Il “treaty shopping” rappresenta una particolare forma di international tax planning “elusivo” attuata attraverso l’indebito utilizzo delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni sui redditi.
L’espressione, di origine americana, deriva dal cosiddetto “forum shopping”, attività che consiste nella ricerca della Corte di Giustizia che si ritiene più indicata per ottenere una favorevole decisione.
Il treaty shopping è una modalità di abuso delle convenzioni internazionali che prevede l’interposizione di una (o più) società veicolo, le cosiddette”conduit companies“ (definite anche strutture-ponte), strutture di comodo che non svolgono alcuna reale attività, costituite al solo scopo di dare corso all’abuso dei trattati internazionali, tra lo Stato in cui il reddito viene prodotto e il Paese dove è collocato il destinatario di tale reddito, “beneficiario effettivo”, al fine di ottenere un beneficio fiscale.
Il treaty shopping viene a configurarsi,quindi, mediante le conduit companies, in un fenomeno di interposizione di catene di società, nel quale alcuni enti vengono sfruttati per trasferire redditi da Stati che prevedono una elevata imposizione fiscale a a Stati a bassa tassazione.
Sostanzialmente una società residente in uno Stato “a” controlla una società residente nello Stato “b”, non acquistando partecipazioni, ma creando un’intermediaria ad hoc nello stato “c”, la conduit company, di solito “sfruttando” le “opportunità” che derivano dai trattati bilaterali tra i vari stati e dai diversi livelli di tassazione.
Nell’ambito delle conduit companies possiamo distinguere:
- le direct conduits;
- le stepping stones, nella “stepping stones structure” vengono create due società-ponte e lo “schema” prevede quattro Stati invece di tre. Di solito la prima conduit sostiene alte spese sotto forma di interessi, royalties e management fees a favore di una seconda società conduit ubicata in un altro Stato che beneficia di un regime fiscale di tassazione favorevole per queste tipologie di ricavi. In questo modo si realizza una forma di international tax planning data dalla combinazione di una attività di formazione dei profitti ove si trova la società stepping stone e di estrazione del reddito nello Stato ove si trova la società che paga interessi, royalties e altre spese;
- le holding structures in cui le partecipazioni societarie vengono strutturate entro soglie che consentano di “sfruttare al meglio” le norme fiscali dei vari Stati.
Poniamo che uno Stato colpisca gli utili provenienti da Stati a fiscalità privilegiata, una conduit company, posizionata in un terzo Stato a fiscalità ordinaria , potrebbe essere utilizzata per “convogliare” gli utili ed aggirare la norma.
A questo proposito esaminiamo l’articolo 89 del T.U.I.R..
Il comma 2 dell’articolo 89 del T.U.I.R. prevede che gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione,anche nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare (con la dicitura “utili distribuiti”, si prevede, ai fini IRES, l’imposizione per cassa).
Ai sensi del comma 3, modificato dall’art. 5 del Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 (in vigore dal 12/01/2019), verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, l’esclusione da tassazione nella misura del 95%, si applica agli utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, solo se:
- diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
- o, se ivi residenti o localizzati, sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, della condizione indicata nel medesimo articolo, comma 2, lettera b).
Il D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, art. 36, modificando gli artt. 47 e 89 del T.U.I.R. ha introdotto in questi la dicitura “utili provenienti“.
La locuzione “provenienti” riconduce a tassazione integrale anche gli utili percepiti dal soggetto residente indirettamente tramite una o più sub-holding intermedie.
Il regime di tassazione integrale è applicabile, quindi, non solo agli utili distribuiti direttamente dai soggetti residenti nei Paesi a fiscalità privilegiata ma anche a quelli generati nei Paesi a fiscalità privilegiata che giungono alla società residente in Italia tramite una o più società intermedie, qualificabili come conduit companies.
Si considerano utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, gli utili percepiti a fronte di:
- partecipazioni dirette, anche non di controllo;
- partecipazioni indirette, anche non di controllo, attraverso il controllo su una società localizzata in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario.
