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Libertà di stabilimento delle Società – Giurispudenza Europea e Nazionale

Al DIRITTO DI STABILIMENTO è dedicato il CAPO 2 (artt. dal 49 al 55) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU))

Tra le disposizioni fondamentali dell’Unione Europea che hanno efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri vi sono gli Articoli 43-48 del Trattato della Comunità Europea (ora ARTT.49 e 54 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU))) che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e garantiscono alle società aventi la loro residenza nell’Unione Europea la libertà di stabilimento nel territorio della Comunità.

Ma quando, da un punto di vista fiscale, può configurarsi un abuso del diritto di libertà di stabilimento?

Con la raccomandazione 2012/772/Ue la Commissione Europea si è espressa sulla pianificazione fiscale aggressiva.

Esprimendosi sulla Norma generale antiabuso la Commissione (punto 4.2 della raccomandazione 2012/772/Ue) ha definito: «Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro «sostanza economica».

Punto 4.4 : Ai fini del punto 4.2 una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa più volte, fissandone i paletti,  sulla possibilità per un contribuente di scegliere il regime fiscale più conveniente ribadendo che quando il
contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale:

  • Halifax e a., causa C 255/02 (21 febbraio 2006), punto 73/74/75 – “.73….A un soggetto passivo che ha la scelta tra due operazioni la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento IVA. Al contrario, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 85 delle conclusioni, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale.
    74      Tutto ciò considerato, risulta che, nel settore IVA, perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni.
    75      Non solo. Deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Come ha precisato l’avvocato generale al paragrafo 89 delle conclusioni, il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali.”;
  • Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544 (12 settembre 2006), punto 55“Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.”;
  • Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, causa C-524/04 (13 marzo 2007), punto 74 – “Affinché una restrizione alla libertà di stabilimento sia giustificata da motivi di prevenzione di pratiche abusive, l’obiettivo specifico di tale restrizione deve essere quello di impedire comportamenti che comportino la creazione di costruzioni di puro artificio che non riflettono la realtà economica, con al fine di evadere l’imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale (sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas , cit., punto 55).”;
  • Part Service, causa C-425/06 (21 febbraio 2008), punto 47” …Quando un soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA. Al contrario, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (sentenza Halifax e a., cit., punto 73)”;
  • Weald Leasing, causa C-103/09 (22 dicembre 2010), punto 27 – “Peraltro, la scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’IVA. Quando un soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, la sesta direttiva non impone di scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA. Al contrario, il soggetto passivo ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (v. citate sentenze Halifax e a., punto 73, nonché Part Service, punto 47)”;
  • RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09 (22 dicembre 2010), punto 53 – ” Si deve aggiungere che i soggetti passivi sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali.”;
  • SIAT, causa C‑318/10 (5 luglio 2012), punto 40 – “Perché sia giustificata da motivi di lotta all’evasione e all’elusione fiscale, una restrizione alla libera prestazione di servizi deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (v., in tal senso, sentenze citate Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, punto 55, nonché Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, cit., punto 74).”
  • WebMindLicenses Kft, causa C- 419/14 (17 dicembre 2015).,punto 36 – “Ai punti 74 e 75 della sentenza Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121), la Corte ha dichiarato che l’accertamento di una pratica abusiva in materia di IVA richiede, da un lato, che le operazioni di cui trattasi, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della normativa nazionale di trasposizione abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.”;
  • WebMindLicenses Kft, causa C- 419/14 (17 dicembre 2015).,punto 42 – “.. riguardo alla questione se lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale, si deve ricordare che, in materia di IVA, la Corte ha già dichiarato che, quando il soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, non è obbligato a scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di ridurre la sua contribuzione fiscale (v., in particolare, sentenze Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 73; Part Service, C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 47, nonché Weald Leasing, C‑103/09, EU:C:2010:804, punto 27). I soggetti passivi sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali (sentenza RBS Deutschland Holdings, C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53)”.;
  • Euro Park Service, causa C‑14/16 (8 marzo 2017), punti 55 e 56 –  “55 La Corte ha infatti già precisato, al riguardo, che, per verificare se l’operazione interessata persegua un obiettivo di frode o di evasione fiscali, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo di tale operazione, dato che l’istituzione di una norma di portata generale che escluda automaticamente talune categorie di operazioni dall’agevolazione fiscale, a prescindere dalla verifica della sussistenza di un’effettiva frode o evasione fiscali, eccederebbe quanto è necessario per evitare una tale frode o evasione fiscale e pregiudicherebbe l’obiettivo perseguito dalla suddetta direttiva (sentenza del 10 novembre 2011, Foggia – Sociedade Gestora de Participações Sociais, C 126/10, EU:C:2011:718, punto 37).
    56 Orbene, dal momento che la normativa discussa nel procedimento principale, al fine di concedere il beneficio del riporto dell’imposizione delle plusvalenze ai sensi della direttiva 90/434 in modo sistematico e incondizionato, esige che il contribuente dimostri che l’operazione interessata è giustificata da una ragione economica e che non ha come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l’evasione fiscali, senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova dell’assenza di valide ragioni economiche o di indizi di frode o di evasione fiscali, tale normativa pone una presunzione generale di frode o di evasione fiscali.”
  • Equiom e Enka,, causa C-6/16 (7 settembre 2017),  punto 30 ” In tale contesto, va ricordato che, affinché una normativa nazionale venga considerata come diretta ad evitare le frodi e gli abusi, il suo scopo specifico dev’essere quello di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a fruire indebitamente di un’agevolazione fiscale (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55, nonché del 5 luglio 2012, SIAT, C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 40)”;
  • Equiom e Enka,, causa C-6/16 (7 settembre 2017),  punto 32 ” Per verificare se un’operazione persegue un obiettivo di frode e di abuso, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata. L’introduzione di un provvedimento fiscale di portata generale che escluda automaticamente talune categorie di contribuenti dall’agevolazione fiscale, senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova o di indizio di frode e abuso, eccederebbe quanto necessario per evitare le frodi e gli abusi (v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2017, Euro Park Service, C‑14/16, EU:C:2017:177, punti 55 e 56).”;
  • X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16 (22 febbraio 2018), punto 49“Tuttavia, affinché una restrizione alla libertà di stabilimento sia giustificata dalla prevenzione di pratiche abusive, occorre altresì che tale restrizione abbia lo scopo specifico di farvi ostacolo (v., in tal senso, sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55)”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43809/2015, relativa alla contestazione di esterovestizione di una struttura societaria di gruppo collocata in Lussemburgo titolare di alcuni marchi ha  sottolineato come: “Per stabilire, dunque, la natura artificiosa o meno della società estera si potrà fare riferimento ai criteri indicati a livello interno dall’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Infatti, se un ufficio ha i connotati per configurare una stabile organizzazione esso potrà essere valutato anche come luogo di effettivo esercizio di attività di impresa. Ciò in quanto il giudice non può adottare una interpretazione che vada a limitare la libertà di stabilimento, in quanto nel principio costituzionale che la disciplina l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni.

Occorrerà solo valutare se l’ufficio corrisponde ad una costruzione di puro artificio volta a lucrare benefici fiscali oppure no.

Secondo i supremi giudici il vantaggio fiscale è indebito non perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, ma lo è solo se è ottenuto mediante costruzioni non aderenti alla realtà.

In conclusione, quindi, il contribuente in sede contenziosa potrà far valere il principio secondo cui, in ipotesi di controllo ex articolo 2359 c.c., l’esterovestizione non dipende da impulsi gestionali o direttive amministrative impartite dalla controllante italiana alla controllata estera, ma dal fatto che quest’ultima non sia una costruzione di puro artificio.

