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Disapplicazione del regime sulle Società Controllate Estere (Controlled Foreign Companies (CFC))

Riguardo alla disapplicazione del regime sulle Società Controllate Estere (Controlled Foreign Companies (CFC)),  il quinto comma dell’articolo 167 Tuir prevede che questa possa ricorrere laddove il contribuente dimostri che l’impresa controllata estera svolga una “attività economica effettiva, mediante l’impiego di

  • personale;
  • attrezzature;
  • attivi;
  • locali”.

Una considerazione di rilievo da fare è quella al riguardo della “attività economica effettiva”. Nella precedente formulazione del 167 TUIR, il quinto comma,  (“la societa’ o altro ente non residente svolga un’effettiva attività’ industriale o commerciale, come sua principale attività’, nel mercato dello stato o territorio di insediamento“) si faceva riferimento ad una  “attività industriale e commerciale”. Nella nuova formulazione del quinto comma si parla di “attività economica effettiva”, quindi  si dovrà valutare l’adeguatezza della struttura organizzativa dell’impresa estera rispetto all’attività in concreto svolta.

L’Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare n° 18/E (Circolare ATAD n. 1 – Chiarimenti in tema di Società Controllate Estere (CFC) – articolo 167 del TUIR, come modificato
dall’articolo 4 del DECRETO LEGISLATIVO 29 novembre 2018, n. 142),
 che riporta importanti chiarimenti in merito alla disciplina delle Controlled Foreign Companies (CFC).

Il punto n. 6  della circolare n° 18/E  è dedicato alla cicostanza esimente:

Il comma 5 dell’articolo 167 del TUIR stabilisce che il soggetto controllante residente può, anche a seguito di una apposita istanza di interpello presentata all’Agenzia dell’entrate, disapplicare la normativa CFC qualora l’entità controllata (o la stabile organizzazione) svolga nel proprio Stato di residenza (o stabilimento) «un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali».

L’esimente introdotta dal legislatore italiano è coerente con la Direttiva che, all’articolo 7, paragrafo 2, consente di escludere la tassazione per trasparenza «se la società controllata estera svolge un’attività economica sostanziale sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali, come evidenziato da circostante e fatti pertinenti».

La nuova formulazione sostituisce il previgente sistema delle esimenti, costruito sulla distinzione a seconda che la controllata fosse:

  1. localizzata in una giurisdizione a fiscalità privilegiata (o soggetta a un regime speciale) individuata dal previgente comma 4 dell’articolo 167 del TUIR; ovvero
  2. localizzata in una giurisdizione diversa da quelle di cui al citato comma 4 e integrasse i presupposti individuati dall’allora vigente comma 8-bis dell’articolo 167 del TUIR.

Nel caso sub 1), la disapplicazione della CFC rule presupponeva il riconoscimento di almeno una delle circostanze indicate, rispettivamente nelle lettere a) e b) dell’articolo 167, comma 5, del TUIR, ossia che:

  1. a) la società o altro ente non residente svolgesse un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si riteneva soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originavano nello Stato o territorio di insediamento (c.d. “prima esimente”);
  2. b) dalle partecipazioni non conseguisse l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (c.d. “seconda esimente”).

Ricorrendo il caso sub 2), invece, l’allora vigente comma 8-ter dell’articolo 167 del TUIR subordinava la disapplicazione della CFC rule alla dimostrazione che l’insediamento all’estero non rappresentasse «una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale».

 La nuova unica circostanza esimente, introdotta dal Decreto, non opera distinzioni in virtù del criterio territoriale (Come già anticipato, infatti, la possibilità di dimostrare l’esimente dello svolgimento di un’“attività economica sostanziale” viene riconosciuta a prescindere dal Paese di residenza o di localizzazione della CFC, quindi anche nel caso di entità controllate estere non residenti o localizzate in Paesi diversi da quelli europei o dello Spazio economico europeo)e presenta differenze rispetto alle precedenti esimenti.

La formulazione attuale, infatti, pur mantenendo analogie con la vecchia prima esimente di cui alla lettera a) del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR, se ne discosta, anzitutto, per la portata più ampia, facendo riferimento allo svolgimento di “un’attività economica effettiva” e non più allo svolgimento di “un’effettiva attività industriale o commerciale”.

Al riguardo, preme rilevare come il legislatore nazionale, in linea con quello europeo, richieda comunque che l’attività sia «sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali», ossia da una struttura che presenti una consistenza economica adeguata all’attività svolta.

La dimostrazione di tale esimente richiede la disponibilità di un adeguato set documentale, da produrre in sede di interpello o controllo. Un elenco esemplificativo dei documenti da produrre ai fini della suddetta dimostrazione è contenuto nell’ALLEGATO n. 4.