Quindi, ai sensi dell’art. 89, comma 3, , la tassazione integrale degli utili trova applicazione in relazione ai dividendi percepiti da soggetti residenti in caso di partecipazioni indirette, anche non di controllo, in società localizzate in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato, attraverso l’esercizio del controllo su una società interposta (la conduit company) localizzata in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario.
La formulazione dell’art. 89 ha una spiccata finalità antielusiva, imponendo l’individuazione della reale provenienza degli utili, percepiti da soggetti residenti in Italia, provenienti, anche indirettamente, da soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, e, quindi, colpendo le triangolazioni che utilizzano società intermedie che operano come mere conduit companies.
La circolare n. 28/E dell’Agenzia delle Entrate del 4 agosto 2006, a proposito delle modifiche apportate agli artt. 47 e 89 del T.U.I.R . dal D.L. n. 223 del 4 luglio 2006 al paragrafo 24, si esprime come segue: “In base alla formulazione originaria della norma, la menzionata disciplina risultava applicabile in tutte le ipotesi in cui gli utili di partecipazione erano comunque “provenienti” da società residenti in Paesi c.d. black list. In altri termini, ai fini della integrale sottoposizione a tassazione degli utili distribuiti da soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata, non aveva rilievo la circostanza che le partecipazioni fossero detenute direttamente o per il tramite di altre società, quali anelli intermedi della catena partecipativa. Il c.d. correttivo IRES aveva modificato la norma in esame, prevedendo che la tassazione integrale dei predetti utili operasse con esclusivo riferimento a quelli “corrisposti” dalle partecipate residenti nei c.d paradisi fiscali. Tale modifica aveva ridotto il campo di applicazione dell’art. 47, comma 4, del TUIR, limitandolo alle sole remunerazioni corrisposte direttamente dalle partecipate che avevano fruito di regimi fiscali privilegiati residenti ed escludendo le remunerazioni comunque provenienti dalle predette società, ma distribuite tramite società intermedie (sub-holding) residenti in Stati a fiscalità ordinaria.
L’art. 36, comma 3, del decreto, per contrastare facili manovre elusive, ha ripristinato l’originaria formulazione della norma. Per effetto di tale modifica, pertanto, il regime di tassazione integrale riguarderà non solo gli utili e i proventi equiparati distribuiti direttamente dai soggetti residenti nel paradiso fiscale, ma anche quelli – da essi generati – che fluiscono tramite società intermedie. Al riguardo, si precisa che la medesima disciplina continua a rendersi applicabile sia agli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società o enti soggetti all’imposta sul reddito delle società, sia ai proventi dei titoli e degli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a) del TUIR. Si ritiene, infatti, che il sintetico riferimento letterale agli “utili”, ora contenuto nel comma 4 dell’art. 47 del TUIR, debba essere interpretato – per motivi di coerenza sistematica – nella sua accezione più vasta e generale. Tale conclusione è indirettamente confermata dalla relazione illustrativa al provvedimento che valorizza, in relazione al nuovo testo normativo, la sostituzione del termine “corrisposti” con “provenienti”.
E’ appena il caso di sottolineare che la modifica in discorso trova
applicazione – per effetto del rinvio all’art. 47 del TUIR operato dal successivo art. 59 – anche relativamente agli utili e ai proventi equiparati percepiti da persone fisiche nell’esercizio di impresa e a quelli percepiti da società di persone commerciali. Inoltre, la modifica apportata all’art. 89, comma 3, del TUIR dal nuovo comma 4-bis, introdotto nel decreto dalla legge di conversione, chiarisce che il menzionato regime di integrale concorso alla formazione del reddito riguarda anche gli utili e i proventi equiparati “provenienti” da società e enti di ogni tipo residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, percepiti da soggetti IRES.