In tal senso il contribuente potrà fare riferimento alla semplice nozione di stabile organizzazione contenuta nell’articolo 162 del DPR n. 917/86.”

La  Suprema Corte con sentenza n.18632 del 13 luglio 2018 si è così espressa: “……in relazione all’istituto dell’abuso del diritto
di elaborazione comunitaria (in relazione ai tributi armonizzati) e
successivamente accolto anche dall’ordinamento statale (in
relazione alle imposte sui redditi ex art.37 bis d.p.r. n.600/1973)
va rilevato che, sulla scia della pronuncia delle Sezioni Unite n.
30055 del 23/12/2008 («in materia tributaria, il divieto di abuso
del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale
preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali
ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con
alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad
ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di
ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino
l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici….”

Concetto che è stato ribadito con sentenza n. 15321 del 6 giugno 2019: In materia tributaria, è principio consolidato di questa Corte
che il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale
antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di
vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non
contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di
strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino
l’operazione (Cass. 13 luglio 2018, n. 18632). “

La  Corte di Cassazione con   sentenza n. 33234 del 21 dicembre 2018 si è così espressa: “Perché, tuttavia, questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C419/14, WebMindLicenses Kft, punto 36).

Non è difatti sufficiente applicare criteri generali predeterminati, ma occorre passare in rassegna la singola operazione. Ciò perché una presunzione generale di frode e di abuso non può giustificare né un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né uno che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (in particolare, Corte giust. 7 settembre 2017, causa C-6/16, Equiom e Enka, punti 30-32).

È necessario quindi accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perché quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire (E;Q;tinam quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C419/14, cit., punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa CAngelinfi-Maria Perrino estensore RG n. 21718/2012 Corte di Cassazione – copia non ufficiale Pagina 6 di 12 255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49).

2.3.- Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.

2.4.- L’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.

La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale.

Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

In definitiva, quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.”

La  Corte di Cassazione con la sentenza, n. 16697 del 21/6/2019 si è espressa sul tema dell’esterovestizione: “La questione in giudizio, invero, va ricondotta alla cd. esterovestizione, termine con cui si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, ed ha costituito oggetto di ampia disamina da parte di questa Corte con la sentenza n. 2869 del 07/02/2013 e, da ultimo, con la sentenza n. 33234 del 21/12/2018.

6.2. Occorre prendere le mosse, invero dalla sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, che, con riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha affermato, in tema di libertà di stabilimento, che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringe la liberta di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.

L’obiettivo della liberta di stabilimento è quello di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e  Corte di Cassazione – copia non ufficiale di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio. La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, merce l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro; presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale.

Una restrizione alla libertà di stabilimento deve dunque avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

 I concetti esposti sono stati ribaditi dalla sentenza della Corte di Giustizia, 28 giugno 2007, C-73/06, Planzer Luxembourg Sàrl, la quale, nell’interpretare l’ottava e la tredicesima direttiva in materia di Iva (rispettivamente, 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in tema di rimborso dell’imposta ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese, e 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in tema di rimborso ai soggetti passivi non residenti all’interno della Comunità), premesso che gli interessati, per costante giurisprudenza, non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario, ha affermato che ciò accadrebbe se un soggetto passivo intendesse fruire del sistema di rimborso alle condizioni enunciate dalle citate direttive, quando l’indirizzo dell’impresa non corrisponde ad alcuna realtà economica, né alla sede dell’attività economica del soggetto, né ad un centro di attività stabile dal quale quest’ultimo svolge le sue operazioni.

Perché questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, inoltre, che da un insieme di elementi Corte di Cassazione – copia non ufficiale oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (Corte di Giustizia, sentenza 17 dicembre 2015, in C-419/14, WebMindLicenses Kft), occorrendo, a tal fine, una disamina della singola operazione (v. anche Corte di Giustizia, sentenza 7 settembre 2017, in C-6/16, Equiom e Enka).”

La  Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 6476 del 9 marzo 2021 si è espressa sulla localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società: “……. sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (richiamata da Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n.16697, cit.), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.”

La Quinta Sez. civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 4463 dell’11 febbraio 2022 ha dato ragione al contribuente in un caso di presunta esterovestizione  in quanto, trattandosi di una norma con finalità antielusive, sta all’Agenzia di provare che l’obiettivo preponderante da parte del contribuente sia quello di conseguire un vantaggio fiscale.

I giudici di legittimità si esprimono nel senso che: “È necessario quindi accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si
limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perché quando il
contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C- 419/14, cit.,punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C 255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49).

2.3.- Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale» (cfr. Cass., 21 dicembre 2018, n. 33234).
Lo sviluppo argomentativo riportato consolida quanto già avvertito dal
giudice di legittimità (Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869), tenendo conto del principio di diritto secondo cui in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio
d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che
giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici:
tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella
specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità
contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il
principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di
obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento
degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere
l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio
all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio
tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione
elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in
considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca
successiva al compimento dell’operazione (Sez. U, 23 dicembre 2008, n.
30055).
D’altronde, con uno sguardo generale alla tematica dell’abuso del
diritto, deve rammentarsi che la giurisprudenza di legittimità, anche
recente, ha evidenziato che tale abuso, il cui divieto costituisce principio
generale antielusivo, afferisce ad operazioni economiche volte al
conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto,
ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che le giustifichino (Cass., 13 luglio 2018, n.18632 ; 6 giugno 2019, n. 15321). E va ribadito che l‘elusione fiscale, quale espressione dell’abuso del diritto, in ossequio ai principi espressi dalla raccomandazione 2012/772/Ue, sussiste quando l’operazione economica esaminata manchi di sostanza economica, i cui indici sono rappresentati dalla non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e dalla non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato, mentre per vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (Cass., 30 dicembre 2019, n. 34595).

Ciò, ancorché vada sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale (Cass., 14 gennaio 2015, n. 439;  cfr. anche 19 febbraio 2014, n. 3938), libertà che tuttavia incontra il limite dell’uso distorto degli strumenti giuridici, come nelle ipotesi in cui l’operazione difetti di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di benefici fiscali.

Dunque il giudice regionale, nell’affermare che l’Agenzia delle entrate
non si fosse neppure preoccupata di prospettare che la contribuente,
attraverso la esterovestizione quale società di diritto lussemburghese,
perseguisse come obiettivo assoluto o preponderante il conseguimento di
un vantaggio fiscale, non ha malgovernato i principi di diritto in materia.

………..

Un’artificiosa localizzazione estera deve infatti rispondere a un trattamento fiscale di favore (Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697 e Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869) e lo scopo essenziale dell’operazione deve limitarsi all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (causa C-419/14, W. Kft).”

I paletti posti dalla Quinta Sez. civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 4463 dell’11 febbraio 2022 a favore del contribuente appaiono molto netti.

Il contribuente sarà sempre libero di scegliere la soluzione che gli consenta di ottimizzare il carico fiscale. Quindi una localizzazione estera può essere contrastata dalla norma nazionale solo se l’obiettivo è quello di realizzare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas e Cass., 21 dicembre 2018, n. 33234).”

Con la Sentenza 15 marzo 2022 n. 8297 la Corte di cassazione richiamando un proprio consolidato orientamento ha precisato:

“Questa Corte infatti ha più volte affermato che in tema di imposte sui redditi ricorre l’ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministazlone da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legisiazone tributaria pia vantaggiosa (Cass., 21 giugno 2019, n. 16697).