La necessità che la struttura presenti una consistenza economica adeguata all’attività svolta vale anche per quelle entità che non svolgono un’attività propriamente commerciale, alle quali è comunque richiesta una presenza adeguata alle funzioni poste in essere.

Ci si riferisce, in particolare, a quelle attività che non necessitano di una struttura organizzativa particolarmente complessa, come le holding o le società che gestiscono attivi immobilizzati senza svolgere alcuna attività di stampo industriale o commerciale.

In relazione a tali soggetti, l’esimente non può essere riconosciuta in presenza di una struttura organizzativa priva di effettiva attività e di una reale consistenza (ad esempio, laddove il personale, i locali e le attrezzature risultino messi a disposizione da società domiciliatarie attraverso contratti di management service) e, in concreto, senza autonomia decisionale se non dal punto di vista formale.

In tal senso, una società estera controllata risulta da assoggettare a tassazione qualora questa non sia in grado di svolgere autonomamente le attività che generano i propri profitti.

Per le entità estere svolgenti tali attività, non è preclusa la dimostrazione della circostanza esimente, ma si ritiene che la prova dello svolgimento di attività economica effettiva possa essere resa dal soggetto controllante residente facendo riferimento a determinati indici, già individuati dalla circolare n. 51/E del 2010 in relazione alla previgente disciplina CFC con riferimento alle attività c.d. immateriali.

Un elenco esemplificativo degli indici e della documentazione da produrre per provare lo svolgimento di un’attività economica effettiva da parte di società che non svolgono attività di stampo industriale o commerciale nel senso sopra indicato è fornito nell’ALLEGATO n. 5. Resta inteso che la valutazione degli elementi ivi elencati presuppone necessariamente un esame caso per caso della sostanza economica dell’entità estera, tenendo conto del profilo funzionale richiesto dall’attività della controllata.

La nuova circostanza esimente, inoltre, a differenza di quella prevista dalla previgente formulazione dell’articolo 167, comma 5, lettera a), del TUIR, non richiede il requisito del c.d. “radicamento”, ossia non presuppone che l’attività dell’entità controllata si rivolga al mercato dello Stato o territorio di insediamento.

Resta inteso che la circostanza che l’entità estera svolga la sua attività economica sostanziale rivolgendosi al mercato di insediamento, sebbene non sia una condizione necessaria per la disapplicazione della CFC rule, sarà comunque valorizzata nell’apprezzamento dell’esimente, coerentemente con quanto previsto dalla Corte di Giustizia che, nella citata sentenza Cadbury Schweppes del 12 settembre 2006 (causa C-196/04), ha rilevato come «la nozione di stabilimento di cui alle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro».

Al riguardo, si evidenzia che l’attuale circostanza esimente, riflettendo l’evoluzione della giurisprudenza europea, ha sviluppato la nozione di “costruzione artificiosa”, richiedendo che l’entità estera risponda a un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attività economiche effettive e che sia dotata di una struttura idonea in termini di personale, attrezzature, attivi e locali.

Per quanto attiene alla prova della sussistenza degli elementi in base ai quali si può dimostrare l’esercizio di un’attività economica effettiva (personale, attrezzature, attivi e locali), il livello di presenza di tali elementi deve essere valutato in ragione della natura dell’attività e delle funzioni svolte dall’entità estera.

Quanto appena precisato vale anche qualora l’entità controllata estera svolga sia attività c.d. “passive” sia altre attività. Tale approccio è coerente con l’impostazione della norma che prevede, nel caso di mancata dimostrazione dell’esimente, l’imputazione per trasparenza dell’intero reddito della CFC (ivi

incluso quello “diverted from parent jurisdiction” e quello “foreign to foreign”, sia la parte riferibile ad attività “passive”, sia quella riferibile alle altre attività).

Tuttavia, anche alla luce di quanto rilevato dall’OCSE nel Rapporto BEPS Azione 3 più volte citato, al fine di garantire un adeguato presidio degli interessi erariali e, quindi, di evitare comportamenti posti in essere allo scopo di dimostrare – strumentalmente – la sussistenza dell’esimente, “innestando”, solo formalmente, una o più attività da cui derivano redditi “passive” all’interno di un’adeguata struttura (in termini di personale, attrezzature, attivi e locali) riferibile ad altre attività (c.d. effetto di “swamping”), l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica e sulla base di apposita analisi di rischio, dovrà:

− utilizzare gli strumenti previsti dalla normativa sui prezzi di trasferimento nelle operazioni con l’entità controllata estera, allo scopo di assicurare che, tanto con riguardo ai redditi “passive” quanto con riguardo agli altri redditi dell’entità estera, non si siano verificati fenomeni di distoglimento di reddito a danno dell’Italia verso l’entità controllata estera (“diversion from parent jurisdiction”);

− valutare l’attivazione delle previste procedure di cooperazione amministrativa con gli altri Stati eventualmente interessati. Resta ferma, a seconda dei casi, l’utilizzabilità anche di altri strumenti eventualmente applicabili (ad esempio, le discipline di contrasto alla “esterovestizione” e all’interposizione ovvero la verifica delle condizioni per riconoscere la qualifica di beneficiario effettivo, etc.).