In sede di applicazione della norma, con particolare riguardo alla ipotesi di partecipazioni indirette tramite sub-holding, si rende necessario individuare, nel complesso degli utili distribuiti, quelli generati dalle partecipate nel “paradiso”.
Per un corretto inquadramento del problema, occorre tenere presente che la disposizione svolge, fondamentalmente, una funzione di chiusura del sistema contro le triangolazioni sui dividendi che consentono ai soci di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali attraverso società intermedie, sostanzialmente interposte.
Ne consegue che – in presenza di partecipazioni in società residenti in paesi a fiscalità privilegiata indirettamente detenute – il regime di integrale tassazione si rende applicabile ai soli utili che – in coerenza con il dato testuale della disposizione – si possono considerare da esse “provenienti”.
Nelle ipotesi estreme di sub-holding intermedie qualificabili come mere conduit company, l’intero utile da esse distribuito potrà infatti ritenersi generato nel paradiso fiscale in cui è localizzata la società operativa. Del pari, sarà possibile individuare – ragionevolmente – la fonte degli utili erogati da holding statiche o da società che non svolgono una effettiva attività economica, limitandosi alla mera detenzione delle partecipazioni.”
La circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E dell’Agenzia delle Entrate, al paragrafo 8, specifica che:”Come evidenziato nella circolare 4 agosto 2006, n. 28/E, par. 24,l’utilizzo del termine “provenienti” (introdotto nei menzionati articoli 47 e 89 dal citato D.L. n. 223 del 2006) risponde all’esigenza di evitare triangolazioni sui dividendi che consentano ai soci residenti in Italia di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali attraverso società intermedie (c.d. conduit companies), sostanzialmente interposte, localizzate in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata.
Appare evidente l’intenzione del legislatore nazionale di comprendere
nell’ambito applicativo degli articoli 47, comma 4 e 89, comma 3, del Tuir
anche gli utili distribuiti da una società conduit europea, ma provenienti da Paesi o territori a fiscalità privilegiata.
Ciò posto, con specifico riferimento alle società, è da ritenere che il
descritto regime di imposizione integrale si applichi anche nel caso di
dividendi distribuiti da società conduit “figlie” – ai sensi della Direttiva del
Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435/CE (cosiddetta direttiva madri e figlie) – della società italiana che percepisce i dividendi, quando la fattispecie considerata ricade nell’ambito applicativo dell’articolo 1, comma 2, della citata direttiva.
La norma appena richiamata prevede, infatti, che la direttiva madri e
figlie “ non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi”.
Al riguardo, peraltro, si ricorda che la sentenza della Corte di Giustizia
relativa alla causa C-196/04 (c.d. Cadbury-Schweppes) tende a riconoscere (punto 55) la legittimità delle norme antiabuso nazionali nei limiti in cui le stesse abbiano “lo scopo di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili” societari.
Nella predetta pronuncia viene, altresì, precisato che “la constatazione
dell’esistenza di una tale costruzione, richiede (…) oltre ad un elemento
soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale, elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà distabilimento (n.d.r. vale a dire l’esercizio effettivo di un’attività economica in un altro Stato membro) non è stato raggiunto” (cfr. sentenza CadburySchweppes, punto 64).
Tale indagine non può che essere condotta caso per caso coerentemente con il consolidato orientamento giurisprudenziale comunitario
secondo il quale “per accertare se l’operazione che si intende effettuare abbia come obiettivi principali la frode o l’evasione fiscali le autorità nazionali competenti devono procedere, in ciascun caso, ad un esame globale della detta operazione” (cfr. Corte di Giustizia, sentenza Leur-Bloem del 17 luglio 1997,C-28/95, punto 48B).”
La circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E, al paragrafo 8.1, prosegue specificando che: “L’applicazione del regime di tassazione integrale degli utili black list non presenta particolari problemi operativi nell’ipotesi di holding intermedie – qualificabili come mere conduit company – che posseggono partecipazioni esclusivamente in società black list, per le quali l’intero utile distribuito è generato nel paradiso fiscale in cui sono localizzate le partecipate.