……………

2.2.- Perché, tuttavia, il meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle norme e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C- 419/14, WebMindLicenses Kft, punto 36). Non è difatti sufficiente applicare criteri generali predeterminati, ma occorre passare in rassegna la singola operazione. Ciò perché una presunzione generale di frode e di abuso non può giustificane né un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né uno che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (in particolare, Corte giust.7 settembre 2017, causa C-6/16, Equiom e Enka, punti 30-32) . É necessario quindi accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perchè quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quei:a che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affarl che  consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C419/14, cit., punto 42 ; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C 255/02, punto 73; Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49)
2.3.- Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, le circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà dl stabilimento e ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato….. Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive„ una restrizione della libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale» ( cfr Cass., 21 dicembre 2018, n. 33234).”

Sul tema dell’esterovestizione è  ritornata a giudicare la Corte di cassazione con la Sentenza n.26538 del 08/09/2022 , nella quale gli Ermellini hanno confermato che sussiste l’esterovestizione di una società in presenza di una struttura di puro artificio e della quale riportiamo un estratto:

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. civ., 21 dicembre 2018, n. 33234; Cass. civ., 7 febbraio 2013, n. 2869) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.

In linea con la giurisprudenza unionale, è quindi necessario accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di un vantaggio fiscale: ciò perchè quando il contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C419/14, cit., punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C 255/02, punto 73;
Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49)..

Proprio con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.

L’obiettivo della libertà di stabilimento è di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.

La nozione di stabilimento implica, quindi, l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro: presuppone, pertanto, un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro ospite e l’esercizio quivi di un’attività economica reale.

Ne consegue che, una restrizione alla libertà di stabilimento, perchè sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.

In definitiva, quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma se si sia artificiosamente creata una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.”

 

Una società con sede estera paga le imposte in Italia se le decisioni sono prese nel territorio nazionale

Una società con sede estera paga le imposte in Italia se le decisioni sono prese nel territorio nazionale
Una società con sede estera paga le imposte in Italia se le decisioni sono prese nel territorio nazionale

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza numero 6476 del 9 marzo 2021, ha stabilito che la società che ha fissato la residenza all’estero va considerata fiscalmente residente in Italia se le decisioni concrete che riguardano la direzione e la gestione delle attività di impresa vengono adottate in Italia.

La Corte di cassazione ha precisato che, per stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l’adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell’attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all’estero.

In merito alla nozione di “sede dell’amministrazione” essa va intesa come “il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente”.

Infatti il terzo comma dell’art. 73 del TUIR stabilisce che: ” Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le societa’ e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.”

Presunzione legale di residenza fiscale italiana per società estere controllate o amministrate dall’Italia che controllano società di capitali italiane

Art. 73 comma 5 bis del TUIR – Presunzione legale di residenza fiscale italiana per società estere controllate o amministrate dall’Italia che controllano società di capitali italiane

Con il termine esterovestizione (foreign dressed companies) si intede indicare una società o un gruppo societario che utilizzando tecniche di pianficazione fiscale internazionale, costituisce società o stabili organizzazioni all’estero. Generalmente in Stati a più basso livello di tassazione, al fine di evadere le imposte nello Stato in cui sono residenti.

Poniamo, ad esempio, il caso di una Società estera B  controllante residente in un Paese a bassa tassazione, a sua volta “controllata” da soggetti fiscalmente residenti in Italia, e di una Società Italiana A controllata dalla Società estera B: la Controllata Italiana A potrebbe artificiosamente fare in modo che la Controllante estera B percepisca royalty “a suo carico” al fine di ridurre artificiosamente gli “utili italiani”.

Poniamo un altro caso: Società italiana A che dovrebbe acquisire partecipazioni in un’altra società C. La Società italiana controllata A facendo acquisire le partecipazioni di C alla Controllante estera B trasferirebbe arteficiosamente la tassazione di eventuali futuri  capital gain realizzati dalla cessione di quote di C ad una giurisdizione fiscale più favorevole (teniamo presente che ci sono ordinamenti fiscali che esentano completamente da tassazione le plusvalenze conseguite).

L’articolo 35, commi 13 e 14, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella l. 4.8.2006, n. 248.  ha inserito, dopo il comma 5 dell’articolo 73 del TUIR, i commi 5-bis e 5-ter che introducono, una presunzione legale relativa di localizzazione in Italia della sede della amministrazione, e quindi della residenza, di societa’ ed enti esteri, che detengono  partecipazioni di controllo in societa’ di capitali ed enti commerciali residenti in Italia,  invertendo a loro carico l’onere della prova.

Ai fini  di contrastare la presunzione di residenza fiscale italiana vedremo l’importanza per il contribuente di essere in grado con la precisa indicazione di elementi certi, sempre inerenti la sede dell’amministrazione, di poter dimostrare come la sede dell’amministrazione della società estera  si trovi all’estero, ad esempio, provando, attraverso gli atti:

  • La presenza all’estero di riunioni del CdA, oppure
  • La presenza della sede amministrativa e contabile in un Paese estero.

Ai fini della presunzione legale di residenza fiscale italiana per le società costituite all’estero riportiamo un estratto dell’Art. 73 del TUIR (Commi 5 bis e 5 ter)

“5-bis. Salvo prova contrariasi considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di societa’ ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

5-ter. Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’articolo 5, comma 5.”

L’Agenzia delle entrate, con la circolare 28/E/2006, punto 8, tratta delle norme introdotte  dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223.

Riportiamo il  punto 8.1 Requisiti di applicabilita’– della  circolare 28/E/2006:

“Come sottolinea la Relazione illustrativa, le disposizioni in esame
si applicano alle societa’ ed enti che presentano due rilevanti e
continuativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato, in
quanto:

  • detengono partecipazioni di controllo, di diritto o di fatto ai
    sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, in societa’
    ed enti residenti;
  • sono, a loro volta, controllati anche indirettamente ovvero
    amministrati da soggetti residenti.

La norma e’ applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti
residenti controllanti e controllati si interpongano piu’ sub-holding
estere. La presunzione di residenza in Italia della societa’ estera che
direttamente controlla una societa’ italiana, rendera’ operativa, infatti, la presunzione anche per la societa’ estera inserita nell’anello
immediatamente superiore della catena societaria; quest’ultima si trovera’, infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia.
Ai sensi del comma 5-ter, il presupposto per la sussistenza del
controllo (dei soggetti residenti sull’entita’ estera e di questa su
societa’ e enti residenti) – e quindi della localizzazione in Italia della
sede dell’amministrazione – dovra’ valutarsi con riferimento alla data di chiusura dell’esercizio della entita’ controllata localizzata all’estero.
Il medesimo comma precisa che, per le persone fisiche, devono essere computati anche i voti spettanti al coniuge, ai familiari entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo.
Nel suo complesso la previsione normativa vale a circoscrivere
l’inversione dell’onere della prova alle ipotesi in cui il collegamento con il territorio dello Stato e’ particolarmente evidente e continuativo.
Ovviamente, la norma non preclude all’amministrazione la possibilita’ di dedurre – anche in altri casi e assumendosene l’onere – la residenza in Italia di entita’ esterovestite.

La circolare 28/E/2006, al punto 8 così si espime:

“Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato
individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la
presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede
dell’amministrazione delle societa’ in esame. Si tratta, infatti, di
elementi gia’ valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.
La norma prevede, in definitiva, l’inversione, a carico del
contribuente, dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessita’ di provare l’effettiva sede della amministrazione di entita’ che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle societa’. In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddette esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle societa’ in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformita’ al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.”