Infine, in merito alle stabili organizzazioni di soggetti non residenti, preme rilevare che, coerentemente con quanto precisato in ordine al tax rate test e al passive income test, la dimostrazione della nuova esimente deve essere resa con riferimento all’intera attività della CFC se la stabile organizzazione viene tassata nello Stato di residenza. Diversamente, se la branch è esentata nello Stato di residenza della casa madre, la dimostrazione dell’esimente sarà circoscritta all’attività e alla struttura imputabile alla branch. In questa seconda ipotesi, la società controllata che, singolarmente considerata, fosse da qualificare CFC, ai fini della dimostrazione in esame assumerà rilevanza la sola attività da questa svolta e il personale e le attrezzature utilizzate dalla medesima. Si ribadisce che, a livello pratico, le informazioni contenute nella documentazione atta a dimostrare la corretta attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione in esenzione di un soggetto residente in Italia, effettuata in stretta aderenza all’approccio autorizzato OCSE (AOA) (come peraltro già richiesto dal regime di branch exemption), possono formare utile ausilio ai fini della dimostrazione dell’esimente prevista dal comma 5 dell’articolo 167 TUIR. Resta fermo che la disciplina CFC interviene comunque laddove non risulti possibile (o agevole) pervenire a una individuazione ragionevolmente attendibile dei redditi (o delle perdite) attribuibili alla stabile organizzazione medesima.

Mutatis mutandis, analogo approccio andrà adottato nel caso in cui la disciplina di tassazione per trasparenza trovi applicazione in capo a entità estere trasparenti e/o i propri soci (partner) che risultino controllati dal socio residente o localizzato in Italia, facendo riferimento alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo 4.3 a proposito dell’ETR test.

Per completezza, si osserva che il nuovo articolo 167 del TUIR, conformemente alla Direttiva, non ripropone la c.d. “seconda esimente” di cui alla lettera b) del comma 5 del previgente articolo 167 del TUIR, che richiedeva di dimostrare che «dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato» (Il superamento dell’esimente prevedeva la dimostrazione che il carico fiscale scontato nel Paese di insediamento della controllata fosse almeno pari al 50 per cento di quello che sarebbe stato scontato laddove la stessa fosse stata residente in Italia. Come chiarito nella circolare 4 agosto 2016, n. 35/E, tale dimostrazione si sostanziava nella verifica che il tax rate effettivo estero fosse superiore alla metà dell’aliquota nominale italiana (data dalla sommatoria dell’aliquota IRES e dell’aliquota ordinaria IRAP) e, nel caso di fallimento di questo primo test, nell’ulteriore verifica che il tax rate effettivo estero fosse superiore al 50 per cento di quello virtuale italiano. È evidente che il meccanismo di detta esimente non avrebbe potuto funzionare nell’ambito della nuova disciplina CFC, connotata da un approccio imperniato sulla tassazione effettiva, il cui presupposto applicativo è, infatti, già basato sul riscontro di un tax rate effettivo estero inferiore alla metà di quello virtuale italiano.).

È venuta meno anche l’esimente di cui al comma 8-ter dell’articolo 167 del TUIR, dedicata, sin dall’entrata in vigore, a tutte le controllate localizzate in Stati diversi da quelli a fiscalità privilegiata, inclusi gli Stati membri dell’Unione europea e quelli aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (Per la dimostrazione dell’esimente di cui al citato comma 8-ter, il socio residente era chiamato a dimostrare che «l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale».).

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 36050 del 07.12.2022), la circostanza esimente che consente di disapplicare la disciplina CFC (articolo 167 Tuir), in ragione dell’esercizio di un’attività economica effettiva da parte della società controllata estera nel mercato dello Stato estero di insediamento, deve essere interpretata tenendo in debita considerazione la ratio della disciplina, ovverosia “[…] l’intento del legislatore di contrasto all’abuso dello strumento societario in ambito internazionale, attraverso il ricorso a società controllate di natura fittizia prive di alcuna struttura realmente operativa nel territorio estero”.