Diversamente, nell’ipotesi di holding o società conduit che detengono
partecipazioni anche in società residenti in Paesi considerati a fiscalità
ordinaria o che non si limitano alla mera detenzione di partecipazioni ma
svolgono esse stesse un’effettiva attività economica, si pone il problema di
individuare la fonte degli utili erogati.
Al riguardo, si osserva in via preliminare che ai fini in esame rilevano
solo i proventi qualificabili come utili ai sensi della legislazione fiscale interna e ciò sia con riguardo ai flussi reddituali che intercorrono tra la conduit company e il socio residente in Italia, sia in relazione ai rapporti intercorrenti tra la società intermedia e le società black list (cfr. per ulteriori dettagli la circolare 18 gennaio 2006, n. 4/E).
Ciò posto, nel caso in cui la società conduit distribuisca poste del suo
patrimonio netto formate anche con utili provenienti da partecipate non black list ovvero da utili conseguiti mediante lo svolgimento della propria attività economica, diversa dalla mera detenzione di partecipazioni, si osserva che, ai fini dell’individuazione della quota parte di utili provenienti da paradisi fiscali, nell’ordinamento tributario nazionale manca un principio di carattere generale che regoli la distribuzione, l’utilizzo, la ricostituzione o la ripartizione delle riserve.
In mancanza di un criterio espresso previsto dal legislatore, si ritiene che
la società conduit debba documentare di volta in volta la provenienza degli utili (se da Stati o territori a fiscalità privilegiata, o meno) distribuiti al socio residente. In altri termini, in base ad una ricostruzione analitica della provenienza degli utili distribuiti al socio residente dalla conduit “white”, si renderà applicabile il regime di imposizione integrale nel caso di utili di provenienza black list, ovvero di parziale imponibilità per gli utili non provenienti da territori o Stati a fiscalità privilegiata.
Resta inteso che la provenienza dell’utile percepito deve essere adeguatamente documentata dal contribuente. In mancanza di adeguato supporto documentale, si ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza black list.”
Qualora il socio che detiene la partecipazione sia una persona fisica trova applicazione l’art. 47 del T.U.I.R. che, ai sensi della modifica apportata dall’art. 3 del Decreto legislativo del 14/09/2015 n. 147 (Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese) recitava che ” … si considerano provenienti da societa’ residenti in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali societa’ o di partecipazioni di controllo anche di fatto, diretto o indiretto, in altre societa’ residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in societa’ residenti in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili.”
Quindi l’art. 47, comma 4, del T.U.I.R., come modificato dal D. Lgs. 147/2015, disponeva che
- nel caso di una partecipazione diretta del socio residente in Italia in una società residente o localizzata in Stati o territori a fiscalità privilegiata operava la la tassazione integrale dei dividendi;
- nel caso di partecipazione indiretta, il socio residente doveva essere titolare di una partecipazione di controllo (ex articolo 2359 cod. civ.) detenuta nella conduit company estera percepiente gli utili da società localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
La Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 4 agosto 2016, al paragrafo 3.1.1 tratta del requisito del controllo:” La nuova formulazione degli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del TUIR,
distingue, quindi, tra partecipazioni dirette e partecipazioni indirette nella società che sono localizzate in Paesi a regime fiscale privilegiato.
Solo nel caso di partecipazione indiretta è richiesto il requisito del controllo delle società estere che si interpongono nella catena partecipativa.
La scelta, come si evince dalla Relazione illustrativa all’articolo 3 del decreto internazionalizzazione, si basa sul grado di conoscibilità della provenienza degli utili del socio residente in Italia. In presenza di un rapporto di controllo, infatti, al pari del caso di partecipazione diretta, il socio è artefice o almeno consapevole dell’investimento nello Stato o territorio a fiscalità privilegiata.
Peraltro, il dettato normativo fa genericamente riferimento alla sussistenza di un “controllo anche di fatto, diretto o indiretto, in altre società residenti all’estero”, senza specificare riferimenti normativi da cui ricavare una nozione più puntuale.
