagate all’estero dalla CFC sul reddito di esercizio. Nel presente rigo va indicato anche l’eventuale credito d’imposta c.d. indiretto (art. 3 del decreto legislativo n. 147 del 2015) riconosciuto alla CFC (cfr. risoluzione n. 108/E del 24 novembre 2016).

Nella SEZIONE III del quadro FC del modello Redditi PFImputazione del reddito e delle imposte ai soggetti partecipanti residenti – i redditi conseguiti dal soggetto controllato non residente sono imputati al soggetto residente che esercita il controllo alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione della CFC, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta. In caso di partecipazione agli utili per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, il reddito della CFC è ad essi imputato in proporzione alle rispettive quote di partecipazione.

Il Reddito imponibile, per la parte riferibile al dichiarante, va riportato nella Sez. VIII – Redditi assoggettati a tassazione separata derivanti da partecipazione in imprese estere (art. 167 del TUIR) – del quadro RM del modello Redditi PF.

Nella Sez. VIII del quadro RM del modello Redditi PF va riportata anche l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito imponibile indicato  fino a concorrenza dell’importo dell’imposta, risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente al rapporto tra l’importo indicato
nel rigo RN5 e quello di cui al rigo RN4  (comunque non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società) al reddito di colonna 2, per la parte riferibile al dichiarante.

L’imposta dovuta sarà la risultante dalla differenza tra l’importo dell’imposta, risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente al rapporto tra l’importo indicato
nel rigo RN5 e quello di cui al rigo RN4  (comunque non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società), e l’imposta pagata all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente sul reddito imponibile indicato, per la parte riferibile al dichiarante.

Quadro RW – Ravvedimento entro il 10 marzo – monitoraggio fiscale investimenti all’estero: società , depositi, conti correnti bancari, immobili

Quadro RW – Ravvedimento entro il 10 marzo – monitoraggio fiscale investimenti all’estero società , depositi, conti correnti bancari, immobili

Larticolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW per assolvere sia agli obblighi di monitoraggio fiscale che per il calcolo delle dovute IVIE e IVAFE.

Se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve presentare la dichiarazione con il solo frontespizio unitamente al quadro RW.

Ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 la violazione dell’obbligo di dichiarazione di investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. 

La violazione di cui sopra relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 (individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 (individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127 -bis, comma 4, (Soppresso da: Decreto legislativo del 12/12/2003 n. 344 Articolo 1) del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati.

Quindi, qualora le attività estere di natura finanziaria siano detenute in “paradisi fiscali”, la sanzione è raddoppiata rispetto ai valori ordinari.

L’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 stabilisce che nel caso in cui la dichiarazione prevista dall’articolo 4, comma 1, dl 167/1990, sia presentata entro novanta giorni dal termine, si applica la sanzione di euro 258.

Quindi, ove il quadro RW sia presentato entro 90 giorni dal termine, si applica la sanzione fissa di 258 euro, essendo irrilevante che i possedimenti esteri si trovino o meno in “paradisi fiscali”. Ad uguali conclusioni si deve pervenire per il modulo RW infedele ma integrato nei novanta giorni dal termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.

L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E/2013 ha chiarito che le violazioni riguardanti il quadro RW hanno natura tributaria e per questo motivo, quindi,  è possibile provvedere alla regolarizzazione mediante lo strumento del ravvedimento operoso.

Se l’omessa o infedele presentazione del quadro RW viene sanata nei novanta giorni, la riduzione da ravvedimento operoso si computa su 258 euroris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82).

Il quadro RW, non essendo tecnicamente una dichiarazione autonoma, bensì  parte integrante della dichiarazione dei redditi ne segue il regime normativo. Ne consegue che, se, decorsi i 90 giorni, la dichiarazione dei redditi non è stata ravveduta, anche il quadro RW non sarebbe più ravvedibile, nonostante si tratti di contribuente non tenuto alla presentazione della dichiarazione, che, per questo motivo, avrebbe dovuto presentare la dichiarazione con il solo frontespizio unitamente al quadro RW.

Ai sensi dell‘art. 13 comma 1 lett. a-bis) del DLgs. 472/97  la sanzione e’ ridotta, sempreche’ la violazione non sia stata gia’ constatata e comunque non siano iniziati
accessi, ispezioni, verifiche o altre attivita’ amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente
obbligati, abbiano avuto formale conoscenza, ad un nono del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell’omissione o dell’errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l’omissione o l’errore e’ stato commesso.

Quindi per sanare, con ravvedimento entro i 90 giorni, il Quadro RW è dovuta una sanzione pari ad un nono di 258 euro (€ 28,67).