Ne consegue che detta disapplicazione deve essere garantita allorquando, semplicemente, “[…] si provi l’esercizio di un’attività economica effettiva da parte della controllata estera, mediante la produzione di documentazione che dimostri l’esistenza di un fenomeno di delocalizzazione reale dell’impresa”.

In merito al requisito dell’”autonomia decisionale“ della controllata estera, richiesto dall’Agenzia delle entrate la sentenza n. 36050 del 07.12.2022 così si esprime:

il requisito dell’”autonomia decisionale“ della controllata estera rispetto alla controllante residente in Italia non assume carattere decisivo ai fini dell’applicazione dell’esimente in esame, in quanto estraneo a un’interpretazione sia strettamente letterale che teleologica della norma che la prevede.

E’, infatti, la stessa normativa CFC a presupporre, quale sua condizione applicativa, l’esistenza di un determinato rapporto di controllo tra la controllante italiana e la controllata estera (art.167 cit., secondo comma) sicché un’interpretazione che riterrebbe tale presupposto, al contempo, anche condizione necessaria dell’ipotesi di disapplicazione sarebbe, come condivisibilmente rilevato anche dal P.G., illogica e contraddittoria.

4.4. Alla luce delle superiori considerazioni, la ricostruzione del quadro normativo di riferimento e l’interpretazione datane dalla C.T.R. (nel senso che ai fini dell’esimente di cui al quinto comma dell’art.167 del d.P.R. n.917 del 1986 non sia necessaria anche l’autonomia gestionale della controllata estera) sono in linea con la ratio legis e trovano, anche, conferma nella giurisprudenza eurounitaria (v. CGUE Corte di Cassazione – copia non ufficiale 8 sentenza 12.09.20016, causa C-196/04) e di questa Corte (vedi, tra le altre, Cass., 16.12.2015, n.25281) le quali, in tema di contrasto all’abuso dello schermo societario, in ambito internazionale, hanno, sempre, dato rilievo, a tal fine, alle costruzioni di puro artificio mentre, di contro, hanno escluso l’applicazione di una misura impositiva antielusiva (quale quella in esame), ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi eserciti attività economiche effettive.

 4.5. Va, da ultimo, osservato che siffatta interpretazione dell’esimente in esame è stata, peraltro, fatta propria anche dall’Amministrazione, nei documenti di prassi (v. Circolare n.18/E del 27.12.2021) emessi a seguito dell’entrata in vigore dall’articolo 4 del decreto legislativo 29 novembre 2018 n. 142 (di seguito, “Decreto ATAD”), attuativo della Direttiva UE 2016/1164 (c.d. “Direttiva ATAD) recante norme di contrasto alle pratiche di elusione fiscale attuate a livello transnazionale, che, nell’introdurre modifiche all’art.167 TUIR, ha pressoché lasciato immutata l’esimente di cui alla lettera a) del comma 5, oggetto di esame.

Il quinto comma dell’articolo 167 Tuir prevede che il contribuente possa avvalersi dell’interpello preventivo ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212.  Per i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 5 maggio 2015, n. 128, l’istanza di interpello di cui sopra puo’ essere presentata indipendentemente dalla verifica delle condizioni di cui al comma 4, lettere a) e b) dell’articolo 167 Tuir.

Si ritiene che, nel caso l’Agenzia delle entrate esprima parere
contrario alla disapplicazione della normativa CFC, sia possibile impugnare il rigetto dell’istanza di interpello con ricorso
alla Commissione tributaria provinciale.

Infatti la citata  sentenza n. 36050 del 07.12.2022 della Suprema Corte così si esprime:”alla luce della consolidata giurisprudenza, in materia, di questa Corte la quale in numerose pronunce (Cass.n.13963 del 05/06/2017; Cass.n.25281 del 2015; id.n. 32425 del 11/12/2019) ha ribadito, il principio già affermato da Cass.n.17010 del 2012 secondo cui <in tema di contenzioso  tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 ha natura tassativa ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato
con la l. n. 448 del 2001. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà
e non l’onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle
Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma
8, del d.P.R. n. 600 del 1973, atteso che lo stesso non è atto rientrante
nelle tipologie elencate dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 ma
provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del
contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio
convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario. > .

Con tali pronunce si è condivisibilmente ritenuto che la risposta dell’Agenzia delle entrate in sede di interpello cd. ”disapplicativo” è idonea a esprimere una pretesa tributaria che incide sulla situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il contribuente e sulla sua condotta in ordine alla dichiarazione dei redditi, ravvisandosi, perciò, in capo al contribuente un interesse all’impugnazione ai sensi dell’art.100 cod.proc.civ.