In primis una precisazione: il termine “paradisi fiscali” è una “inesatezza” tutta italiana, frutto di un errore di traduzione dell’espressione inglese “tax haven”, “rifugio fiscale”, confusa con la parola “heaven”, “paradiso”.
Generalmente sono designati come “paradisi fiscali” territori sovrani e Paesi che usano la leva fiscale e altre misure di politica economica per attrarre capitali e investimenti nel settore finanziario e dei servizi.
Questi Paesi e territori offrono agli investitori esteri:
- un ambiente di non tassazione o di imposizione puramente nominale;
- regole giuridiche ed amministrative particolarmente “facilitative”;
- in genere, a causa del segreto bancario particolarmente rigoroso, le attività svolte non sono, in generale, oggetto di scambio di informazioni con altri paesi.
Potremmo stilare una classificazione dei paesi inseriti nelle black list, in base alla tipologia di tassazione o regime adottato:
- Pure Tax Haven: non ci sono tasse e garantisce l’assoluto segreto bancario anche con altri stati (i cosidetti PARADISI FISCALI);
- No taxation on foreign income: sono esclusi da ogni tassazione i redditi esterni, e si tassa solo il reddito interno;
- Low taxation: tassazione modesta su qualunque reddito;
- Special Taxation: paesi con regimi fiscale simile a quello dei paesi considerati “normali”, ma che permettono la costituzione di società flessibili.
Nel 1998 l’OCSE ha pubblicato il rapporto “Harmful Tax Competition“, con lo scopo di studiare come i c.d. “paradisi fiscali” e i “regimi fiscali preferenziali dannosi”, indicando le “pratiche fiscali dannose” .
Il Rapporto OCSE “Towards Global Tax Co-operation” del 2000 ha identificato e valutato i regimi fiscali dannosi, elencando tutti i
regimi fiscali preferenziali che allora potevano essere considerati come “potenzialmente” dannosi. I regimi, identificati, erano 47.
Alla luce dell’evoluzione intervenuta dopo la pubblicazione del Rapporto 2000, il 14 novembre 2001 è stato pubblicato il rapporto
“The OECD’s Project on Harmful Tax Practices: the 2001 Progress Report”.
Successivamente molti Stati hanno siglato accordi per lo scambio di informazioni sotto la forma di:
- Convenzioni contro le doppie imposizioni (Double Tax Conventions, DTC);
- Accordi per lo scambio di informazioni ai fini fiscali (Tax Information Exchange Agreements, TIEA)
L’art. 26 del Modello OCSE ha sempre rappresentato lo standard internazionale per lo scambio di informazioni tributarie tra Stati: la sua prima versione apparve nel Modello del 1963, e da allora sono stati più volte modificati sia la lettera dell’articolo che il Commentario.
Nel 2005 sono stati aggiunti, all’art. 26 i parr. 4 e 5, con lo scopo principale di impedire allo Stato destinatario della richiesta di scambio di opporre determinate tipologie di legislazione nazionale.
L’informazione richiesta non può essere negata:
- solo perché lo Stato alla quale è richiesta non ha un interesse proprio nello scambio;
- perché l’informazione è detenuta da un istituto bancario, un’istituzione finanziaria, “un’agenzia”, ovvero una fiduciaria (con il chiaro intento dell’OCSE di contrastare il segreto bancario).
Nel 2009, al verice di Londra, il G20 ha dichiarato la fine del segreto bancario.
A seguito di questa decisione l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) pubblicò due elenchi:
- nella black list: Costa Rica, Malaysia, Filippine, Uruguay;
- nella “lista grigia” furono inclusi, invece, 38 paesi tra cui Lussemburgo, Svizzera, Austria, Belgio, Singapore, Cile e isole Cayman, Liechtenstein Liechtenstein, Antille olandesi, Belgio e Principato di Monaco, Paesi che, pur essendosi impegnati a rispettare le regole dell’Ocse non le hanno “in sostanza” applicate. I G20 hanno deciso che ci saranno sanzioni contro quei paesi che non forniscono le informazioni richieste, oltre all’irrigidimento dei vincoli amministrativi e il divieto per gli stati membri di depositare i loro fondi in questi paesi.
Un forte “colpo” ai Paradisi fiscali è stato inferto, dal 2014, anno delle sua introduzione, dal CRS. Il Common Reporting Standard (CRS); è uno standard informativo, sviluppato dall’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) ), per lo scambio automatico di informazioni, (Automatic Exchange Of Information (AEOI)), a livello globale, tra le autorità fiscali, rivolto a facilitare i controlli anti-evasione,sulle attività finanziarie detenute dai contribuenti .
(Vedi: http://www.oecd.org/tax/automatic-exchange/)
Introdotto nell’Unione Europea dalla Direttiva 2014/107/UE (DAC 2), questo standard di raccolta e condivisione di dati sui conti esteri, secondo la lista aggiornata al 10 Dicembre 2020, vede impegnati, 110 Stati.