Nel silenzio del legislatore, si ritiene che la nozione di controllo rilevante ai fini dell’applicazione della norma sia quella dell’articolo 2359, primo e secondo comma,del codice civile.
Pertanto, assumono rilevanza sia il controllo in termini di diritti di voto,
computando anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta, sia il controllo integrato da un’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali.
Resta inteso che il regime di integrale tassazione è, in ogni caso, subordinato a una qualche partecipazione a cui consegue la percezione di utili da parte del socio residente in Italia, a prescindere dal tipo di controllo configurabile.
In ipotesi di più società estere, il requisito del controllo deve riscontrarsi per ciascuna delle società interposte, non essendo necessario, invece, che sia integrato rispetto alla società residente nello Stato o territorio a regime fiscale privilegiato.
In altri termini, qualora il socio italiano eserciti il controllo su tutte le società intermedie e l’ultima società interposta detenga una partecipazione di minoranza in quella soggetta al regime fiscale preferenziale, i dividendi provenienti da quest’ultima
sono comunque sottoposti a tassazione integrale in Italia.“
L’art. 5 del Decreto legislativo del 29/11/2018 n. 142 ha sostituito con una nuova formulazione il comma 4 dell’art. 47 ed il comma 3 dell’art. 89 del T.U.I.R.
Ai sensi del comma 4 dell’art. 47, così come modificato: “….concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1; a tali fini, si considerano provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato gli utili relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali soggetti o di partecipazioni di controllo, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, in società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili…….”
Quindi, per quanto attiene al reddito delle persone fisiche, concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile gli utili provenienti da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, relativi al possesso di partecipazioni di controllo, ai sensi del comma 2 dell’articolo 167, in società residenti all’estero che conseguono utili dalla partecipazione in imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime privilegiato e nei limiti di tali utili.
Per quanto attiene al reddito delle persone giuridiche, riprendendo in esame l’art. 89, ai sensi del modificato comma 3, per gli utili provenienti dalle società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1 (1)
- l’esclusione da tassazione nella misura del 95% si applicherà se sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui al medesimo articolo 47-bis, comma 3, il rispetto, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera b))
- non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito dell’impresa o dell’ente ricevente per il 50 per cento del loro ammontare, a condizione che sia dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’articolo 47-bis, comma 3, che il soggetto non residente svolga un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali (condizione di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera a)).
- in mancanza del rispetto delle condizioni contemplate dalle lettere a) e b) del comma 2 dell’articolo 47-bis gli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1, concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti per il 100%.
Esaminiamo il caso del beneficio dell’esenzione degli utili accordato dalla Direttiva 90/435/CEE , nota come direttiva madre-figlia, poi rifusa nella Direttiva 2011/96/UE , che disciplina la tassazione degli utili distribuiti nei casi in cui, all’interno di un gruppo societario, società madre e società figlia appartengano a differenti Stati membri dell’Unione Europea.
L’Agenzia delle entrate con il principio di diritto n. 20 del 31.12.2018, si è pronunciata nel senso che: “Il regime di imposizione integrale dei dividendi di cui all’articolo 89, comma 3, del TUIR trova applicazione anche nei confronti degli utili distribuiti da una società conduit “figlia”, ai sensi della c.d. Direttiva madre-figlia n. 90/435/CE, ma “provenienti” da società partecipate residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, quando la fattispecie considerata ricade
nell’ambito applicativo dell’articolo 1, paragrafi 2, 3 e 4 della citata direttiva. Ai fini della disapplicazione del citato articolo 89, comma 3, del TUIR, l’esame condotto dall’Amministrazione fiscale italiana non può essere limitato all’applicazione di criteri generali predeterminati, ma dovrà essere effettuato caso per caso. L’analisi specifica si basa
piuttosto che su semplici quantificazioni del carico fiscale subìto dagli utili percepiti dalla “madre” italiana, sulla circostanza che la partecipazione nel soggetto localizzato nel tax haven non sia detenuta tramite la società figlia allo scopo di evitare artificiosamente che i
redditi siano tassati in maniera congrua.”