Per quanto attiene alla prova contraria il punto 8.3 della circolare 28/E/2006 sostiene che:

Il contribuente, per vincere la presunzione, dovra’ dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della societa’ non e’ in Italia, bensi’ all’estero.
Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati
presupposti di applicabilita’ della norma, esistono elementi di fatto,
situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della
direzione effettiva nello Stato estero“.

Si rimanda punti della circolare 28/E/2006:

  • 8.2 – Effetti
  • 8.4 – Compatibilita’ con il Trattato dell’Unione europea e con le
    convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia
  • 8.5 – Collegamento con l’art. 167 del TUIR

Come si vede con la formulazione del comma 5-bis dell’articolo 73 del DPR n 917/86 il nostro legislatore ha conferito particolare importanza ad evitare situazioni in cui società risultano soltanto formalmente (e non anche in sostanza) residenti all’estero contemplando una presunzione legale relativa di residenza fiscale italiana di società estera che controlla società italiane o con managemet residente in Italia.

Con l’obiettivo di contrastare il fenomeno delle società esterovestite l’Amministrazione finanziaria, infatti, può sfruttare, in base all’articolo 73 del DPR n 917/86, una presunzione legale relativa di residenza  in virtù della quale si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti non residenti che ricadono nelle fattispecie previste dall’articolo 73 del DPR n 917/86 .

In questi casi si ha l’inversione dell’onere della prova sul contribuente: la società estera  che ricade nelle fattispecie previste dall’ articolo 73 del DPR n 917/86 viene, salvo prova contraria (inversione dell’onere della prova) che il contribuente deve fornire, automaticamente considerata fiscalmente residente in Italia , con la conseguenza di vedere imputare sulla società estera la tassazione italiana.

La residenza fiscale, per le società, è disciplinata dal primo periodo del comma 3 dell’articolo 73 del Tuir  (Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le societa’ e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.)

Quindi si considerano residenti, ai fini delle imposte sui redditi, le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato, alternativamente:

  1. La sede legale;
  2. La sede dell’amministrazione;
  3. L’oggetto principale dell’attività.

Questa formulazione, generale, lascia sull’Amministrazione finanziaria la prova di una eventuale residenza fiscale in Italia di enti esteri.

Il comma 5-bis dell’art. 73 del Tuir , al contario, introduce, nell’ambito del tema della residenza fiscale , una presunzione legale di residenza in Italia per società estere che ricadano in una delle seguenti fattispecie:

  • la società estera è controllata, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio italiano;
  • la società estera è amministrata da un organo amministrativo composto in prevalenza da soggetti residenti nel territorio dello Stato.

Da cui un’inversione dell’onere della provaLa dimostrazione della propria residenza fiscale è posta a carico del contribuente e non dell’Amministrazione finanziaria.

La presunzione relativa di residenza determina, quindi, l’inversione dell’onere della prova a carico delle società estere.

Quindi la norma riportata si applica a società ed enti non residenti nel territorio dello Stato che soddisfano i seguenti requisiti:

  • Detengono partecipazioni di controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile in società ed enti commerciali residenti nel territorio dello Stato. Per effetto di questo articolo il controllo su tali soggetti può essere esercitato alternativamente:
    • Tramite maggioranza assoluta dei voti nell’assemblea ordinaria;
    • Mediante un numero di voti necessario a garantire un’influenza dominante sull’assemblea medesima;
    • In virtù di particolari vincoli di natura contrattuale;
  • Sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile da soggetti residenti nel territorio dello Stato. Oppure, in alternativa sono amministrati da un Consiglio di amministrazione o altro organo equivalente composto prevalentemente da persone fisiche residenti in Italia.

Il controllo può essere anche di natura indiretta. Pertanto, al fine di verificare la sussistenza del controllo su detti soggetti non residenti vanno computati anche i voti spettanti a società controllate, società fiduciarie o persone interposte.

Quanto, invece, ai soggetti controllanti, residenti nel territorio dello Stato, questi possono essere rappresentati sia da soggetti titolari di reddito di impresa (imprenditori individuali, società di persone e società di enti commerciali) sia da persone non titolari di reddito di impresa.

In base all’articolo 2727 cc:  Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato.

La norma contenuta nel comma 5-bis dell’articolo 73 del DPR n 917/86 costituisce una presunzione relativa ( cioè una presunzione che ammette prova contraria) di secondo livello ( al primo rilievo effettuato nei confronti della società si aggiunge un successivo rilievo presuntivo effettuato verso la compagine sociale).

In aggiunta, se i soggetti esteri non hanno proceduto a porre in essere nello Stato comportamenti dichiarativi si è in presenza di omessa dichiarazione e si rende applicabile la disposizione di cui all’articolo 41 comma 2 del DPR n. 600/73 che consente agli uffici verificatori  di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 del DPR n. 600/73  e, quindi, di avvalersi di presunzioni anche prive dei requisiti della gravità della precisione e della concordanza.

In sede di controllo l’ufficio accertatore, quindi, ha la possibilità di procedere ad emettere un accertamento d’ufficio sui redditi di contribuenti (enti societari esteri) che hanno omesso la dichiarazione, quindi, nella fase dell’accertamento, l’Agenzia delle Entrate si può avvalere, senza aggiungere ulteriori mezzi di prova, della sola presunzione semplice.

Il contribuente ha la possibilità di contestare gli elementi posti a base dell’accertamento presuntivo nell’ambito del procedimento contenzioso .

il contribuente ha la possibilità di contrastare la presunzione con l’indicazione di elementi, sempre inerenti la sede dell’amministrazione dimostrando che la propria sede dell’amministrazione societaria si trova all’estero, ad esempio, provando, attraverso gli atti:

      • La presenza all’estero di riunioni del CdA, oppure
      • La presenza della sede amministrativa e contabile in un Paese estero.

E’  da rilevare che la presunzione non può essere vinta con la prova della insussistenza di altri elementi diversi dalla sede dell’amministrazione.

Ricordiamo che, in base al  comma 3 dell’articolo 73 del Tuir, si  considerano residenti, ai fini delle imposte sui redditi, le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato, alternativamente:

  1. La sede legale;
  2. La sede dell’amministrazione;
  3. L’oggetto principale dell’attività.

criteri previsti dall’articolo 73 sono alternativi tra loro. Per cui è di fatto lasciata all’Amministrazione finanziaria, in caso di accertamento, la scelta del requisito su cui confrontarsi nel contenzioso eventuale.

Ne devira che  è irrilevante per il contribuente, qualora non si sia in grado di resistere alla presunzione riguardante la localizzazione della sede dell’amministrazione, dimostrare che, in concreto, la sua attività (industriale, commerciale o finanziaria) è effettivamente svolta all’estero.

La prova circa l’esistenza all’estero della sede dell’amministrazione deve essere fornita in sede di accertamento, non prevedendo la norma la possibilità di dimostrare in via preventiva l’inapplicabilità della norma al caso concreto come, per esempio, previsto dalla normativa sul reddito delle “imprese estere controllate” ( Controlled Foreign Companies, c.d. Cfc). Parimenti non è consentito anticipare il momento del contraddittorio entro termini utili per l’adempimento spontaneo.

Al fine di vincere questa presunzione non è, quindi,  possibile formulare istanza di interpello.

All’interno del modello di convenzione OCSE vengono definite le disposizioni che riguardano la residenza fiscale degli enti. Il modello di convenzione dirime ipotesi di “dual residence” attraverso l’applicazione delle c.d. “tie breaker rules“. Infatti, per poter determinare correttamente la residenza fiscale dell’ente il modello OCSE adotta come unico criterio dirimente quello del Place of Effective Management (PEM).