ELENCO DEGLI STATI CHE HANNO ADERITO AL CRS AGGIORNATA AL 22 novembre 2022
La pagina RAPPORTI DI SCAMBIO ATTIVATI PER INFORMAZIONI CRS (Ultimo aggiornamento: dicembre 2020) del sito OCSE( (Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD)) mostra tutte le relazioni di scambio bilaterali attualmente in essere per lo scambio automatico di informazioni CRS ai sensi dell’articolo 6 della convenzione multilaterale e del CRS MCAA (Multilateral Competent Authority Agreement), nonché nel quadro dell’UE. Inoltre, alcune giurisdizioni hanno concluso accordi bilaterali per lo scambio di informazioni CRS nell’ambito di trattati fiscali bilaterali o accordi sullo scambio di informazioni fiscali.
A partire da ottobre 2022, sono oltre 4900 i rapporti di scambio bilaterali attivati rispetto a oltre 110 giurisdizioni impegnate nel CRS.
Per l’Italia risultano attive 75 relazioni di scambio bilaterali.
Proposto per la prima volta dalla Commissione nel gennaio 2016 l’elenco UE delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali è stato continuamente aggiornato (c.d. Black List UE) (Evoluzione della lista UE (scheda informativa) Inglese)
Il processo di monitoraggio segue una serie di linee guida procedurali concordate nel febbraio 2018.
Senza modificare il processo di monitoraggio dinamico, nel marzo 2019 il Consiglio ha deciso di limitare gli aggiornamenti dell’elenco a due volte l’anno a partire dal 2020, per concedere agli Stati membri dell’UE tempo sufficiente per modificare la legislazione nazionale ove necessario.
La lista dei Paesi Black List, rappresenta un elenco di Paesi in cui:
- è in vigore un regime fiscale privilegiato, la cui caratteristica principale sta nell’avere un livello di tassazione molto basso oppure nullo:
- non è stato previsto alcun meccanismo di scambio di informazioni fiscali con altri Paesi.
I ministri delle finanze dell’Unione Europea aggiornano costantemente la Black List delle giurisdizioni fiscali non cooperative sulla base di un intenso processo di analisi e di dialogo guidato dalla Commissione. L’elenco si è dimostrato altamente efficace, poiché molti paesi hanno modificato la propria legislazione e i propri sistemi fiscali per conformarsi alle norme internazionali. La Commissione ha valutato 92 paesi sulla base di tre criteri:
- Trasparenza fiscale;
- Buona governance;
- Attività economica reale.
Oltre a questi criteri è stata verificata anche l’esistenza di un’aliquota dell’imposta sulle società pari a zero.
L’elenco adottato dal Consiglio il 14 febbraio 2023 è composto da:
- Samoa americane
- Anguilla
- Bahamas
- Isole Vergini Britanniche
- Costa Rica
- Figi
- Guam
- Isole Marshall
- Palau
- Panama
- Russia
- Samoa
- Trinidad e Tobago
- Isole Turks e Caicos
- Isole Vergini americane
- Vanuatu
Tra queste: Anguilla, Bahamas, Costa Rica, Isole Vergini Britanniche, Isole Marshall, Panama, Russia, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Turks e Caicos e Vanuatu figurano nell’ELENCO DEGLI STATI CHE HANNO ADERITO AL CRS AGGIORNATA AL 22 novembre 2022.
Quindi le giurisdizioni che figurano nella Black List UE al 14 febbraio 2023 che non hanno a CRS sono:
- Samoa americane;
- Figi;
- Guam;
- Palau;
- Isole Vergini degli Stati Uniti.
Di fatto la black list non ha nessun valore coercitivo: semplicemente i paesi in essa inclusi non potranno ricevere aiuti dall’Unione Europea, a meno che non si tratti di aiuti allo sviluppo. Imprese e privati potranno continuare ad avere rapporti con questi stati senza rischiare nessuna sanzione a livello europeo. La Commissione Europea, però, incoraggia i singoli stati membri, se lo riterranno necessario, a mettere in atto sanzioni più stringenti .
La LEGGE 29 dicembre 2022, n. 197 – “Legge di Bilancio 2023” (art. 1 commi da 84 a 86) ha introdotto disposizioni in materia di deducibilità nei limiti del loro valore normale dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese localizzate in Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali ( giurisdizioni individuate nell’allegato I alla lista UE delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali, adottata con conclusioni del Consiglio dell’Unione europea).
L’elenco dei Paesi extra UE cosiddetti “black list” aiuta i soggetti coinvolti nella protezione del sistema finanziario UE a individuare con maggiore efficacia i rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo (FdT).
L’elenco vale sia per gli Intermediari finanziari che per i Professionisti (anche in forma associata o societaria) – CED e ogni altro soggetto che rende in maniera professionale, anche per i propri associati o iscritti, servizi in materia di contabilità e tributi (compresi associazioni di categoria di imprenditori e commercianti, CAF e patronati).