Al fine di adeguare in tempi brevi e in modo economicamente efficiente le CDI (Convention de Double Imposition) esistenti, che sono più di 3500 a livello mondiale, nell’ambito dell’azione 15 del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) un gruppo composto di oltre 100 Stati e territori, ha elaborato una Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (di seguito «Convenzione BEPS»).
Il sito dell’OCSE contiene un elenco, aggiornato al 18 Febbraio 2021, di Stati firmatari della Convenzione BEPS.
Nella sezione del sito OCSE dedicata al BEPS è pubblicata una mappa interattiva attraverso la quale è possibile verificare per ogni Stato la sua adesione:
- allo scambio di informazioni su richiesta (Exchange Of Information on Request – EOIR);
- all’Automatic Exchange of Information – AEOI;
- al BEPS.
La PARTE III della Convenzione BEPS è dedicata all’ABUSO DEI TRATTATI
L’Articolo 6 della Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili prevede che gli Stati contraenti dovrebbero inserire, nelle premesse delle rispettive Convenzioni bilaterali, il seguente preambolo: “Nell’intento di eliminare la doppia imposizione con riferimento alle imposte oggetto del presente accordo senza creare opportunità di non imposizione o di ridotta imposizione attraverso l’evasione o l’elusione fiscale (ivi compresi schemi di treaty-shopping finalizzatiad ottenere gli sgravi previsti dal presente accordo a beneficio indiretto di residenti di giurisdizioni terze)”
L’Articolo 7 – Prevenzione dell’abuso dei trattati , punto 15 a) della Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili prevede che le Convenzioni bilaterali dovrebbero contenere una clausola antiabuso generale, in base alla quale i benefici del trattato non dovrebbero essere riconosciuti laddove uno dei motivi principali della transazione o della struttura posta in essere è quello di usufruire delle disposizioni convenzionali in circostanze non conformi all’oggetto e allo scopo della convenzione medesima (c.d. “principal purpose test”).
Prevedendo una specifica clausola antiabuso, la cui definizione è rintracciabile nel Commentario agli articoli 10, 11 e 12 (OECD MODEL TAX CONVENTION: REVISED PROPOSALS CONCERNING THE MEANING OF “BENEFICIAL OWNER”
IN ARTICLES 10, 11 AND 12 ) della Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili, l’OCSE ha avvertito come impellente la necessità di contrastare il fenomeno del “treaty shopping” elaborando una serie di misure da inserire all’interno della Convenzione BEPS.
Alla luce del Commentario agli articoli 10, 11 e 12 (OECD MODEL TAX CONVENTION: REVISED PROPOSALS CONCERNING THE MEANING OF “BENEFICIAL OWNER”
IN ARTICLES 10, 11 AND 12 ) la Convenzione BEPS considera beneficial owner, beneficiario effettivo:
- colui che riceve i redditi e che gode del diritto di utilizzo dei flussi reddituali (“right to use and enjoy the interest”);
- che non sia tenuto a restituirli a un altro soggetto sulla base di obbligazioni contrattuali o legali desumibili anche in via di fatto (“unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person”).
(1) Art, 47 bis, comma 1, del T.U.I.R.:
1. I regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:
a) nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto a controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, laddove si verifichi la condizione di cui al comma 4, lettera a), del medesimo articolo 167
b) in mancanza del requisito del controllo di cui alla lettera a), laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia. A tali fini, tuttavia, si tiene conto anche di regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalita’ dei soggetti svolgenti analoga attivita’ dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto del predetto limite e sempreche’, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attivita’ economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attivita’ ricompresa nell’ambito di applicazione del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari, rispetto alle altre attivita’ svolte dal citato soggetto.