Considerato che il quadro RW non è considerato una “dichiarazione”, ma, come abbiamo visto, una parte integrante della dichiarazione dei redditi, il ravvedimento entro i 90 giorni rientra nell’art. 13 comma 1 lett. a-bis del DLgs. 472/97) , con riduzione della sanzione di 258 euro a un nono, sia quando si ravvede il solo quadro RW sia quando si ravvede anche la tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi.

Ricordiamo, come su detto che se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi deve presentare la dichiarazione con il solo frontespizio unitamente al quadro RW.

Quindi, come chiarito dalla circolare n. 42 del 2016,  la dichiarazione tardiva, ossia quella presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione ordinario, rimane soggetta alla sanzione in misura fissa di 250 euro, di cui all’articolo 1, comma 1, del D.lgs. n. 471 del 1997, ridotta, in sede di ravvedimento operoso, a 1/10, ai sensi dell‘art. 13 comma 1 lett. C) del DLgs. 472/97 (€ 25,00).

In caso di infedele dichiarazione 250 euro (art. 8, c. 1, D.Lgs. 471/97), ridotta ad 1/9 ai sensi dell‘art. 13 comma 1 lett. a-bis) del DLgs. 472/97 (€ 27,78).

Ora, tenendo conto che l’art.3 del DECRETO-LEGGE 30 novembre 2020 , n. 157 (il c.d. ristori quater) ha  prorogato al 10 dicembre 2020 il termine per la presentazione della dichiarazione in materia di imposte sui redditi e Irap  in scadenza il 30 novembre 2020, il termine dei 90 giorni per il ravvedimento operoso scade il 10 marzo 2021.

Quindi, chi volesse avvalersi del ravvedimento operoso per il Quadro RW per la Dichiarazione 2020, redditi 2019, entro il 10 marzo 2021 dovrebbe:

  1. sanare la violazione dichiarativa, presentando o integrando il modello REDDITI 2020;
  2. presentare o integrare correttamente il quadro RW;
  3. pagare le sanzioni ridotte relative alla tardiva dichiarazione (25 euro) o alla dichiarazione infedele (27,78 euro);
  4. pagare le sanzioni ridotte pari a 28,67 euro per il quadro RW;
  5. sanare gli eventuali tardivi versamenti delle imposte che emergono dalla dichiarazione, a titolo di saldo e di acconto
  6.  sanare gli omessi versamenti dell’IVIE e dell’IVAFE (ris. Agenzia delle Entrate 24 dicembre 2020 n. 82).

Di seguito riportiamo un estratto delle istruzioni ministeriali per la compilazione al quadro RW

QUADRO RW – Investimenti e attività finanziarie all’estero, monitoraggio – IVIE/IVAFE

Il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’Imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’Imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE).

L’obbligo di monitoraggio non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro (art. 2 della Legge n. 186 de l2014); resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.

Tali soggetti devono indicare la consistenza degli investimenti e delle attività detenute all’estero nel periodo d’imposta;
questo obbligo sussiste anche se il contribuente nel corso del periodo d’imposta ha totalmente disinvestito.

Il quadro RW non va compilato per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi.L’obbligo di monitoraggio non sussiste, inoltre per:

a) le persone fisiche che prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale e le persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali ratificati;
b) i contribuenti residenti in Italia che prestano la propria attività lavorativa in via continuativa all’estero in zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi con riferimento agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa.
Tale esonero viene riconosciuto solo qualora l’attività lavorativa all’estero sia stata svolta in via continuativa per la maggior parte del periodo di imposta e a condizione che entro sei mesi dall’interruzione del rapporto di lavoro all’estero, il lavoratore non detenga più le attività all’estero.
Diversamente, se il contribuente entro tale data non ha riportato le attività in Italia o dismesso le stesse, è tenuto ad indicare tutte le attività detenute all’estero durante l’intero periodo d’imposta. Qualora il contribuente è esonerato dal monitoraggio, è in ogni caso tenuto alla compilazione della dichiarazione per l’indicazione de i redditi derivanti dalle attività estere di natura finanziaria o patrimoniale nonché del presente quadro per il calcolo dell’IVIE e dell’IVAFE.