In particolare, nel DECRETO LEGISLATIVO 21 novembre 2007, n. 231 sono contemplati gli obblighi di adeguata verifica rafforzata della clientela e le relative modalità di esecuzione.
In essi si prevede che i soggetti obbligati, in presenza di un elevato rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, debbano applicare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela.
Tra gli altri fattori di cui tenere conto spicca proprio quello relativo ai clienti residenti o aventi sede in aree geografiche ad alto rischio individuati dalla Commissione europea, per i quali si applicano sempre misure di adeguata verifica rafforzata della clientela.
Quindi i rapporti professionali / le operazioni con soggetti ivi residenti comporteranno l’obbligo di:
- rafforzare il grado e la natura delle verifiche atte a determinare se le operazioni siano sospette;
- acquisire informazioni aggiuntive sul cliente e sul titolare effettivo / titolari effettivi;
- approfondire gli elementi posti a fondamento delle valutazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto;
- intensificare la frequenza dell’applicazione delle procedure finalizzate a garantire il controllo costante nel corso del rapporto.
In Italia sono stati pubblicati il Decreto del 04/05/1999 – Min. Finanze ed il Decreto del 21/11/2001 – Min. Economia e Finanze che hanno individuato, ai fini della nostra legislazione fiscale i Paesi Black List.
La Black List “italiana” di cui al DM 4 maggio 1999 serve ad attivare l’inversione dell’onere della prova riguardo all’effettiva residenza fiscale dei cittadini italiani emigrati nei Paesi indicati nella lista (Ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis del TUIR, introdotto dall’articolo 10 della legge n. 448 del 23 dicembre 1998, si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori individuati dall’art. 1 (Individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato) del Decreto del 04/05/1999 – Min. Finanze).
Da considerare che il Decreto del 21/11/2001 – Min. Economia e Finanze (Individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)) non trova più applicazione per l’individuazione delle CFC in quanto l’art. 127-bis è stato soppresso dal Decreto legislativo del 12/12/2003 n. 344 Articolo 1 e che la materia delle CFC è ora regolamentata dall’art. 167 del TU (Disposizioni in materia di imprese estere controllate. (ex art 127-bis)).
La lista di cui al Decreto del 04/05/1999 – Min. Finanze ed il Decreto del 21/11/2001 – Min. Economia e Finanze rappresenta anche la lista di riferimento per la compilazione del quadro RW per quanto riguarda la detenzione di attività patrimoniali e finanziarie in paesi non collaborativi.
L‘articolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW).
i sensi dell’articolo 5, comma 2, del D.L. 167/1990 la violazione dell’obbligo di dichiarazione di investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati.
La violazione di cui sopra relativa alla detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 (individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 (individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127 -bis, comma 4, (Soppresso da: Decreto legislativo del 12/12/2003 n. 344 Articolo 1) del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”)), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2001, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. Nel caso in cui la dichiarazione prevista dall’articolo 4, comma 1, sia presentata entro novanta giorni dal termine, si applica la sanzione di euro 258.
Quindi qualora le attività estere di natura finanziaria siano detenute in “paradisi fiscali”, la sanzione è raddoppiata rispetto ai valori ordinari.
La lista di cui al Decreto del 04/05/1999 – Min. Finanze ed il Decreto del 21/11/2001 – Min. Economia e Finanzerileva anche ai fini della Presunzione legale somme detenute all’estero costituite con redditi non assoggettati a tassazione in Italia.
Nel caso di asset
- detenuti in paradisi fiscali individuati dal decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 e dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, senza tener conto delle limitazioni ivi previste;
- in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 (l‘articolo 4, comma 1, dl 167/1990, ha posto l’obbligo per i residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività’ estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, di indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi (Quadro RW));
opera la presunzione legale per la quale le somme detenute all’estero siano state costituite con redditi non assoggettati a tassazione in Italia e pertanto l’Agenzia delle Entrate potrà contestare le imposte evase su tali importi (comma 2, art. 12 D.L. n. 78/2009.
I soggetti passivi Iva hanno dovuto comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle operazioni effettuate fino all’anno 2016 con operatori economici con sede, residenza o domicilio negli Stati o territori a fiscalità privilegiata (cosiddetti “Paesi black list“) individuati dal decreto 4 maggio 1999 del Ministro delle Finanze e dal decreto 21 novembre 2001 del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Dal 2017 l’obbligo di comunicazione è stato soppresso (articolo 4, comma 4 del decreto legge del 22/10/2016 n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016 n. 225).
Il decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, nel corso degli anni, è stato ripetutamente modificato.
In particolare, il decreto del Ministro delle finanze 24 febbraio 2014 ha eliminato”San Marino (Repubblica di San Marino)” dall’elenco di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999.