Questo significa che in caso di conflitti in merito alla corretta identificazione della residenza fiscale di una società, sarà dirimente il luogo in cui la stessa ha la propria sede di direzione effettiva (il place of effective management, appunto). La localizzazione in uno stato del PEM, quindi, identifica in quello Stato (unicamente) la residenza fiscale della società.

Secondo il modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni per sede di direzione effettiva deve intendersi : il luogo ove vengono adottate le più importanti decisioni relative alla gestione della società e allo svolgimento della sua attività di impresa.

L’elemento fatturale con il quale ci si può difendere in caso di presunzione di residenza di cui al comma 5-bis dell’art. 73 del Tuir  è  la sede di direzione effettiva:  il luogo in cui la persona o le persone che esercitano funzioni di rango più elevato (es. il CdA) adottano ufficialmente le decisioni. Ovvero il luogo in cui si delibera in merito alla società nel suo complesso.

Dal punto di vista sanzonatorio, se i soggetti esteri non hanno proceduto a porre in essere nello Stato comportamenti dichiarativi si è in presenza di omessa dichiarazione e si rendono applicabili:

L’Esterovestizione

Con il termine esterovestizione (foreign dressed companies) si intede indicare una società o un gruppo societario che utilizzando tecniche di pianficazione fiscale internazionale, costituisce società o stabili organizzazioni all’estero. Generalmente in Stati a più basso livello di tassazione, al fine di evadere le imposte nello Stato in cui sono residenti.

Quindi in caso di esterovestizione siamo in presenza ad un fenomeno di evasione fiscale.

Ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir una società di capitali è considerata fiscalmente residente in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 gg.) ha mantenuto

  • la sede legale
  • o la sede dell’amministrazione
  • o l’oggetto principale

nel territorio dello Stato.

Come si vede, tali criteri  sono fra loro alternativi, è sufficiente il realizzarsi di uno solo di essi affinché la società o l’ente vengano sottoposti a tassazione in Italia, in base del noto principio della tassazione su base mondiale dei redditi (c.d. worldwide principle,  principio che l’Italia, così come la maggior parte dei Paesi occidentali, ha adottato nel proprio diritto tributario).

L’Amministrazione finanziaria italiana applica il principio secondo il quale i redditi del soggetto residente sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti.

Ai fini dell’esterovestizione, le disposizioni dettate per le società dall’art. 73 T.U.I.R. attribuiscono particolare rilevanza non solo al dato formale della sede legale della società, situata in Italia, ma anche a quelli sostanziali, relativi

  • all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione
  • od allo svolgimento, in Italia, dell’oggetto principale dell’impresa.

Per quanto attiene l’oggetto principale dell’impresa si devono considerare i commi 4 e 5 dell’art. 73 del T.U.I.R.:

4. L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente e’ determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività’ essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.

5. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente e’ determinato in base all’attività’ effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti. 

Per quanto attiene all’ubicazione nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione occorrerà fare riferimento alla situazione di fatto e individuare il luogo dove effettivamente gli amministratori della società esercitano l’attività amministrativa in modo stabile.

L’articolo 4, paragrafo 3 (1, modello di Convenzione OCSE (2017 update), per evitare fenomeni di doppia imposizione, prevede che, nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, la residenza fiscale della persona giuridica sarà individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto:

  • del luogo di direzione effettiva (place of effective management);
  • del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted);
  • di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).

L’Italia, formulando specifiche osservazioni all’articolo 4, paragrafo 3, del modello Ocse di Convenzione (Commentaries on the articles of the Model of Tax Convention), Observations on the Commentary (2), ha introdotto una particolare riserva per effetto della quale, nel determinare la residenza fiscale di una società, oltre alla “sede della direzione effettiva”, dovrà essere attribuita estrema rilevanza anche al luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa.

In base a quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, del Modello OCSE (3. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da un individuo è residente di entrambi gli Stati contraenti, si considera residente solo del Stato in cui si trova la sua sede di direzione effettiva) e dalla sentenza n. 136/1998 della Corte di cassazione, la sede effettiva della società deve considerarsi:

il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.

Quindi, posto che il criterio della sede legale ha natura prettamente formale per stabilire se una società estera è fiscalmente residente in Italia, occorre analizzare, da un punto di vista sostanziale, i criteri di collegamento con il territorio dello Stato:

  • sede dell’amministrazione
  • e oggetto principale.

L’onere della prova grava sull’Amministrazione finanziaria che, nell’ambito della propria attività ispettiva, dovrà dimostrare che la società è fittiziamente estera.

Anche sulla base del consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per individuare la residenza fiscale di una società o di un ente estero, occorre fare riferimento al criterio della “sede effettiva”.

La sede dell’amministrazione, contrapposta alla sede legale, coincide con la “sede effettiva” dell’impresa estera, intesa come il luogo dove:

  • hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente;
  • si convocano le assemblee.

La sede effettiva può essere definita come quel luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente, il luogo ove si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente, nonché i rapporti economici che il medesimo intrattiene con i terzi.

Per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori:

  •  la sede statutaria;
  • il luogo dell’amministrazione centrale;
  •  il luogo di riunione dei dirigenti societari;
  • il luogo in cui si adotta la politica generale di tale società.

Possono rilevare anche altri elementi:

  •  il luogo di riunione delle assemblee generali;
  • di tenuta dei documenti amministrativi e contabili;
  • di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie e bancarie.

La quinta Sez. Civile della Corte di cassazione, con la sentenza n. 14527/2019 del 28.05.2019, si è espressa proprio su un caso di esterovestizione societaria, con riferimento all’importanza del luogo ove vengono formalizzate le delibere assembleari e societarie, si è pronunciata affermando che l’effettiva amministrazione di una società si svolgeva nello stato estero ove avevano luogo i consigli di amministrazione e le assemblee dei soci e dove la società aveva la materiale disponibilità dei locali necessari ai fini dello svolgimento delle attività di amministrazione e gestione

La  Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 6476 del 9 marzo 2021 ha ribadito che se le decisioni concrete che riguardano la direzione e la gestione delle attività di impresa vengono adottate in Italia, anche la società che ha fissato la residenza all’estero va considerata fiscalmente residente nel territorio dello Stato.

La  Corte si esprime in merito stabilendo che:

Merita, invece, condivisione la seconda censura, con la
quale l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’art. 73 del
d.lgs. n. 917 del 1986 per non avere la Commissione regionale
attribuito rilevanza, al fine di ritenere la società verificata
assoggettabile al regime fiscale italiano ai sensi dell’art. 73 del
d.lgs. n. 917 del 1986, al fatto, emerso dall’accertamento, che le
decisioni fondamentali di management necessarie alla sua gestione
venissero assunte in Italia.
Invero, come recentemente ribadito da questa Corte, al fine di
stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere
sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto
che l’adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione
dell’attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la
società abbia localizzato la propria residenza fiscale all’estero
(Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869Cass. Sez. 5, 21/12/2018, n. 33234).
Tale ricostruzione è coerente con la lettera dell’art. 73, comma 3, del d.lgs. n. 917 del 1986, ai sensi del quale «ai fini delle
imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che
per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o
la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio
della Stato».
Questa Corte ha, infatti, precisato che la nozione di «sede
dell’amministrazione», in quanto contrapposta alla «sede legale»,
deve ritenersi coincidente con quella di «sede effettiva» (di matrice
civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le
assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per
l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e
degli uffici societari in vista del compimento degli affari e
dell’impulso dell’attività dell’ente (in tal senso, Cass. Sez. 5
21/6/2019, n. 16697
, con ampia motivazione che il Collegio

condivide, nonché Cass. n. 3604 del 1984; Cass. n. 5359 del 1988;
Cass. n. 497 del 1997; Cass. n. 7037 del 2004; Cass. n. 6021 del
2009; Cass. Sez. 6-3, 28/1/2014, n. 1813).
Sulla stessa linea si è posta la Corte di giustizia nella sentenza Causa C-73/06 del 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg Sàrl, in cui è stato
affermato che la nozione di sede dell’attività economica «indica il
luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la
direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di
amministrazione centrale di quest’ultima (punto 60)».
E’ stato, inoltre, chiarito che la fattispecie della
esterovestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale
dello svolgimento dell’attività direttiva presso un territorio diverso
da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la
libertà di stabilimento.
Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte di Giustizia 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (richiamata da Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n.16697, cit.), la quale, con riferimento al fenomeno dellalocalizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in unoStato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misuranazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate
ad escludere la normativa dello Stato membro interessato.”

Ma, per una disamina completa del fenomeno dell’esterovestizione non si può prescindere da un’attenta lettura dei commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 del T.U.I.R. introdotti dal  D.L. 4 luglio 2006, n. 223,(Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche’ interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale). art.35, commi 13 e 14, convertito, con modificazioni, nella l. 4.8.2006, n. 248.

5-bis. Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

5-ter. Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’articolo 5, comma 5.

Il comma 5-bis con la dicitura “salvo prova contraria” introduce una sostanziale inversione dell’onere della prova sulla esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società estere il cui controllo risulti riconducibile, anche in via indiretta, a soggetti italiani.

Quindi , in sintesi, ai sensi del comma 5-bis la società estera si considera, salvo prova contraria, “esterovestita” se, in alternativa, siamo in presenza di una delle seguenti fattispecie:

  • è controllata, anche indirettamente da soggetti residenti in Italia;
  • è  amministrata da soggetti residenti residenti in Italia.

Il comma 5-bis ha introdotto una presunzione relativa che il contribuente può superare, dimostrando che si tratti di una collocazione sostanziale e non puramente formale.

Dovrà essere il contribuente a portare prove a proprio favore per dimostrare l’effettiva attività svolta all’estero.

l’Agenzia delle entrate, con la circolare 28/E/2006, punto 8,SOCIETA’ ED ENTI ESTEROVESTITI (Art. 35, commi 13 e 14) (3), tratta delle norme introdotte  dal D.L. 223/2006 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche’ interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale).

La circolare ha precisato che in applicazione della norma in oggetto, il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento prevede per le società e gli enti residenti

Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od
atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.

Ad esempio, sotto il profilo sostanziale, dovrà essere provato  che:

  • Gli insediamenti produttivi/commerciali all’estero sono effettivi ed esistono delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;
  • Esiste autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero (c.d. country manager).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43809/2015, relativa alla contestazione di esterovestizione di una struttura societaria di gruppo collocata in Lussemburgo titolare di alcuni marchi ha  sottolineato tre concetti:

  • la costruzione di puro artificio;
  • la finalità prevalente di elusione;
  • la libertà di scelta fra carichi fiscali diversi,

evidenziando il principio in base secondo il quale se non sussiste costruzione artificiosa non può esistere abuso.

Secondo i Giudici di legittimità nel caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, c.c., per stabilire ove è posta la sede amministrativa della società, entra in gioco il concetto della direzione e coordinamento.

La sede di direzione effettiva non può essere individuata semplicemente con il luogo da cui partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative laddove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana, a tal fine bisognerà invece appurare che la società estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponde ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità all’atto costitutivo o allo statuto.

Per stabilire, dunque, la natura artificiosa o meno della società estera si potrà fare riferimento ai criteri indicati a livello interno dall’articolo 162 del DPR n. 917/86.

Infatti, se un ufficio ha i connotati per configurare una stabile organizzazione esso potrà essere valutato anche come luogo di effettivo esercizio di attività di impresa. Ciò in quanto il giudice non può adottare una interpretazione che vada a limitare la libertà di stabilimento, in quanto nel principio costituzionale che la disciplina l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni.

Occorrerà solo valutare se l’ufficio corrisponde ad una costruzione di puro artificio volta a lucrare benefici fiscali oppure no.

Secondo i supremi giudici il vantaggio fiscale è indebito non perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, ma lo è solo se è ottenuto mediante costruzioni non aderenti alla realtà.

In conclusione, quindi, il contribuente in sede contenziosa potrà far valere il principio secondo cui, in ipotesi di controllo ex articolo 2359 c.c., l’esterovestizione non dipende da impulsi gestionali o direttive amministrative impartite dalla controllante italiana alla controllata estera, ma dal fatto che quest’ultima non sia una costruzione di puro artificio.

In tal senso il contribuente potrà fare riferimento alla semplice nozione di stabile organizzazione contenuta nell’articolo 162 del DPR n. 917/86.

La Quinta Sez. civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 4463 dell’11 febbraio 2022 ha dato ragione al contribuente in un caso di presunta esterovestizione  in quanto, trattandosi di una norma con finalità antielusive, sta all’Agenzia di provare che l’obiettivo preponderante da parte del contribuente sia quello di conseguire un vantaggio fiscale.

La Cassazione ha di fatto avallato il giudizio della Ctr Lombardia ( sentenza n. 60/32/2013 della Commissione tributaria regionale
della Lombardia, depositata il 18.04.2013). Nel caso in esame la società estera è una holding lussemburghese che ha sempre svolto la propria attività di gestione delle partecipazioni. In questo caso l’Amministrazione, colpevolmente, non si è neppure preoccupata di identificare il vantaggio fiscale conseguito o conseguibile con la collocazione artificiosa della sede sociale in Lussemburgo e non in Italia.

I giudici di legittimità si esprimono nel senso che:

La motivazione con cui il giudice regionale respinge l’appello dell’ufficio non è dunque affatto riconducibile alla sola assenza di prospettazione del vantaggio fiscale conseguibile o conseguito dalla società attraverso l’esterovestizione, ma ad una pluralità di elementi, quali, in senso negativo, l’assenza di documentazione atta a provare la direzione amministrativa della Holding dalla sede italiana, trattandosi di elementi sporadici e discontinui, e di contro, in senso positivo, la presenza di elementi che confortano la effettiva collocazione estera della Holding.”

…………………………………….

“Questa Corte infatti ha più volte affermato che in tema di
imposte sui redditi ricorre l’ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa (Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697).
Si è in significativamente affermato che «Questa Corte ha già avuto
occasione di chiarire (si veda, in particolare, Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869) che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della
residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo,
ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.

2.2.- Perché, tuttavia, questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva occorre, per un verso, che esso abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivoperseguito dalle norme e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti
all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (vedi Corte giust. 17 dicembre 2015, causa C- 419/14, WebMindLicenses Kft, punto 36) (4). Non è difatti sufficiente applicare criteri generali predeterminati, ma occorre passare in rassegna la singola operazione. Ciò perché una presunzione generale di frode e di abuso non può giustificare né un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né uno che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (in particolare, Corte giust.7 settembre 2017, causa C-6/16, Equiom e Enka, punti 30-32) (5).