Se i prodotti finanziari o patrimoniali sono in comunione o cointestati, l’obbligo di compilazione del quadro RW è a carico di ciascun soggetto intestatario con riferimento all’intero valore delle attività e con l’indicazione della percentuale di possesso.
Qualora sul bene sussistano più diritti reali, ad esempio, nuda proprietà e usufrutto, sono tenuti all’effettuazione di tale adempimento sia il titolare del diritto di usufrutto sia il titolare della nuda proprietà in quanto in entrambi i casi sussiste la possibilità di generare redditi di fonte estera. Sono tenuti agli obblighi di monitoraggio non solo i titolari delle attività detenute all’estero, ma anche coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione. Qualora un soggetto residente abbia la delega al prelievo su un conto corrente estero è tenuto alla compilazione del quadro RW,  salvo che non si tratti di mera delega ad operare per conto dell’intestatario, come nel caso di amministratori di società. L’obbligo di compilazione del quadro RW sussiste anche nel caso in cui le attività estere di natura finanziaria o gli investimenti esteri siano posseduti dal contribuente per il tramite di interposta persona (ad esempio effettiva disponibilità di attività finanziarie e patrimoniali formalmente intestate ad un trust residente o non residente).
In particolare, devono essere indicati gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria nonché gli investimenti in Italia e le attività finanziarie italiane, detenuti per il tramite di fiduciarie estere o di soggetti esteri fittiziamente interposti che ne risultino formalmente intestatari.
Inoltre, sono tenute all’obbligo di monitoraggio fiscale anche le persone fisiche che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, siano “titolari effettivi” secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettera pp), e dall’art. 20 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni.

Qualora il contribuente detenga direttamente un investimento all’estero o attività estere di natura finanziaria, è tenuto ad indicarne il valore nel presente quadro, nonché la quota di possesso espressa in percentuale.

In caso di partecipazione in società di capitali che detengono partecipazioni in società residenti in un Paese collaborativo, il contribuente che riveste lo status di “titolare effettivo” come definito dalla normativa antiriciclaggio deve indicare nel presente quadro il valore della partecipazione nella società estera e, in aggiunta, la percentuale di partecipazione, nonché il codice fiscale o identificativo della società estera.

In caso di partecipazioni in società residenti in Paesi non collaborativi, occorre indicare, in luogo del valore della partecipazione diretta, il valore degli investimenti detenuti all’estero dalla società e delle attività estere di natura finanziaria intestati alla società, nonché la percentuale di partecipazione posseduta nella società stessa. In tal modo, seguendo un approccio look through e superando la mera titolarità dello strumento finanziario partecipativo, si deve dare rilevanza, ai fini del monitoraggio fiscale, al valore dei beni di tutti i soggetti“controllati” situati in Paesi non collaborativi e di cui il contribuente risulti nella sostanza “titolare effettivo”.
Tale criterio deve essere adottato fino a quando nella catena partecipativa sia presente una società localizzata nei suddetti Paesi e sempreché risulti integrato il controllo secondo la normativa antiriciclaggio.

L’obbligo dichiarativo in capo al “titolare effettivo” sussiste esclusivamente in caso di partecipazioni in società di diritto estero e non riguarda, invece, anche l’ipotesi di partecipazioni dirette in una o più società residenti che effettuano investimenti all’estero.

Rilevano, invece, le partecipazioni in società residenti qualora, unitamente alla partecipazione diretta o indiretta del contribuente in società estere, concorrano ad integrare, in capo al contribuente, il requisito di “titolare effettivo” di investimenti esteri o di attività estere di natura finanziaria. In quest’ultimo caso, occorre indicare il valore complessivo della partecipazione nella società estera detenuta (direttamente e indirettamente) e la percentuale di partecipazione determinata tenendo conto dell’effetto demoltiplicativo relativo alla partecipazione indiretta.

Le partecipazioni in società estere quotate in mercati regolamentati e sottoposte a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti, vanno valorizzate direttamente nel presente quadro indipendentemente dalla partecipazione al capitale sociale che le stesse rappresentano in quanto è escluso in tal caso il verificarsi dello status di “titolare effettivo”.

Se il contribuente è “titolare effettivo” di attività estere per il tramite di entità giuridiche, diverse dalle società, quali fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, il contribuente è tenuto a dichiarare il valore degli investimenti detenuti all’estero dall’entità e delle attività estere di natura finanziaria ad essa intestate, nonché la percentuale di patrimonio nell’entità stessa. In tale ipotesi rilevano, in ogni caso, sia gli investimenti e le attività estere detenuti da entità ed istituti giuridici residenti in Italia, sia quelli detenuti da entità ed istituti giuridici esteri,indipendentemente dallo Stato estero in cui sono istituiti.

GLI INVESTIMENTI

Gli investimenti sono i beni patrimoniali collocati all’estero e che sono suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia.
Queste attività vanno sempre indicate nel presente quadro indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili nel periodo d’imposta.
A titolo esemplificativo, devono essere indicati gli immobili situati all’estero o i diritti reali immobiliari (ad esempio, usufrutto o nuda proprietà) o quote di essi (ad esempio, comproprietà o multiproprietà), gli oggetti preziosi e le opere d’arte che si trovano fuori del territorio dello Stato, le imbarcazioni o le navi da diporto o altri beni mobili detenuti e/o iscritti nei pubblici registri esteri, nonché quelli che pur non essendo iscritti nei predetti registri avrebbero i requisiti per essere iscritti in Italia.

Le attività patrimoniali detenute all’estero vanno indicate anche se immesse in cassette di sicurezza.

Vanno altresì indicate le attività patrimoniali detenute per il tramite di soggetti localizzati in Paesi diversi da quelli collaborativi nonché identità giuridiche italiane o estere, diverse dalle società, qualora il contribuente risulti essere “titolare effettivo”.

Sono considerati “detenuti all’estero”, ai fini del monitoraggio, gli immobili ubicati in Italia posseduti per il tramite fiduciarie estere o di un soggetto interposto residente all’estero.

LE ATTIVITÀ ESTERE DI NATURA FINANZIARIA

Le attività estere di natura finanziaria sono quelle attività da cui derivano redditi di capitale o redditi diversi di natura finanziaria di fonte estera.
Queste attività vanno sempre indicate nel presente quadro in quanto di per sé produttive di redditi di fonte estera imponibili in Italia.

A titolo esemplificativo, devono essere indicate:

• attività i cui redditi sono corrisposti da soggetti non residenti, tra cui, le partecipazioni al capitale o al patrimonio di soggetti non residenti:
• le obbligazioni estere e i titoli similari, i titoli pubblici italiani e i titoli equiparati emessi all’estero, i titoli non rappresentativi di merce e i certificati di massa emessi da non residenti (comprese le quote di OICR esteri), le valute estere, depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero indipendentemente dalle modalità di alimentazione (ad esempio, accrediti di stipendi, di pensione o di compensi);
• contratti di natura finanziaria stipulati con controparti non residenti, ad esempio finanziamenti, riporti, pronti contro termine e prestito titoli;
• contratti derivati e altri rapporti finanziari stipulati al di fuori del territorio dello Stato; metalli preziosi detenuti all’estero;
• diritti all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni estere o strumenti finanziari assimilati;
• forme di previdenza complementare organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero, escluse quelle obbligatorie per legge;
• le polizze di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sempreché la compagnia estera non abbia optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva e dell’imposta di bollo e non sia stato conferito ad un intermediario finanziario italiano l’incarico di regolare tutti i flussi connessi con l’investimento, con il disinvestimento ed il pagamento dei relativi proventi;
• le attività finanziarie italiane comunque detenute all’estero, sia ad esempio per il tramite di fiduciarie estere o soggetti esteri interposti,sia in cassette di sicurezza;
• le attività e gli investimenti detenuti all’estero per il tramite di soggetti localizzati in Paesi diversi da quelli collaborativi nonché in entità giuridiche italiane o estere, diverse dalle società, qualora il contribuente risulti essere “titolare effettivo”;
• le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti; i titoli o diritti offerti ai lavoratori dipendenti ed assimilati che danno la possibilità di acquistare, ad un determinato prezzo, azioni della società estera con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro o delle società controllate o controllanti (cd. stock option), nei casi in cui, al termine del periodo d’imposta, il prezzo di esercizio sia inferiore al valore corrente del sottostante. Se il piano di assegnazione delle stock option prevede che l’assegnatario non possa esercitare il proprio diritto finché non sia trascorso un determinato periodo (cd. vesting period), le stesse non devono essere indicate nel presente quadro fino a quando non sia spirato tale termine,mentre devono essere indicate in ogni caso, quindi, anche nel corso del vesting period, qualora siano cedibili.
Si precisa che le attività finanziarie detenute all’estero vanno indicate nel presente quadro anche se immesse in cassette di sicurezza.

MODALITÀ DICHIARATIVE

Il contribuente dovrà compilare il quadro RW per assolvere sia agli obblighi di monitoraggio fiscale che per il calcolo delle dovute IVIE e IVAFE.

Qualora il contribuente debba assolvere i soli obblighi di monitoraggio, non dovrà compilare le caselle utili alla liquidazione dell’IVIE ovvero dell’IVAFE, ponendo particolare attenzione alla barratura della colonna 20.

Considerato che il quadro riguarda la rilevazione delle attività finanziarie e investimenti all’estero detenuti nel periodo d’imposta, occorre compilare il quadro anche se l’investimento non è più posseduto al termine del periodo d’imposta.