È necessario quindi accertare che lo scopo essenziale di un’operazione si
limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale: ciò perché quando il
contribuente può scegliere tra due operazioni, non è obbligato a preferire
quella che implica il pagamento di maggiori imposte, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di
ridurre la sua contribuzione fiscale (Corte giust. in causa C- 419/14, cit.,
punto 42; vedi, poi le sentenze Halifax e a., causa C 255/02, punto 73;
Part Service, causa C-425/06, punto 47, nonché Weald Leasing, causa C-103/09, punto 27, RBS Deutschland Holdings, causa C-277/09, punto 53 e, da ultimo, X BV e X NV, cause C-398/16 e 399/16, punto 49).

2.3.- Giustappunto con riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale di una società, si è quindi sottolineato (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas) che, in tema di libertà di stabilimento, la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale» (cfr. Cass., 21 dicembre 2018, n. 33234).
Lo sviluppo argomentativo riportato consolida quanto già avvertito dal
giudice di legittimità (Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869), tenendo conto del principio di diritto secondo cui in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio
d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che
giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici:
tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella
specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità
contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il
principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di
obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento
degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere
l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio
all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio
tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione
elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in
considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca
successiva al compimento dell’operazione (Sez. U, 23 dicembre 2008, n.
30055).
D’altronde, con uno sguardo generale alla tematica dell’abuso del
diritto, deve rammentarsi che la giurisprudenza di legittimità, anche
recente, ha evidenziato che tale abuso, il cui divieto costituisce principio
generale antielusivo, afferisce ad operazioni economiche volte al
conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto,
ancorché non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragionieconomicamente apprezzabili che le giustifichino (Cass., 13 luglio 2018, n. 18632; 6 giugno 2019, n. 15321). E va ribadito che l’elusione fiscale, quale espressione dell’abuso del diritto, in ossequio ai principi espressi dalla raccomandazione 2012/772/Ue, sussiste quando l’operazione economica esaminata manchi di sostanza economica, i cui indici sono rappresentati dalla non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e dalla non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato, mentre per vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario (Cass., 30 dicembre 2019, n. 34595).

Ciò, ancorché vada sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale (Cass., 14 gennaio 2015, n. 439;  cfr. anche 19 febbraio 2014, n. 3938), libertà che tuttavia incontra il limite dell’uso distorto degli strumenti giuridici, come nelle ipotesi in cui l’operazione difetti di ragioni economicamente apprezzabili, diverse dalla mera aspettativa di benefici fiscali.

Dunque il giudice regionale, nell’affermare che l’Agenzia delle entrate
non si fosse neppure preoccupata di prospettare che la contribuente,
attraverso la esterovestizione quale società di diritto lussemburghese,
perseguisse come obiettivo assoluto o preponderante il conseguimento di
un vantaggio fiscale, non ha malgovernato i principi di diritto in materia.”

Quindi non basta reperire nella controllata italiana una documentazione «sporadica e discontinua» che appare insufficiente a dimostrare l’esterovestizione. Militano poi a favore del contribuente anche la residenza estera della maggioranza dei consiglieri d’amministrazione e l’imposizione fiscale cui la società Alfa è sottoposta in Lussemburgo.

Un’artificiosa localizzazione estera deve infatti rispondere a un trattamento fiscale di favore (Cass. Sez. 5 , 21/6/2019, n. 16697 e Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869) e lo scopo essenziale dell’operazione deve limitarsi all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (causa C-419/14, W. Kft).

I paletti posti dalla Quinta Sez. civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 4463 dell’11 febbraio 2022 a favore del contribuente appaiono molto netti.

Il contribuente sarà sempre libero di scegliere la soluzione che gli consenta di ottimizzare il carico fiscale. Quindi una localizzazione estera può essere contrastata dalla norma nazionale solo se l’obiettivo è quello di realizzare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica (Corte giust. 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas e Cass., 21 dicembre 2018, n. 33234).

Altro aspetto da considerare è la rilevanza IVA dell’esterovestizione. L’art. 4 DPR 633/1972 prevede che tutte le attività imprenditoriali svolte in Italia sono ivi assoggettate ad imposizione.

Sulla base della normativa attualmente vigente si può ipotizzare che tutte le operazioni che la potenziale esterovestita ha posto in essere invece di essere ipotetiche operazioni intracomunitarie o territorialmente non rilevanti siano da sottoporre ad IVA in Italia.

Ne consegue che tutte le suddette operazioni potrebbero essere ricondotte a cessioni e/o prestazioni nazionali soggette ad IVA, con il corollario di conseguenti sanzioni amministrative e penali.

Vanno  attentamente valutate le eventuali conseguenze, sotto il profilo penale tributario, che l’estorovestizione comporta e se si è in presenza di un’evasione fiscale internazionale o di una  mera elusione fiscale.

Tale aspetto assume particolare evidenza nella considerazione che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, restando possibile solo l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

Ai sensi dellarticolo 10-bis L. 212/2000(Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale), configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi fiscali determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Nella maggior parte dei casi la fattispecie penalmente rilevante nei casi in cui venga accertata l’esistenza di una società esterovestita è il delitto di omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni fiscali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (6.

In sintesi, quando l’impresa ha sede all’estero, ma la maggior parte dell’attività si svolge in Italia, in presenza di una fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale, con, di fatto, attività svolta in italia, la dichiarazione dei redditi va fatta in Italia, altrimenti, al superamento del limite  di cui al comma 1 dell‘articolo 5 D.Lgs. n. 74/2000 si configura il reato di evasione fiscale.

(1)  3. Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, then it shall be deemed to be a resident only of the State in which its place of effective management is situated. the competent authorities of the Contracting States shall endeavour to determine by mutual agreement the Contracting State of which such person shall be deemed to be a resident for the purposes of the Convention, having regard to its place of effective management, the place where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant factors. – Se, in virtù delle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, essa si considera residente solo dello Stato in cui è situata la sua sede effettiva. le autorità competenti degli Stati contraenti si adoperano per determinare di comune accordo lo Stato contraente di cui tale persona è considerata residente ai fini della Convenzione, tenuto conto della sua sede della direzione effettiva, del luogo in cui è costituita o altrimenti costituito e qualsiasi altro fattore rilevante.

(225. As regards paragraphs 24 and 24.1, Italy holds the view that the place where the main and substantial activity of the entity is carried on is also to be taken into account when determining the place of effective management of a person other than an individual. – Per quanto riguarda i paragrafi 24 e 24.1, l’Italia ritiene che il luogo in cui viene svolta l’attività principale e sostanziale dell’entità debba essere preso in considerazione anche nel determinare la sede della direzione effettiva di un soggetto diverso da un individuo.

(3(…….. Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione delle società in esame. Si tratta, infatti, di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri
di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.
La norma prevede, in definitiva, l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede della amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi. In tale ottica la norma persegue l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società. In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddette esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.

…………………

8.3 Prova contraria
Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, con
argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od
atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero.

…………………)

(4) 30 – Ai punti 74 e 75 della sentenza Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121), la Corte ha dichiarato che l’accertamento di una pratica abusiva in materia di IVA richiede, da un lato, che le operazioni di cui trattasi, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della normativa nazionale di trasposizione abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.

(5) 30      In tale contesto, va ricordato che, affinché una normativa nazionale venga considerata come diretta ad evitare le frodi e gli abusi, il suo scopo specifico dev’essere quello di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a fruire indebitamente di un’agevolazione fiscale (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55, nonché del 5 luglio 2012, SIAT, C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 40).