Per gli importi in valuta estera il contribuente deve indicare il controvalore in euro utilizzando il cambio indicato nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia emanato ai fini dell’individuazione dei cambi medi mensili agli effetti delle norme contenute nei titoli I e II del Tuir.

Se il contribuente è obbligato alla presentazione del modello REDDITI Persone fisiche, il quadro RW deve essere presentato unitamente a detto modello.

Nei casi di esonero dalla dichiarazione dei redditi o qualora il contribuente abbia utilizzato il mod. 730, il quadro RW per la parte relativa al monitoraggio deve essere presentato con le modalità e nei termini previsti per la dichiarazione dei redditi unitamente al frontespizio del modello REDDITI Persone fisiche debitamente compilato (in tal caso il quadro RW costituisce un “quadro aggiuntivo” al modello 730).

Gli obblighi d’indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per gli immobili situati all’estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d’imposta, fatti salvi i versamenti relativi all’Imposta sul valore degli immobili situati all’estero (art. 7 quater, comma 23, del decreto legge n.193 del 2016 convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225).

Ai soli fini della corretta determinazione dell’IVIE complessivamente dovuta, in caso di variazioni intervenute anche per un solo immobile, il quadro va compilato con l’indicazione di tutti gli immobili situati all’estero compresi quelli non variati.

VALORIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI E DELLE ATTIVITÀ DI NATURA FINANZIARIA

Per l’individuazione del valore degli immobili situati all’estero devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’IVIE,  anche se non dovuta.
Pertanto, il valore dell’immobile è costituito dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti da cui risulta il costo complessivamente sostenuto per l’acquisto di diritti reali diversi dalla proprietà e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile al termine dell’anno (o del periodo di detenzione) nel luogo in cui è situato l’immobile.

Per gli immobili acquisiti per successione o donazione, il valore è quello dichiarato nella dichiarazione di successione o nell’atto registrato o in altri atti previsti dagli ordinamenti esteri con finalità analoghe; in mancanza, si assume il costo di acquisto o di costruzione sostenuto dal de cuius o dal donante come risulta dalla relativa documentazione.

Per gli immobili situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo, il valore è quello catastale o, in mancanza, il costo risultante dall’atto di acquisto o, in assenza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.

Per le altre attività patrimoniali detenute all’estero, diverse dagli immobili, per le quali non è dovuta l’IVIE, il contribuente deve indicare il costo di acquisto, ovvero il valore di mercato all’inizio di ciascun periodo di imposta (o al primo giorno di detenzione) e al termine dello stesso (o al termine del periodo di detenzione).

Per l’individuazione del valore dei prodotti finanziari devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’IVAFE.

Pertanto, il valore è pari al valore di quotazione rilevato al 31 dicembre o al termine del periodo di detenzione.

Per i titoli non negoziati in mercati regolamentati e, comunque, nei casi in cui i prodotti finanziari quotate siano state escluse dalla negoziazione si deve far riferimento al valore nominale o, in mancanza, al valore di rimborso, anche se rideterminato ufficialmente.

Nel caso in cui siano ceduti prodotti finanziari appartenenti alla stessa categoria, acquistati a prezzi e in tempi diversi, per stabilire quale dei prodotti finanziari è detenuta nel periodo di riferimento il metodo che deve essere utilizzato è il cosiddetto “L.I.F.O.” e, pertanto, si considerano ceduti per primi quelli acquisiti in data più recente.

Per esigenze di semplificazione, il contribuente indica, per ciascuna società o entità giuridica, il valore complessivo di tutti i prodotti finanziarie patrimoniali di cui risulta essere il titolare effettivo, avendo cura di predisporre e conservare un apposito prospetto in cui devono essere specificati i valori delle singole attività.

Il prospetto deve essere esibito o trasmesso, su richiesta all’amministrazione finanziaria.

In presenza di più operazioni della stessa natura, il contribuente può aggregare i dati per indicare un insieme di prodotti finanziari omogenei caratterizzati, cioè, dai medesimi codici “investimento” e “Stato Estero”.

In tal caso il contribuente indicherà nel quadro RW i valori complessivi iniziali e finali del periodo di imposta, la media ponderata dei giorni di detenzione di ogni singolo prodotto finanziario rapportato alla relativa consistenza, nonché l’IVAFE complessiva dovuta.

Per le attività finanziarie si precisa che l’importo da indicare nel quadro è prioritariamente pari al valore che risulta dal documento di rendicontazione predisposto dall’istituto finanziario estero o al valore di mercato, a condizione che siano coincidenti.