31      Pertanto, una presunzione generale di frode e di abuso non può giustificare né un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né un provvedimento fiscale che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (sentenze del 26 settembre 2000, Commissione/Belgio, C‑478/98, EU:C:2000:497, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 5 luglio 2012, SIAT, C‑318/10, EU:C:2012:415, punto 38).

32      Per verificare se un’operazione persegue un obiettivo di frode e di abuso, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata. L’introduzione di un provvedimento fiscale di portata generale che escluda automaticamente talune categorie di contribuenti dall’agevolazione fiscale, senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova o di indizio di frode e abuso, eccederebbe quanto necessario per evitare le frodi e gli abusi (v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2017, Euro Park Service, C‑14/16, EU:C:2017:177, punti 55 e 56).

(6Articolo 5 D.Lgs. n. 74/2000 – Omessa dichiarazione.

  1. 1. E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa e’ superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.1-bis. E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate e’ superiore ad euro cinquantamila.2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Aspetti IVA della Esterovestizione

l’art. 4 DPR 633/1972 prevede che tutte le attività imprenditoriali svolte in Italia sono ivi assoggettate ad imposizione.

Sulla base della normativa attualmente vigente si può ipotizzare che tutte le operazioni che la potenziale esterovestita ha posto in essere invece di essere ipotetiche operazioni intracomunitarie o territorialmente non rilevanti siano da sottoporre ad IVA in Italia.

Ne consegue che tutte le suddette operazioni potrebbero essere ricondotte a cessioni e/o prestazioni nazionali soggette ad IVA, con il corollario di conseguenti sanzioni amministrative e penali.

Residenza Fiscale delle Persone Giuridiche, libertà di stabilimento ed Esterovestizione

Recentemente si è consolidata una  giurisprudenza secondo cui, considerando la fondamentale importanza dei principi di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, in ambito comunitario non può essere contestata l’esterovestizione societaria se non si è in presenza di una struttura di puro artificio che non svolge alcuna attività economica, costituita al solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale .

Ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir (1), le società e gli enti  sono considerati fiscalmente residenti in Italia quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni) hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione economica, i vari Stati hanno stipulato specifici accordi internazionali contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio che intervengono, per dirimere i casi in cui il contribuente è considerato residente in entrambi gli Stati contraenti. dando prevalenza al criterio della sede di direzione effettiva (place of effective management).

L’Italia, formulando specifiche osservazioni all’articolo 4 del modello Ocse di Convenzione (2), ha introdotto una particolare riserva per effetto della quale, nel determinare la residenza fiscale di una società, oltre alla “sede della direzione effettiva”, dovrà essere attribuita estrema rilevanza anche al luogo nel quale viene svolta l’attività principale dell’impresa.

Con riferimento al tema della libertà di stabilimento, è recentemente intervenuta la Corte di cassazione con le sentenze 33234/2018 33235/2018, entrambe pubblicate in data 21.12.2018, con le quali è stato risolto un complesso e importante caso di esterovestizione societaria.

I Supremi Giudici hanno fornito la definizione di esterovestizione, qualificandola come la fittizia localizzazione, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale,  della residenza fiscale di una società  in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale.

Per assumere una connotazione abusiva  la localizzazione  della residenza fiscale di una società  in un Paese estero deve avere come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale che deve risultare, da un insieme di elementi oggettivi, lo scopo essenziale dell’operazione.

In linea con la giurisprudenza comunitaria tra due operazioni il contribuente non è obbligato a scegliere quella che implica il pagamento di maggiori imposte ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di ridurre la sua contribuzione fiscale, a patto che questo non sia lo scopo essenziale dell’operazione.

In tema di residenza fiscale di una società o un ente ha rilevanza il principio comunitario della libertà di stabilimento, istituto cardine che ha l’obiettivo di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le proprie attività e di partecipare così, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato diverso dal proprio di origine e di trarne vantaggio.

Con particolare riguardo al fenomeno della localizzazione all’estero della residenza fiscale, la circostanza che una società sia stata creata in un determinato Stato per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce, quindi,  per se stessa, un abuso di tale libertà.

Una misura dell’ordinamento tributario restrittiva della libertà di stabilimento è ammessa soltanto se riguarda le costruzioni societarie di puro artificio, finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato.

Di conseguenza, a parere degli ermellini, “perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale”.

I Supremi Giudici concludono che per individuare un abuso del diritto di stabilimento non rileva la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma occorre accertare se il trasferimento della sede societaria è realmente avvenuto, ovvero se l’operazione sia meramente artificiosaavendo come scopo la creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.

Ciò posto, i Supremi Giudici passano ad esaminare la normativa nazionale e convenzionale di riferimento, illustrando le previsioni sancite dall’articolo73 Tuir e dall’articolo 4 della Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio stipulata tra Italia e Lussemburgo che, per individuare la residenza fiscale di una società o di un ente, fanno esplicito riferimento al criterio della “sede effettiva”.

In merito, viene affermato che:

  • la nozione di “sede dell’amministrazione”, in quanto contrapposta alla “sede legale”, si deve ritenere coincidente con quella di “sede effettiva”, intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. Di contro, il criterio riferito all’oggetto principale identifica il luogo in cui si concretizzano gli atti produttivi e negoziali dell’ente nonché i rapporti economici che esso intrattiene con i terzi;
  • per determinare il luogo della sede dell’attività economica di una società occorre prendere in considerazione un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Sul punto, possono rilevare anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie.

In linea con l’orientamento espresso sul versante penale dalla medesima Corte di cassazione, in caso di società con sede legale estera, l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative, qualora esso s’identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva . E’ necessario accertare anche che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponda a un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al suo atto costitutivo o allo statuto.

Nel corso del giudizio di legittimità è emersa la necessità di interpretare le informazioni ricavabili dalla documentazione extracontabile acquisita alla verifica fiscale (in particolare dalle e-mail) in base al complesso intreccio organizzativo e funzionale che intercorre tra una controllata e la sua controllante capo-gruppo, che fisiologicamente si risolve in un rapporto tra uffici e personale dell’una e dell’altra, in quanto, come rilevabile in sentenza, “resta difficile comprendere quale autonomia gestionale e finanziaria dovessero avere due semplici dipendenti per poter qualificare l’insediamento lussemburghese in termini di effettiva realtà…”.

Rlevano i giudici, “si comprende, in realtà, che dietro quel ripetuto richiamo alla mancanza di autonomia gestionale e finanziaria si cela l’ispirazione di fondo dell’intera decisione: la predisposizione degli aspetti gestionali ed organizzativi dell’attività di … interamente in Italia, lasciando alla sede lussemburghese i soli compiti esecutivi. Con il che, però, si ammette che qualcosa in Lussemburgo effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale dapprima distaccato, quindi direttamente assunto, che vi operava”.

Sulla base dei sopra indicati principi di diritto, la suprema Corte di Cassazione – accogliendo il ricorso del contribuente – ha rilevato che il giudice di merito ha esaurito la propria valutazione nella sbrigativa considerazione, meramente assertiva, che “il top management della … operava in Italia”, facendo leva su “gli impulsi, gli incontri per assumere le decisioni riguardanti la realizzazione dell’attività sociale”, senza valutare l’attività comunque svolta in Lussemburgo, che emerge proprio dalla corrispondenza e-mail valorizzata in senso opposto e trascritta in ricorso.

(1) Testo Unico del 22/12/1986 n. 917 – Articolo 73 – Soggetti passivi. – Comma 3 – Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società’ e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato…………….

(2MODEL CONVENTION WITH RESPECT TO TAXES ON INCOME AND ON CAPITAL